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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Impromptus

La Costituzione tradita? 75 anni dopo, ipotesi per un bilancio

in profstanco / by Gian Luca Conti
03/01/2023

La Costituzione compie, quest’anno, settantacinque anni.

Li ha compiuti, più precisamente, il 27 dicembre 1947, perché quello è il giorno in cui la Carta costituzionale è stata promulgata, anche se è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 1 gennaio 1948 e perciò, come ci ha ricordato il Capo dello Stato nel suo messaggio di fine anno, è il 1 gennaio 2023 che si festeggia il suo 75° compleanno.

Non sono pochi: lo Statuto Albertino nel 1922 aveva 74 anni. Read more →

La fiducia sul disegno di legge di conversione del cd. Decreto Rave

in profstanco / by Gian Luca Conti
28/12/2022

La discussione parlamentare sul disegno di legge di conversione del cd. Decreto Rave è piuttosto animata.

Sono state respinte le pregiudiziali di costituzionalità e il Governo ha posto la questione di fiducia, il che significa che la conversione del Decreto Rave è una questione di gabinetto: se la Camera non facesse propria la decisione di considerare un reato l’organizzazione di raduni musicali illegali, il Governo cadrebbe. Read more →

Ravanare 17

in profstanco / by Gian Luca Conti
02/11/2022

Chi comincia bene è già a metà dell’opera.

E’ il proverbio che viene in mente leggendo il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162.

La norma che, forse, dovrebbe essere oggetto di maggiore attenzione è quella che è stata messa a punto in vista della trattazione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo. Ma probabilmente il marchingegno messo in piedi per superare l’ergastolo ostativo – non si dà seguito al Fine pena mai nel caso in cui il condannato dimostri di non avere più niente a che fare con le ragioni che avevano giustificato la sua condanna, prova che forse non è molto semplice – serve solo a un aggiornamento della udienza pubblica fissata dalla Corte costituzionale all’8 novembre 2022.

La norma che, allora, vale la pena prendere in esame è l’art. 5 intitolato Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali, che introduce l’art. 434 bis, c.p. (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica), fra l’art. 434 (Crollo di costruzione e altri disastri dolosi) e l’art. 435 (Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti).

E’ una norma che nasce ad horas e che ha un intento chiaramente muscolare: ci sono stati dei ragazzi che hanno avuto l’ardire di organizzare un rave party per Halloween e il Governo non è restato con le mani in mano.

Questa norma punisce chiunque organizza o partecipa a un raduno di oltre cinquanta persone in un terreno o un fabbricato di proprietà altrui senza il consenso del proprietario se ci può essere un pericolo per la salute, l’incolumità o l’ordine pubblico.

La pena è compresa fra un minimo edittale di 3 anni e un massimo di 6 anni e come misura accessoria si prevede la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

Il primo problema è perché una norma speciale rispetto all’art. 633, c.p. che punisce l’invasione di terreni o edifici con la pena da uno a tre anni e da due a quattro anni se il fatto è commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata. Ce n’è bisogno se il fatto che viene commesso determina un pericolo per la salute, l’incolumità o l’ordine pubblico? Forse sì, può essere ragionevole.

Ma non è ragionevole se il fatto che determina il reato è l’organizzazione di un “raduno”, perché un raduno è esercizio della libertà (costituzionale) di riunione e l’esercizio di una libertà costituzionale non può costituire l’aggravante di un reato. Suona proprio male. Terribilmente male.

Il secondo problema è la nozione di ordine pubblico.

E’ facile dire che in Costituzione non c’è. E’ facile dire che è figlia di un testo unico di pubblica sicurezza che i Costituenti aborrivano per averne fatto le spese. E’ triste aggiungere che si tratta di una nozione utilizzata sempre più spesso dal legislatore e che questo accade perché la nostra società ha voglia di ordine pubblico. Più voglia di ordine pubblico che di libertà costituzionali.

Il terzo problema è la forma utilizzata per costruire il reato: un decreto legge. Dei ragazzi organizzano un rave e il Governo lo considera un motivo sufficiente a giustificare un decreto legge. I decreti legge sono atti che hanno la forza di legge per effetto di una situazione di eccezionale urgenza che non tollera ritardi per essere affrontata. Il raduno di Modena, sgomberato la mattina successiva, o quello del Salviatino, poco più di un pubblico schiamazzo, non sembrano raggiungere questa soglia.

Ma soprattutto se succede qualcosa che il Governo considera disdicevole, il Governo può ricorrere al decreto legge per vietarlo? Sembra molto forte e soprattutto molto in contrasto con il divieto di norme penali eccezionali.

Sono tutte considerazioni ovvie per un costituzionalista e sicuramente un penalista ne potrebbe aggiungere altrettante, ancora più forti.

Il punto, però, è che più che essere il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, sembra il 31 ottobre 1922, n. 162…

Fra Draghi e Conte, c’è Forlani? (Non fiducia, Fiducia sfiduciante e Fiducia intermittente)

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/07/2022

I senatori del Movimento 5 Stelle si sono allontanati dall’aula al momento del voto di fiducia al Governo Draghi sulla conversione del decreto aiuti.

Draghi è salito al Quirinale annullando il Consiglio dei Ministri già fissato per le 15:30. Ha parlato per un’ora con il Capo dello Stato. E’ rientrato a Palazzo Chigi e ha convocato un nuovo Consiglio dei Ministri che si sta svolgendo mentre si scrivono queste righe.

La tesi di Conte, il leader del Movimento 5 Stelle, che pare avere il convinto sostegno di Di Battista e di Grillo, è che il Movimento sostiene convintamente il Governo da cui non ritira i propri ministri ma non può accettare di votare a favore di provvedimenti che si pongono in contrasto con la transizione ecologica.

I precedenti parlamentari sono due: il governo della non sfiducia di Andreotti (1976) e il fallito governo della fiducia sfiduciante di Forlani (1987).

Il primo precedente ha un che di antico e di nobile: è il Governo che ha gestito l’affare Moro, quello delle convergenze parallele o del compromesso storico (che non sono due espressioni per lo stesso fenomeno ma due visioni opposte del futuro). In questo caso, la fiducia fu votata da 258 deputati su 630, con 44 no e 328 astenuti; al Senato i “sì” furono 137 su 315, con 17 no e 161 astenuti. La visione che stava dietro alla non fiducia era la necessità di condividere scelte di grande impatto per la società. E’ di questo Governo sia il d.P.R. 616/1977, di attuazione del sistema regionale, che la riforma del sistema sanitario e quella del bilancio dello Stato. Condividere delle scelte trasversali rispetto all’indirizzo politico non significa condividere la visione politica della Società dei partiti che formano la maggioranza di Governo amalgamando le proprie ideologie. Per questo, coerentemente, il P.C.I., ma anche il Partito Socialista, quello Repubblicano, il Socialdemocratico e i liberali, hanno sostenuto il Governo nei voti parlamentari, non ne hanno provocato la caduta votando la sfiducia, ma non hanno partecipato né alla votazione della fiducia, che vale come adesione rispetto a un programma, né al Governo indicando taluni dei ministri che vi parteciparono.

Molto diverso lo sceneggiato che andò in onda il 23 aprile 1987, d’altraa parte Drive In e Colpo Grosso avevano preso il posto di Sandokan, con protagonisti Forlani, Craxi, Pannella, Martinazzoli e, perfino, Nicolazzi. Forlani aveva i numeri per confezionare un esecutivo di fine legislatura. Craxi fece crollare questa ipotesi annunciando il voto favorevole dei socialisti. Martinazzoli, di cui tutto si può dire ma non che fosse una persona seria, per evitare che i democristiani fossero condizionati dai socialisti nell’esperienza di governo, fece sì che i parlamentari D.C. si astenessero dal voto, con il risultato che un monocolore D.C. non passò per effetto dell’astensione dei parlamentari della D.C.

In questa operazione, vi era tutta la genialità regolamentare di Pannella e l’arrogante spavalderia di Craxi.

In entrambi i casi, si rivela la sostanza etica della fiducia parlamentare: nella “non sfiducia” dell’Andreotti III, il P.C.I. accetta di sostenere una politica che ritiene essere nell’interesse della Repubblica ma non può ideologicamente condividere la responsabilità del Governo, perché la sua ideologia gli consente di condividere determinate scelte ma non gli consente di condividere la visione generale degli interessi della Nazione che amalgama i partiti della maggioranza di Governo e che consente al Presidente del Consiglio di operare l’attività di sintesi che chiamiamo indirizzo politico. E’ la stessa visione che giustifica il rifiuto di Martinazzoli ad accettare una fiducia sfiduciante: se chi mi dà la fiducia, non ha la mia stessa visione degli interessi della Nazione, la fiducia è un sofisma, perché non esprime l’indirizzo politico che giustifica l’unione fra esecutivo e rappresentanza.

Il ragionamento di Conte è esattamente il contrario: posso stare al Governo anche se non ne condivido singole scelte.

In un mondo normale, un mondo diverso dai monster movies che passano in questi giorni sull’Ansa, chi non condivide una scelta deve fare del proprio meglio perché quella scelta non produca conseguenze e se non ci riesce si deve dimettere.

Se non mi piace risolvere con un termovalorizzatore l’emergenza dei rifiuti di Roma, devo cercare soluzioni alternative, continuando a incenerire i rifiuti della capitale a Torino; se non mi piace che in un testo di conversione di un decreto legge vi siano delle disposizioni disomogenee, devo protestare alla Camera nel Comitato per la Legislazione e al Senato in Commissione Affari Costituzionali, e così via. Non mi posso allontanare e lasciare che quella scelta faccia il proprio corso.

Non è una cosa seria.

E’ difficile immaginare che cosa deciderà Draghi, se dimettersi irrevocabilmente, come pareva avere anticipato nelle sue ultime dichiarazioni, o se tornare alle Camere per un nuovo voto di fiducia.

Sicuramente, però, Conte sta introducendo un nuovo modello di non fiducia: la fiducia intermittente e questo pare in assoluto contrasto con l’essenza del nostro regime parlamentare e, forse, anche con l’essenza logica del regime parlamentare.

P.s.

Draghi, alla fine, si è dimesso e Mattarella gli ha chiesto di presentarsi alla Camere, parlamentarizzando la crisi, che è diventata una cosa seria, assolutamente seria.

Il nodo politico della questione è anche costituzionale: l’unica alternativa nell’effettivo interesse del Paese sembra essere un governo a guida Draghi formato esclusivamente da tecnici e fondato sulla Non Fiducia di tutti i partiti politici.

Una sorta di estremizzazione del compromesso storico e della logica delle convergenze parallele che odora molto di Giolitti e rammenta da vicino la non ideologia che ha caratterizzato il De Pretis del discorso di Stradella.

Potrebbe essere arrivato il momento di staccare definitivamente la funzione di Governo dai partiti politici: se i partiti politici non esistono più, perché devono ostacolare una funzione che è sempre più vicina all’amministrazione in senso tecnico e distante dall’indirizzo politico?

Sicuramente è l’unica ipotesi che potrebbe consentire di arrivare a una riforma della legislazione elettorale che tenga conto della riduzione del numero dei parlamentari.

P.p.s.

Conte ha la stessa statura Shakespeariana di Lino Banfi, con tutta la stima per l’avanspettacolo in politica che chi scrive è capace di manifestare.

Si è trovato in una situazione assai complicata da gestire nel momento in cui ha perso Palazzo Chigi. Era il momento di abbandonare la politica, scegliere la via dell’esilio, allontanarsi dal palcoscenico.

Non ha voluto farlo e ha dovuto subire il tradimento dell’ala governista del Movimento e non ha compreso che l’ala più estremista aveva un unico interesse: fare cadere il Governo restando pura.

Lo ha fatto.

Suicidandosi, perché voglio vedere se Di Battista e Grillo si lasciano guidare dalla sua autorevolezza in una campagna elettorale tutt’altro che semplice.

Suicidando anche il P.D. perché in queste condizioni un campo largo è impossibile. Ma, per una volta, si potrà capire che l’opposizione è l’unico punto di partenza ragionevole per costruire una proposta politica e di lungo periodo.

Aristotele e la guerra in Ucraina

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/05/2022

E’ facile seguire la Carlassarre sul valore assiologico dell’art. 11, Cost. (L. Carlassarre, L’art. 11, Cost. nella visione dei Costituenti, in Costituzionalismo, 2013). Quella disposizione, lo chiarisce Ruini (Assemblea seduta pomeridiana del 24
marzo 1947), esprime il proprio valore normativo nella caratterizzazione lessicale del divieto: rifiutare avrebbe significato soltanto non accettare, condannare avrebbe significato che l’illegittimità derivava da un ordine diverso e superiore a quello costituzionale, ripudiare, invece, è il verbo che nasce dalla necessità di allontanare chi ci ha tradito e la condanna della guerra è la condanna di un sistema di soluzione delle controversie che tradisce la natura stessa del patto costituzionale, che viola la radice del legame su cui la Repubblica fonda il proprio sistema di valori.

E’ una pista interpretativa, ma anche etica, che sembra condurre a una scelta necessaria di neutralità: la condanna della guerra sembra dover riguardare entrambe le parti del conflitto. L’una si sostiene ha aggredito l’altra per delle ragioni che esistono e che hanno una sicura caratura politica e ideologica. L’altra non poteva non difendersi.

La condanna della guerra non può che essere incondizionata, secondo questo schema interpretativo. Impone una scelta per la neutralità e non ci possono essere ragioni superiori al valore espresso dalla condanna costituzionale.

Eppure non è così.

Condannare la guerra significa condannare tutti coloro che non ripudiano la guerra. Vale per un mettersi incondizionatamente dalla parte di chi è vittima di una guerra. Impone un esercizio complesso e intimamente politico perché obbliga, in caso di conflitto a schierarsi da una parte o dall’altra. Scegliere quale delle due o più parti del conflitto è stata costretta alla guerra e quale invece ha scelto di utilizzare la forza per affermare la propria volontà di dominio.

Aristotele ricorda che fra le leggi promulgate da Solone vi era quella che puniva l’atimia (Athen. Poi, 8, 5), ovvero il rifiuto di prendere parte in una guerra civile per l’una o per l’altra parte. In questo caso, il colpevole veniva allontanato per sempre dalla città e i suoi beni venivano confiscati (si ob discordiam dissensionemque seditio atque discessio populi in duas partes fiet et ob earn causam irritatis animis utrimque arma capientur pugnabiturque, tum qui in eo tempore in eoque casu civilis discordiae non alterutrae parti sese adiunxerit, sed solitarius separatusque a communi malo civitatis secesserit, is domo, patria fortunisque omnibus careto, exsul extorrisque esto, si legge in Gellio, mentre Cicerone sosteneva che si applicasse la pena capitale, il tutto in L. Piccirilli, Aristotele e l’atimia (Athen. Pol., 8, 5), in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, 1976).

Il cittadino che non prende parte alla guerra civile, vuoi per l’una o per l’altra parte, ma si isola nella propria solitaria neutralità, non merita di appartenere più alla sua comunità.

Sono questi i valori che permettono di rileggere l’art. 11, Cost. e applicarlo alla guerra in Ucraina e alle complesse questioni poste da questo evento.

L’art. 11, Cost. non si limita a ripudiare la guerra ma impone alla comunità statale di determinare la propria posizione rispetto alla controversia in essere. Questa posizione non può essere di neutralità ma impone di condannare fermamente la parte o le parti che, in quel determinato conflitto, meritano di essere condannate.

Nonostante le conseguenze “imprevedibili” minacciate da Putin nei suoi discorsi rivolti ai paesi occidentali, conseguenze che non sono mai state affrontate nella storia, sempre per ricordare i discorsi di questo uomo politico.

Certo sono valori, quelli costituzionali e, in particolare, la scelta pacifista del ripudio della guerra, che tendono a evaporare nella società contemporanea che non conosce la disperata fame di libertà dei Costituenti, il loro entusiasmo di schiavi liberati, la forza della loro gioventù.

La nostra è una società che guarda la guerra su uno schermo al plasma, dove droni e bombe intelligenti sfidano le serie di Netflix e un miliardario egotico manifesta la volontà di diventare il principale imprenditore della libertà di manifestazione del pensiero.

Una società che ha preferito rinunciare alle più liberali e classiche libertà negative per salvaguardare il proprio benessere mentre un morbo sottilmente orribile lo minacciava.

Questo mondo non è il mondo dei Costituenti che avevano letto Aristotele e avevano imparato dall’Aventino il prezzo dell’atimia.

L’art. 11, Cost. non ripudia solo la guerra, condanna anche e soprattutto l’atimia ma è l’atimia, la disperata solitudine di chi si rifiuta a prendere parte a un conflitto perché teme per il proprio benessere, il sentimento che guida la società in questo difficile tratto di storia.

Non solo le posizioni indiane o cinesi di ipocrita neutralità, ma anche la scelta di chi, per un verso, sostiene le ragioni di un popolo invaso e assediato e, per altro verso, non rinuncia alle materie prime e alle commodities dal cui commercio trae alimento un’oligarchia che ha avuto bisogno di una guerra per mantenersi al potere.

Come mi chiamo? (La Corte e i cognomi)

in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2022

Notoriamente la Corte costituzionale ha sempre ragione.

Anzi: la Corte costituzionale è una metafora della vita e non vi è evento della vita di un individuo che non possa essere risolto ricorrendo alla sua giurisprudenza.

La dottrina della Corte per molti costituzionalisti è l’equivalente del Talmud per un rabbino ortodosso.

Anche se, ovviamente, non hanno mai letto il Talmud. O, si potrebbe dire, non hanno letto neppure il Talmud.

L’ultima sentenza della Corte costituzionale di cui è stata data notizia a mezzo comunicato stampa è piuttosto divertente.

La Corte è stata investita della questione di legittimità costituzionale delle norme che impediscono ai genitori, se d’accordo, di dare al proprio figlio il cognome della madre anziché del padre e, giustamente, l’ha dichiarata costituzionalmente illegittima.

La conseguenza naturale sul piano additivo avrebbe dovuto essere che da qui in avanti i genitori possono scegliere se dare al proprio figlio il cognome dell’uno o dell’altro o di entrambi e che in assenza di questa scelta vale la previsione codicistica argomentata dall’art. 262, c.c. (sul punto, Corte cost. 282/2016).

La Corte, però, è andata più in là e ha stabilito che secondo gli artt. 2, 3 e 117, Cost., ciascuno dei genitori può, con l’accordo dell’altro, dare il proprio cognome al figlio e che in mancanza di una scelta di questo genere il figlio deve avere entrambi i cognomi. In quest’ultimo caso, però, i genitori devono trovare un accordo circa l’ordine nel quale i due cognomi devono comparire nei documenti. In assenza di accordo, specifica il comunicato stampa, si deve interpellare il giudice tutelare il quale deciderà (in base a quali criteri?) quale sia il cognome che risponde maggiormente all’interesse del minore. Read more →

Dal fumus persecutionis al fumus mutationis (Il bello della pregiudizialità parlamentare)

in profstanco / by Gian Luca Conti
05/11/2021

Le tesi sono, anche, l’inizio di un dialogo in cui si propone un percorso di ricerca, spesso poco più di una intuizione e si lascia una curiosità libera di muoversi, di cercare, divagare, con quella libertà priva di pregiudizi che è di chi comincia uno studio e non appartiene più a chi oramai studia da troppo tempo per non immaginare il colpevole già sullo scaffale della libreria dove un giallo vorrebbe attirare la sua attenzione.

L’intuizione, in questo caso, era che il tema dei conflitti da immunità stia subendo una mutazione, stia abbandonando le imbarazzanti torsioni che hanno caratterizzato e si stia stabilizzando lungo le direttrici della pregiudiziale parlamentare, e, forse, senza gli inconvenienti con cui questa evoluzione era stata accolta dagli studiosi più affamati di giustizia costituzionale.

Questa intuizione si basa su di una evidenza: i conflitti da 68, quasi una nuova attribuzione della Corte disegnata dalla legge 140/2003, si sono drasticamente ridotti e hanno perso progressivamente di mordente, ma non sono affatto diminuiti i casi della vita che cadono nell’ambito di applicazione dell’art. 68, Cost., vuoi sub specie di inviolabilità che di insindacabilità.

Di qui, l’idea che la pregiudizialità parlamentare, alla fine, abbia funzionato bene, che il Parlamento sia riuscito a regolare in maniera efficacemente razionale il proprio terribile privilegio, sia riuscito a trasformare il proprio privilegio in un assieme di valori che ne regolano l’understatement nei confronti della funzione giurisdizionale.

E, forse, una conclusione: se la Corte ha operato come ultima fortezza nell’affermazione di alcuni principi in materia di funzione parlamentare, se storicamente queste sentenze della Corte costituzionale si collocano nel momento in cui le Camere avevano massimamente perso la propria legittimazione nei confronti dell’opinione pubblica, se in quei tormentati tempi il nodo era il tono costituzionale delle prerogative esercitate dai parlamentari nel momento in cui gli stessi si avvalevano di un odioso privilegio, ecco, oggi, tutto questo è cambiato.

Lo sfoglio della giurisprudenza parlamentare sui conflitti racconta un’altra dimensione. Da una parte, si muovono piccole beghe da gruppo parlamentare, la bassa cucina delle offese che passano ai gestacci e che hanno già trovato la sanzione dell’ufficio di presidenza, le solite vicende di diffamazione che nascondono antiche inimicizie e reciproche avversità politiche. Dall’altra parte, la resistenza del parlamentare alle intercettazioni, utilizzate dai pescherecci dell’accusa come reti a strascico.

In tutti e due questi esempi, ma tanti altri varrebbe la pena di farne, quello che pare di vedere è un cambiamento di direzione nel tono del conflitto. Quello che conta non è più il tono costituzionale dell’esercizio del privilegio parlamentare, ma il tono giurisdizionale nell’esercizio del processo penale.

Un fenomeno che ha rappresentato in maniera molto felice un refuso del laureando che ha cercato di indagare questo argomento: dal fumus persecutionis al fumus mutationis.

Il Draghi della Gran Risa

in profstanco / by Gian Luca Conti
15/02/2021

1 – L’inizio della Gran Risa è un bivio.

Da una parte, la Gran Risa nera, che è un lungo brivido per sciatori esperti, dall’altra parte l’Alting, che è una pista non meno bella ma decisamente più semplice.

Anche il Presidente del Consiglio si trova dinanzi a un bivio e restare immobili fra il muro della Gran Risa e le cunette della Alting non è una scelta saggia.

Da una parte, può segnare una rottura rispetto a ogni tradizione e cercare di muoversi lungo la pista dell’autorevole imparzialità.

E’ il muro della Gran Risa.

Dall’altra parte, può lanciarsi molleggiato sulle cunette delle mediazioni fra forze politiche strenuamente antagoniste.

Sono le cunette della Alting. Read more →

Filippo non è Beppe

in profstanco / by Gian Luca Conti
12/02/2021

Filippo Nogarin è, per chi scrive, soprattutto un amico, ma è, credo per tutti, una persona di profonda onestà intellettuale e di grande levatura morale.

Questo, indipendentemente, dalle convinzioni politiche.

Il punto di vista di Filippo sulla fiducia per il Governo Draghi è ampiamente condivisibile. E’ un punto di vista animato da buona fede e preoccupato essenzialmente delle sorti della Repubblica.

Forse, ha una diversa consistenza la posizione di Beppe Grillo, l’iperleader del Movimento 5 Stelle.

E’ una posizione che è destinata a determinare una vera e propria rottura all’interno del Movimento, come ha prontamente segnalato Di Battista.

Nello stesso tempo, a essere realisti, non è detto che le due anime del Movimento 5 Stelle non possano riunirsi prontamente alla scadenza della Legislatura: l’Elevato non dovrebbe avere problemi a ritrovare l’unità.

Se è riuscito a giustificare l’adesione al progetto Draghi, può fare qualsiasi cosa.

La verità, una verità sottile e maligna, indegna di essere confessata, è che con Draghi le opposizioni scarseggiano. Rischia di esserci solo la Meloni. Ma se c’è solo la Meloni, una cascata di commissioni parlamentari e di organismi autorevolmente indipendenti devono essere affidati a Fratelli di Italia.

Un po’ troppo.

Meglio dividersi in due tronconi e partecipare a entrambe le mense che vengono apparecchiate dalla saggezza del Capo dello Stato.

Scosso Conte (il meriggiare delle consuetudini costituzionali)

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/02/2021

1 – L’unico esempio ragionevolmente certo di consuetudine costituzionale è stato fino alle dimissioni di Conte dal Governo e dall’incarico a Draghi la prassi delle consultazioni e il ruolo decisivo di gruppi parlamentari e partiti politici nella formazione della compagine di Governo.

Draghi ha mantenuto la prassi delle consultazioni, ma ne ha più che ridotto l’ambito. Servono al Presidente incaricato per verificare la possibilità di raccogliere più gruppi parlamentari intorno ai valori cardine dell’indirizzo politico.

Non servono per trasformare l’indirizzo politico in un mercato di incarichi più o meno significativi ma comunque importanti per giungere al voto di fiducia.

Si può dire che è già accaduto con il Governo Ciampi nel 1993 e un tanto conferma che nelle situazioni di emergenza le consuetudini costituzionali meriggiano.

In questo caso, sarebbe bello se tramontassero e, forse, la rielezione di Mattarella potrebbe favorire questo percorso di riavvicinamento al valore normativo più profondo della fiducia parlamentare, un valore che peraltro non ha avuto neppure al tempo di Cavour. Read more →

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