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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Archive for category: profstanco

Aristotele e la guerra in Ucraina

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/05/2022

E’ facile seguire la Carlassarre sul valore assiologico dell’art. 11, Cost. (L. Carlassarre, L’art. 11, Cost. nella visione dei Costituenti, in Costituzionalismo, 2013). Quella disposizione, lo chiarisce Ruini (Assemblea seduta pomeridiana del 24
marzo 1947), esprime il proprio valore normativo nella caratterizzazione lessicale del divieto: rifiutare avrebbe significato soltanto non accettare, condannare avrebbe significato che l’illegittimità derivava da un ordine diverso e superiore a quello costituzionale, ripudiare, invece, è il verbo che nasce dalla necessità di allontanare chi ci ha tradito e la condanna della guerra è la condanna di un sistema di soluzione delle controversie che tradisce la natura stessa del patto costituzionale, che viola la radice del legame su cui la Repubblica fonda il proprio sistema di valori.

E’ una pista interpretativa, ma anche etica, che sembra condurre a una scelta necessaria di neutralità: la condanna della guerra sembra dover riguardare entrambe le parti del conflitto. L’una si sostiene ha aggredito l’altra per delle ragioni che esistono e che hanno una sicura caratura politica e ideologica. L’altra non poteva non difendersi.

La condanna della guerra non può che essere incondizionata, secondo questo schema interpretativo. Impone una scelta per la neutralità e non ci possono essere ragioni superiori al valore espresso dalla condanna costituzionale.

Eppure non è così.

Condannare la guerra significa condannare tutti coloro che non ripudiano la guerra. Vale per un mettersi incondizionatamente dalla parte di chi è vittima di una guerra. Impone un esercizio complesso e intimamente politico perché obbliga, in caso di conflitto a schierarsi da una parte o dall’altra. Scegliere quale delle due o più parti del conflitto è stata costretta alla guerra e quale invece ha scelto di utilizzare la forza per affermare la propria volontà di dominio.

Aristotele ricorda che fra le leggi promulgate da Solone vi era quella che puniva l’atimia (Athen. Poi, 8, 5), ovvero il rifiuto di prendere parte in una guerra civile per l’una o per l’altra parte. In questo caso, il colpevole veniva allontanato per sempre dalla città e i suoi beni venivano confiscati (si ob discordiam dissensionemque seditio atque discessio populi in duas partes fiet et ob earn causam irritatis animis utrimque arma capientur pugnabiturque, tum qui in eo tempore in eoque casu civilis discordiae non alterutrae parti sese adiunxerit, sed solitarius separatusque a communi malo civitatis secesserit, is domo, patria fortunisque omnibus careto, exsul extorrisque esto, si legge in Gellio, mentre Cicerone sosteneva che si applicasse la pena capitale, il tutto in L. Piccirilli, Aristotele e l’atimia (Athen. Pol., 8, 5), in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, 1976).

Il cittadino che non prende parte alla guerra civile, vuoi per l’una o per l’altra parte, ma si isola nella propria solitaria neutralità, non merita di appartenere più alla sua comunità.

Sono questi i valori che permettono di rileggere l’art. 11, Cost. e applicarlo alla guerra in Ucraina e alle complesse questioni poste da questo evento.

L’art. 11, Cost. non si limita a ripudiare la guerra ma impone alla comunità statale di determinare la propria posizione rispetto alla controversia in essere. Questa posizione non può essere di neutralità ma impone di condannare fermamente la parte o le parti che, in quel determinato conflitto, meritano di essere condannate.

Nonostante le conseguenze “imprevedibili” minacciate da Putin nei suoi discorsi rivolti ai paesi occidentali, conseguenze che non sono mai state affrontate nella storia, sempre per ricordare i discorsi di questo uomo politico.

Certo sono valori, quelli costituzionali e, in particolare, la scelta pacifista del ripudio della guerra, che tendono a evaporare nella società contemporanea che non conosce la disperata fame di libertà dei Costituenti, il loro entusiasmo di schiavi liberati, la forza della loro gioventù.

La nostra è una società che guarda la guerra su uno schermo al plasma, dove droni e bombe intelligenti sfidano le serie di Netflix e un miliardario egotico manifesta la volontà di diventare il principale imprenditore della libertà di manifestazione del pensiero.

Una società che ha preferito rinunciare alle più liberali e classiche libertà negative per salvaguardare il proprio benessere mentre un morbo sottilmente orribile lo minacciava.

Questo mondo non è il mondo dei Costituenti che avevano letto Aristotele e avevano imparato dall’Aventino il prezzo dell’atimia.

L’art. 11, Cost. non ripudia solo la guerra, condanna anche e soprattutto l’atimia ma è l’atimia, la disperata solitudine di chi si rifiuta a prendere parte a un conflitto perché teme per il proprio benessere, il sentimento che guida la società in questo difficile tratto di storia.

Non solo le posizioni indiane o cinesi di ipocrita neutralità, ma anche la scelta di chi, per un verso, sostiene le ragioni di un popolo invaso e assediato e, per altro verso, non rinuncia alle materie prime e alle commodities dal cui commercio trae alimento un’oligarchia che ha avuto bisogno di una guerra per mantenersi al potere.

Come mi chiamo? (La Corte e i cognomi)

in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2022

Notoriamente la Corte costituzionale ha sempre ragione.

Anzi: la Corte costituzionale è una metafora della vita e non vi è evento della vita di un individuo che non possa essere risolto ricorrendo alla sua giurisprudenza.

La dottrina della Corte per molti costituzionalisti è l’equivalente del Talmud per un rabbino ortodosso.

Anche se, ovviamente, non hanno mai letto il Talmud. O, si potrebbe dire, non hanno letto neppure il Talmud.

L’ultima sentenza della Corte costituzionale di cui è stata data notizia a mezzo comunicato stampa è piuttosto divertente.

La Corte è stata investita della questione di legittimità costituzionale delle norme che impediscono ai genitori, se d’accordo, di dare al proprio figlio il cognome della madre anziché del padre e, giustamente, l’ha dichiarata costituzionalmente illegittima.

La conseguenza naturale sul piano additivo avrebbe dovuto essere che da qui in avanti i genitori possono scegliere se dare al proprio figlio il cognome dell’uno o dell’altro o di entrambi e che in assenza di questa scelta vale la previsione codicistica argomentata dall’art. 262, c.c. (sul punto, Corte cost. 282/2016).

La Corte, però, è andata più in là e ha stabilito che secondo gli artt. 2, 3 e 117, Cost., ciascuno dei genitori può, con l’accordo dell’altro, dare il proprio cognome al figlio e che in mancanza di una scelta di questo genere il figlio deve avere entrambi i cognomi. In quest’ultimo caso, però, i genitori devono trovare un accordo circa l’ordine nel quale i due cognomi devono comparire nei documenti. In assenza di accordo, specifica il comunicato stampa, si deve interpellare il giudice tutelare il quale deciderà (in base a quali criteri?) quale sia il cognome che risponde maggiormente all’interesse del minore. Read more →

Dal fumus persecutionis al fumus mutationis (Il bello della pregiudizialità parlamentare)

in profstanco / by Gian Luca Conti
05/11/2021

Le tesi sono, anche, l’inizio di un dialogo in cui si propone un percorso di ricerca, spesso poco più di una intuizione e si lascia una curiosità libera di muoversi, di cercare, divagare, con quella libertà priva di pregiudizi che è di chi comincia uno studio e non appartiene più a chi oramai studia da troppo tempo per non immaginare il colpevole già sullo scaffale della libreria dove un giallo vorrebbe attirare la sua attenzione.

L’intuizione, in questo caso, era che il tema dei conflitti da immunità stia subendo una mutazione, stia abbandonando le imbarazzanti torsioni che hanno caratterizzato e si stia stabilizzando lungo le direttrici della pregiudiziale parlamentare, e, forse, senza gli inconvenienti con cui questa evoluzione era stata accolta dagli studiosi più affamati di giustizia costituzionale.

Questa intuizione si basa su di una evidenza: i conflitti da 68, quasi una nuova attribuzione della Corte disegnata dalla legge 140/2003, si sono drasticamente ridotti e hanno perso progressivamente di mordente, ma non sono affatto diminuiti i casi della vita che cadono nell’ambito di applicazione dell’art. 68, Cost., vuoi sub specie di inviolabilità che di insindacabilità.

Di qui, l’idea che la pregiudizialità parlamentare, alla fine, abbia funzionato bene, che il Parlamento sia riuscito a regolare in maniera efficacemente razionale il proprio terribile privilegio, sia riuscito a trasformare il proprio privilegio in un assieme di valori che ne regolano l’understatement nei confronti della funzione giurisdizionale.

E, forse, una conclusione: se la Corte ha operato come ultima fortezza nell’affermazione di alcuni principi in materia di funzione parlamentare, se storicamente queste sentenze della Corte costituzionale si collocano nel momento in cui le Camere avevano massimamente perso la propria legittimazione nei confronti dell’opinione pubblica, se in quei tormentati tempi il nodo era il tono costituzionale delle prerogative esercitate dai parlamentari nel momento in cui gli stessi si avvalevano di un odioso privilegio, ecco, oggi, tutto questo è cambiato.

Lo sfoglio della giurisprudenza parlamentare sui conflitti racconta un’altra dimensione. Da una parte, si muovono piccole beghe da gruppo parlamentare, la bassa cucina delle offese che passano ai gestacci e che hanno già trovato la sanzione dell’ufficio di presidenza, le solite vicende di diffamazione che nascondono antiche inimicizie e reciproche avversità politiche. Dall’altra parte, la resistenza del parlamentare alle intercettazioni, utilizzate dai pescherecci dell’accusa come reti a strascico.

In tutti e due questi esempi, ma tanti altri varrebbe la pena di farne, quello che pare di vedere è un cambiamento di direzione nel tono del conflitto. Quello che conta non è più il tono costituzionale dell’esercizio del privilegio parlamentare, ma il tono giurisdizionale nell’esercizio del processo penale.

Un fenomeno che ha rappresentato in maniera molto felice un refuso del laureando che ha cercato di indagare questo argomento: dal fumus persecutionis al fumus mutationis.

Il Draghi della Gran Risa

in profstanco / by Gian Luca Conti
15/02/2021

1 – L’inizio della Gran Risa è un bivio.

Da una parte, la Gran Risa nera, che è un lungo brivido per sciatori esperti, dall’altra parte l’Alting, che è una pista non meno bella ma decisamente più semplice.

Anche il Presidente del Consiglio si trova dinanzi a un bivio e restare immobili fra il muro della Gran Risa e le cunette della Alting non è una scelta saggia.

Da una parte, può segnare una rottura rispetto a ogni tradizione e cercare di muoversi lungo la pista dell’autorevole imparzialità.

E’ il muro della Gran Risa.

Dall’altra parte, può lanciarsi molleggiato sulle cunette delle mediazioni fra forze politiche strenuamente antagoniste.

Sono le cunette della Alting. Read more →

Filippo non è Beppe

in profstanco / by Gian Luca Conti
12/02/2021

Filippo Nogarin è, per chi scrive, soprattutto un amico, ma è, credo per tutti, una persona di profonda onestà intellettuale e di grande levatura morale.

Questo, indipendentemente, dalle convinzioni politiche.

Il punto di vista di Filippo sulla fiducia per il Governo Draghi è ampiamente condivisibile. E’ un punto di vista animato da buona fede e preoccupato essenzialmente delle sorti della Repubblica.

Forse, ha una diversa consistenza la posizione di Beppe Grillo, l’iperleader del Movimento 5 Stelle.

E’ una posizione che è destinata a determinare una vera e propria rottura all’interno del Movimento, come ha prontamente segnalato Di Battista.

Nello stesso tempo, a essere realisti, non è detto che le due anime del Movimento 5 Stelle non possano riunirsi prontamente alla scadenza della Legislatura: l’Elevato non dovrebbe avere problemi a ritrovare l’unità.

Se è riuscito a giustificare l’adesione al progetto Draghi, può fare qualsiasi cosa.

La verità, una verità sottile e maligna, indegna di essere confessata, è che con Draghi le opposizioni scarseggiano. Rischia di esserci solo la Meloni. Ma se c’è solo la Meloni, una cascata di commissioni parlamentari e di organismi autorevolmente indipendenti devono essere affidati a Fratelli di Italia.

Un po’ troppo.

Meglio dividersi in due tronconi e partecipare a entrambe le mense che vengono apparecchiate dalla saggezza del Capo dello Stato.

Scosso Conte (il meriggiare delle consuetudini costituzionali)

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/02/2021

1 – L’unico esempio ragionevolmente certo di consuetudine costituzionale è stato fino alle dimissioni di Conte dal Governo e dall’incarico a Draghi la prassi delle consultazioni e il ruolo decisivo di gruppi parlamentari e partiti politici nella formazione della compagine di Governo.

Draghi ha mantenuto la prassi delle consultazioni, ma ne ha più che ridotto l’ambito. Servono al Presidente incaricato per verificare la possibilità di raccogliere più gruppi parlamentari intorno ai valori cardine dell’indirizzo politico.

Non servono per trasformare l’indirizzo politico in un mercato di incarichi più o meno significativi ma comunque importanti per giungere al voto di fiducia.

Si può dire che è già accaduto con il Governo Ciampi nel 1993 e un tanto conferma che nelle situazioni di emergenza le consuetudini costituzionali meriggiano.

In questo caso, sarebbe bello se tramontassero e, forse, la rielezione di Mattarella potrebbe favorire questo percorso di riavvicinamento al valore normativo più profondo della fiducia parlamentare, un valore che peraltro non ha avuto neppure al tempo di Cavour. Read more →

La crisi del Conte bis dal punto di vista del Semestre Bianco

in profstanco / by Gian Luca Conti
03/02/2021

I cronisti più attenti hanno ben sottolineato il ricordo che ieri il Capo dello Stato ha fatto circolare in occasione del centotrentesimo anniversario dalla nascita di Antonio Segni.

In questo ricordo, Mattarella ha ricordato come Segni avesse proposto due riforme istituzionali estremamente incisive: il divieto di un secondo mandato per il Capo dello Stato e, di conseguenza, la soppressione della possibilità di un secondo mandato, che, sinora, è stato concesso solo a Napolitano in un momento di profonda crisi del sistema.

I due grandi contendenti della crisi di governo non hanno trovato un punto di equilibrio ed il truello nel quale si erano annodati è finito con il massacro di entrambi. Non è facile immaginare che Conte possa costruire un movimento politico a partire dalla complessa accozzaglia di parlamentari che ha avventurosamente raccolto in Parlamento ed è decisamente difficile immaginare che la percezione da parte della opinione pubblica di un ruolo meramente demolitorio di quello che oramai viene chiamato il senatore di Rignano perché Scandicci si è rifiutata di concedergli la cittadinanza possa condurre a un successo elettorale.

E’ sicuramente una buona notizia per il paese: l’accordo fra Renzi e Conte avrebbe condotto a un Governo del metacentro instabile ed entrambi avrebbero guardato alle due grandi sfide dei prossimi anni di legislatura (il recovery plan e la legislazione elettorale) in chiave essenzialmente utilitaristica.

Al contrario, un Governo guidato da Draghi, soprattutto se formato da tecnici e soprattutto se appoggiato da una larga coalizione, potrebbe garantire al paese una guida capace di convincere i nostri partner europei e di dare ai nostri figli delle ragioni per pagare i debiti che si ritroveranno sulle spalle, ma anche di riequilibrare il gioco politico con una legislazione elettorale seria e ragionevole.

Il vero nodo, però, riguarda l’elezione del prossimo Capo dello Stato. I sette anni di Mattarella scadranno nei primi mesi del 2022 ovvero nel pieno di una stagione, nella quale, se Draghi dovesse ricevere la fiducia del Parlamento e questa si fondasse su di una larga coalizione, gli accordi politici saranno cementati dalla approvazione della prima manovra di bilancio post recovery plan.

In quello scenario, la maggioranza politica dovrebbe essere formata dal Partito Democratico, Forza Italia e Italia Viva, con la probabile astensione della Lega e, forse, una parte del Movimento 5 Stelle, che potrebbe uscire assai male dall’attuale crisi di Governo.

E’ uno scenario che renderà molto difficile al Partito Democratico giocare un ruolo da King Maker nella elezione del nuovo Capo dello Stato e questa era una parte degli accordi su cui si era fondato il Conte bis e si stava negoziando il Conte ter.

Si riproporrà la situazione che stiamo vivendo adesso: la crisi delle alleanze forti e strategiche generata dalla natura fluida del consenso elettorale del Movimento 5 Stelle determinerà la ricerca di nuove formule politiche che per poter essere praticabili dovranno uscire dalla politica.

Si apre, insomma, uno scenario che non rende impossibile immaginare Marta Cartabia Presidente della Repubblica, o, persino, la rielezione di Mattarella, che ha detto di non essere disposto a un secondo incarico, ma al quale non manca il senso di responsabilità, l’autorevolezza, l’imparzialità e l’intelligenza per affrontarlo.

E forse anche questi non sono scenari da disprezzare.

La crisi del Conte bis, fra truello e metacentri instabili

in profstanco / by Gian Luca Conti
29/01/2021

1 – La crisi del Governo Conte bis è tutt’altro che incomprensibile. Lo può sembrare dalla comunicazione di questi giorni e dai meccanismi che si sono azionati grazie alla impazienza di Renzi.

Non lo è affatto sia dal punto di vista costituzionale che dal punto di vista politico.

Sul piano politico, è facile osservare che Conte era arrivato ad occupare una posizione sempre più ingombrante in vista sia della elezione del Capo dello Stato che della prossima legislatura. La crescita del suo prestigio era destinata o alla conquista della leadership sul Movimento 5 Stelle o alla costruzione di un movimento politico autonomo che avrebbe eroso il consenso sia del Movimento 5 Stelle che del Partito Democratico.

Sotto questo aspetto, la impazienza di Renzi è tornata utile a entrambe le Parti dell’alleanza giallo rosa. Read more →

-10 (giorni al referendum) e due tabelle (le Camere dopo il taglio)

in profstanco / by Gian Luca Conti
11/09/2020

Le ragioni del “SI” e del “NO” non sono contrapposte più di tanto, ma sono semplicemente espressione di un diverso modo di guardare alla Costituzione.

Quello che stupisce è vedere il popolo – apparentemente schierato in larghissima maggioranza per il taglio dei parlamentari – e le elites, assai più variegati nel loro giudizio su questa riforma, il che consente a chi l’ha promossa (a tutti coloro che l’hanno promossa) di vantare una forza politica e una capacità di rappresentanza forse eccessiva rispetto ai sondaggi.

Quello che è certo è che il taglio dei parlamentari ha bisogno di un seguito attivo da parte del Parlamento, sia in punto di adeguamento della legislazione elettorale che di modifica dei regolamenti parlamentari.

Entrambi adempimenti che postulano una maggioranza solida e coesa: le modifiche dei regolamenti parlamentari hanno bisogno della maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea che le approva e una legge elettorale suona come un “tutti a casa”, sicché i parlamentari di maggioranza tendono ad approvarla solo in prossimità della scadenza naturale della legislatura.

Il problema, però, il vero problema, è che gran parte dei membri dell’attuale legislatura sanno che nella prossima legislatura potrebbero non essere rieletti per l’effetto combinato della riduzione del numero dei parlamentari e dei sondaggi circa il consenso registrato dai partiti politici che li hanno accolti nelle loro liste.

Questa è la situazione alla Camera:

Camera Gruppi 09/2020 In % Dopo il taglio Sondaggi 09/2020 Gruppi XIX Delta
Forza Italia Berlusconi Presidente 97 15% 61 6% 23 -74
Fratelli di Italia 35 6% 22 15% 58 23
Italia Viva 30 5% 19 3% 11 -19
Lega 125 20% 78 27% 108 -17
Leu 11 2% 7 0 -11
M5S 206 33% 129 14% 57 -149
PD 90 14% 56 21% 81 -9
Misto 36 6% 23 15% 57 21
630 1 394 394 337
Maggioranza (senza misto) 307 138
Maggioranza assoluta 316 -178

Forza Italia, per esempio, passerebbe da 97 componenti a 23, mentre il gruppo M5S da 206 a 57.

Le cose non cambiano al Senato:

Senato Gruppi 09/2020 In % Dopo il taglio Sondaggi 09/2020 Gruppi XIX Delta
Forza Italia 61 10% 38 6% 12 -49
Fratelli di Italia 18 3% 11 15% 29 11
Italia Viva – PSI 17 3% 11 3% 5 -12
Lega – Partito Sardo di Azione 61 10% 38 27% 54 -7
M5S 97 15% 61 14% 28 -69
PD 35 6% 22 21% 40 5
Per le autonomie 8 1% 5 1% 2 -6
Misto 21 3% 13 14% 26 5
318 1 199 196 170
0,625
Maggioranza (senza misto) 157 76
Maggioranza assoluta 160 -84

Il dato più significativo è il numero di parlamentari che l’attuale maggioranza andrà a perdere: 84, al Senato, e 178, alla Camera.

Sono tutti parlamentari necessari per l’approvazione delle riforme che dovranno fare necessariamente seguito alla riduzione dei parlamentari e, sicuramente, non gliene potrebbe fregare di meno, se così si può dire, ma temo che l’espressione sia assolutamente corretta.

In questa situazione, l’inerzia riformatrice diventa una questione di numeri e il compito di sistemare razionalmente e organicamente questa riforma spetterà alla XIX Legislatura, ovvero a una maggioranza molto probabilmente assai diversa dall’attuale e che potrebbe considerare l’attuale maggioranza con la stessa disinvoltura con cui è stata trattata nella XVIII Legislatura.

Temeraria è l’inerzia? Giovani riflessioni sul taglio dei parlamentari

in profstanco / by Gian Luca Conti
08/09/2020

Venerdì, 11 settembre 2020, alle 15:30, per chi può in presenza alla Sapienza, e per chi non può su google meet, last minute sulla riduzione del numero dei parlamentari.

Chi vuole attentare alle ragioni della democrazia rappresentativa comincia sempre con il ridurre il numero dei parlamentari o piuttosto chi vuole leggi incomprensibili cerca di aumentarlo?

Forse, il punto non è questo.

Chi vuole bene alla democrazia rappresentativa si deve chiedere come migliorare il funzionamento del Parlamento e il suo modo di essere percepito dalla società civile.

Non dipende dal numero dei suoi membri ma dei problemi che pone la rappresentanza ai cittadini di un mondo complicato ma anche più felice, molto più felice, che ai tempi della rivoluzione industriale.

Ne parlano:

Dott.ssa Antonia Maria Acierno, Laureata magistrale in Giurisprudenza, Università degli Studi di Napoli Federico II

Dott. Diego Baldoni, Dottorando di ricerca, Università degli Studi di Genova

Dott. Stefano Bargiacchi, Dottorando di ricerca, Università degli Studi di Siena

Dott. Nicolò Fuccaro, Dottore di ricerca, Università degli Studi di Genova

Dott. Francesco Neri, Laureando magistrale in Governo e Politiche, LUISS di Roma

Giulio Santini, Allievo ordinario, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Introducono e concludono Rolando Tarchi, Gian Luca Conti. Coordinano Francesca Biondi Dal Monte e Fabio Pacini.

L’evento è organizzato dal Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e dall’istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna e segue ai webinar del 25 e 26 giugno con cui fa corpo, anticipando il dibattito che inizierà subito dopo il referendum.

Locandina 11 settembre 2020 def

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