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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Archive for category: profstanco

Scosso Conte (il meriggiare delle consuetudini costituzionali)

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/02/2021

1 – L’unico esempio ragionevolmente certo di consuetudine costituzionale è stato fino alle dimissioni di Conte dal Governo e dall’incarico a Draghi la prassi delle consultazioni e il ruolo decisivo di gruppi parlamentari e partiti politici nella formazione della compagine di Governo.

Draghi ha mantenuto la prassi delle consultazioni, ma ne ha più che ridotto l’ambito. Servono al Presidente incaricato per verificare la possibilità di raccogliere più gruppi parlamentari intorno ai valori cardine dell’indirizzo politico.

Non servono per trasformare l’indirizzo politico in un mercato di incarichi più o meno significativi ma comunque importanti per giungere al voto di fiducia.

Si può dire che è già accaduto con il Governo Ciampi nel 1993 e un tanto conferma che nelle situazioni di emergenza le consuetudini costituzionali meriggiano.

In questo caso, sarebbe bello se tramontassero e, forse, la rielezione di Mattarella potrebbe favorire questo percorso di riavvicinamento al valore normativo più profondo della fiducia parlamentare, un valore che peraltro non ha avuto neppure al tempo di Cavour. Read more →

La crisi del Conte bis dal punto di vista del Semestre Bianco

in profstanco / by Gian Luca Conti
03/02/2021

I cronisti più attenti hanno ben sottolineato il ricordo che ieri il Capo dello Stato ha fatto circolare in occasione del centotrentesimo anniversario dalla nascita di Antonio Segni.

In questo ricordo, Mattarella ha ricordato come Segni avesse proposto due riforme istituzionali estremamente incisive: il divieto di un secondo mandato per il Capo dello Stato e, di conseguenza, la soppressione della possibilità di un secondo mandato, che, sinora, è stato concesso solo a Napolitano in un momento di profonda crisi del sistema.

I due grandi contendenti della crisi di governo non hanno trovato un punto di equilibrio ed il truello nel quale si erano annodati è finito con il massacro di entrambi. Non è facile immaginare che Conte possa costruire un movimento politico a partire dalla complessa accozzaglia di parlamentari che ha avventurosamente raccolto in Parlamento ed è decisamente difficile immaginare che la percezione da parte della opinione pubblica di un ruolo meramente demolitorio di quello che oramai viene chiamato il senatore di Rignano perché Scandicci si è rifiutata di concedergli la cittadinanza possa condurre a un successo elettorale.

E’ sicuramente una buona notizia per il paese: l’accordo fra Renzi e Conte avrebbe condotto a un Governo del metacentro instabile ed entrambi avrebbero guardato alle due grandi sfide dei prossimi anni di legislatura (il recovery plan e la legislazione elettorale) in chiave essenzialmente utilitaristica.

Al contrario, un Governo guidato da Draghi, soprattutto se formato da tecnici e soprattutto se appoggiato da una larga coalizione, potrebbe garantire al paese una guida capace di convincere i nostri partner europei e di dare ai nostri figli delle ragioni per pagare i debiti che si ritroveranno sulle spalle, ma anche di riequilibrare il gioco politico con una legislazione elettorale seria e ragionevole.

Il vero nodo, però, riguarda l’elezione del prossimo Capo dello Stato. I sette anni di Mattarella scadranno nei primi mesi del 2022 ovvero nel pieno di una stagione, nella quale, se Draghi dovesse ricevere la fiducia del Parlamento e questa si fondasse su di una larga coalizione, gli accordi politici saranno cementati dalla approvazione della prima manovra di bilancio post recovery plan.

In quello scenario, la maggioranza politica dovrebbe essere formata dal Partito Democratico, Forza Italia e Italia Viva, con la probabile astensione della Lega e, forse, una parte del Movimento 5 Stelle, che potrebbe uscire assai male dall’attuale crisi di Governo.

E’ uno scenario che renderà molto difficile al Partito Democratico giocare un ruolo da King Maker nella elezione del nuovo Capo dello Stato e questa era una parte degli accordi su cui si era fondato il Conte bis e si stava negoziando il Conte ter.

Si riproporrà la situazione che stiamo vivendo adesso: la crisi delle alleanze forti e strategiche generata dalla natura fluida del consenso elettorale del Movimento 5 Stelle determinerà la ricerca di nuove formule politiche che per poter essere praticabili dovranno uscire dalla politica.

Si apre, insomma, uno scenario che non rende impossibile immaginare Marta Cartabia Presidente della Repubblica, o, persino, la rielezione di Mattarella, che ha detto di non essere disposto a un secondo incarico, ma al quale non manca il senso di responsabilità, l’autorevolezza, l’imparzialità e l’intelligenza per affrontarlo.

E forse anche questi non sono scenari da disprezzare.

La crisi del Conte bis, fra truello e metacentri instabili

in profstanco / by Gian Luca Conti
29/01/2021

1 – La crisi del Governo Conte bis è tutt’altro che incomprensibile. Lo può sembrare dalla comunicazione di questi giorni e dai meccanismi che si sono azionati grazie alla impazienza di Renzi.

Non lo è affatto sia dal punto di vista costituzionale che dal punto di vista politico.

Sul piano politico, è facile osservare che Conte era arrivato ad occupare una posizione sempre più ingombrante in vista sia della elezione del Capo dello Stato che della prossima legislatura. La crescita del suo prestigio era destinata o alla conquista della leadership sul Movimento 5 Stelle o alla costruzione di un movimento politico autonomo che avrebbe eroso il consenso sia del Movimento 5 Stelle che del Partito Democratico.

Sotto questo aspetto, la impazienza di Renzi è tornata utile a entrambe le Parti dell’alleanza giallo rosa. Read more →

-10 (giorni al referendum) e due tabelle (le Camere dopo il taglio)

in profstanco / by Gian Luca Conti
11/09/2020

Le ragioni del “SI” e del “NO” non sono contrapposte più di tanto, ma sono semplicemente espressione di un diverso modo di guardare alla Costituzione.

Quello che stupisce è vedere il popolo – apparentemente schierato in larghissima maggioranza per il taglio dei parlamentari – e le elites, assai più variegati nel loro giudizio su questa riforma, il che consente a chi l’ha promossa (a tutti coloro che l’hanno promossa) di vantare una forza politica e una capacità di rappresentanza forse eccessiva rispetto ai sondaggi.

Quello che è certo è che il taglio dei parlamentari ha bisogno di un seguito attivo da parte del Parlamento, sia in punto di adeguamento della legislazione elettorale che di modifica dei regolamenti parlamentari.

Entrambi adempimenti che postulano una maggioranza solida e coesa: le modifiche dei regolamenti parlamentari hanno bisogno della maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea che le approva e una legge elettorale suona come un “tutti a casa”, sicché i parlamentari di maggioranza tendono ad approvarla solo in prossimità della scadenza naturale della legislatura.

Il problema, però, il vero problema, è che gran parte dei membri dell’attuale legislatura sanno che nella prossima legislatura potrebbero non essere rieletti per l’effetto combinato della riduzione del numero dei parlamentari e dei sondaggi circa il consenso registrato dai partiti politici che li hanno accolti nelle loro liste.

Questa è la situazione alla Camera:

Camera Gruppi 09/2020 In % Dopo il taglio Sondaggi 09/2020 Gruppi XIX Delta
Forza Italia Berlusconi Presidente 97 15% 61 6% 23 -74
Fratelli di Italia 35 6% 22 15% 58 23
Italia Viva 30 5% 19 3% 11 -19
Lega 125 20% 78 27% 108 -17
Leu 11 2% 7 0 -11
M5S 206 33% 129 14% 57 -149
PD 90 14% 56 21% 81 -9
Misto 36 6% 23 15% 57 21
630 1 394 394 337
Maggioranza (senza misto) 307 138
Maggioranza assoluta 316 -178

Forza Italia, per esempio, passerebbe da 97 componenti a 23, mentre il gruppo M5S da 206 a 57.

Le cose non cambiano al Senato:

Senato Gruppi 09/2020 In % Dopo il taglio Sondaggi 09/2020 Gruppi XIX Delta
Forza Italia 61 10% 38 6% 12 -49
Fratelli di Italia 18 3% 11 15% 29 11
Italia Viva – PSI 17 3% 11 3% 5 -12
Lega – Partito Sardo di Azione 61 10% 38 27% 54 -7
M5S 97 15% 61 14% 28 -69
PD 35 6% 22 21% 40 5
Per le autonomie 8 1% 5 1% 2 -6
Misto 21 3% 13 14% 26 5
318 1 199 196 170
0,625
Maggioranza (senza misto) 157 76
Maggioranza assoluta 160 -84

Il dato più significativo è il numero di parlamentari che l’attuale maggioranza andrà a perdere: 84, al Senato, e 178, alla Camera.

Sono tutti parlamentari necessari per l’approvazione delle riforme che dovranno fare necessariamente seguito alla riduzione dei parlamentari e, sicuramente, non gliene potrebbe fregare di meno, se così si può dire, ma temo che l’espressione sia assolutamente corretta.

In questa situazione, l’inerzia riformatrice diventa una questione di numeri e il compito di sistemare razionalmente e organicamente questa riforma spetterà alla XIX Legislatura, ovvero a una maggioranza molto probabilmente assai diversa dall’attuale e che potrebbe considerare l’attuale maggioranza con la stessa disinvoltura con cui è stata trattata nella XVIII Legislatura.

Temeraria è l’inerzia? Giovani riflessioni sul taglio dei parlamentari

in profstanco / by Gian Luca Conti
08/09/2020

Venerdì, 11 settembre 2020, alle 15:30, per chi può in presenza alla Sapienza, e per chi non può su google meet, last minute sulla riduzione del numero dei parlamentari.

Chi vuole attentare alle ragioni della democrazia rappresentativa comincia sempre con il ridurre il numero dei parlamentari o piuttosto chi vuole leggi incomprensibili cerca di aumentarlo?

Forse, il punto non è questo.

Chi vuole bene alla democrazia rappresentativa si deve chiedere come migliorare il funzionamento del Parlamento e il suo modo di essere percepito dalla società civile.

Non dipende dal numero dei suoi membri ma dei problemi che pone la rappresentanza ai cittadini di un mondo complicato ma anche più felice, molto più felice, che ai tempi della rivoluzione industriale.

Ne parlano:

Dott.ssa Antonia Maria Acierno, Laureata magistrale in Giurisprudenza, Università degli Studi di Napoli Federico II

Dott. Diego Baldoni, Dottorando di ricerca, Università degli Studi di Genova

Dott. Stefano Bargiacchi, Dottorando di ricerca, Università degli Studi di Siena

Dott. Nicolò Fuccaro, Dottore di ricerca, Università degli Studi di Genova

Dott. Francesco Neri, Laureando magistrale in Governo e Politiche, LUISS di Roma

Giulio Santini, Allievo ordinario, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Introducono e concludono Rolando Tarchi, Gian Luca Conti. Coordinano Francesca Biondi Dal Monte e Fabio Pacini.

L’evento è organizzato dal Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa e dall’istituto Dirpolis della Scuola Superiore Sant’Anna e segue ai webinar del 25 e 26 giugno con cui fa corpo, anticipando il dibattito che inizierà subito dopo il referendum.

Locandina 11 settembre 2020 def

183 costituzionalisti

in profstanco / by Gian Luca Conti
24/08/2020

L’appello dei 183

183 costituzionalisti, fra i quali anche chi scrive, hanno firmato un appello agli elettori contro la riduzione del numero dei parlamentari.

Il senso di questo appello per chi scrive è evitare un grande malinteso: tagliare il numero dei parlamentari non risolverà i problemi della democrazia italian style.

Nello stesso tempo, però, occorre anche ammettere che se il numero dei parlamentari dovesse essere effettivamente ridotto la democrazia rappresentativa italiana non soffrirebbe più di tanto.

Il vero problema, la quadratura del circolo, nel linguaggio di uno dei più attenti studiosi del diritto elettorale (Giovanni Schepis), non riguarda il numero dei parlamentari ma il ruolo del Parlamento nel sistema politico e la soluzione di questo problema sta nella legittimazione del Parlamento dinanzi alla società civile che manca e manca per ragioni storiche almeno a far data dal 1992 e da quel terribile commiato delle istituzioni rappresentative che fu il discorso di Craxi alla Camera del 3 luglio 1992:

nella vita democratica di una nazione non c’è nulla di peggio del vuoto politico

La quadratura di questo circolo non sta sicuramente nel numero dei parlamentari: 630 deputati e 315 senatori vivono lo stesso vuoto politico di 400 deputati e 200 senatori. Read more →

Il segreto pandemico

in profstanco / by Gian Luca Conti
30/04/2020

Il segreto pandemico

Qualche giorno fa, si è provato a indagare il complesso rapporto fra principio di precauzione e segreto di Stato.

Quelle pagine sono state lungimiranti: in effetti, pochi giorni dopo, il ministro della Salute, Roberto Speranza è stato convocato dinanzi al Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica).

Non è dato sapere che cosa ha spiegato al Comitato parlamentare, il cui resoconto sommario non racconta molto. Anche se dice che il ministro è stato ascoltato per due ore, che non sono poche e non è frequente che un ministro per la Salute sia convocato dal Copasir.

Ci si deve, quindi, chiedere se le notizie “vere” sulla pandemia siano o meno oggetto di un segreto di Stato (o comunque di una “riservatezza” di Stato) e stupisce che non ci sia stata sul punto, in un Parlamento per niente indifferente al sindacato ispettivo, una interrogazione, magari a risposta immediata o una interpellanza, magari urgente da parte dell’Aula di Palazzo Madama o Montecitorio.

Il punto, però, è un altro.

Le notizie “vere” sulla pandemia potrebbero essere tenute riservate per due opposti ordini di ragioni. Da una parte, il Governo potrebbe ritenere che queste notizie, se di dominio pubblico, potrebbero scatenare il panico fra la popolazione. In questo caso, la riservatezza potrebbe non essere irragionevole, anche se discutibile la sua trattazione da parte del Copasir e non dall’aula, magari riunita, come si usa in tempo di guerra, senza resoconto stenografico e con vincolo di segretezza.

Dall’altra parte, le  notizie “vere” potrebbero essere molto meno pessimistiche di quelle che i bollettini della protezione civile diffondono di giorno in giorno, con una attendibilità statistica che è stata posta in dubbio fin dai primi giorni della pandemia, quando il presidente dell’ISTAT ha dichiarato che la cosa migliore, sul piano della attendibilità scientifica, sarebbe stata selezionare dei campioni significativi della popolazione e verificare su questi campioni l’andamento del virus.

In questo caso, il Governo, anzi il Presidente del Consiglio dei Ministri, avrebbe tenuto segrete delle notizie che, in realtà, rivelano un reato perché l’aver sospeso le libertà costituzionali dell’intera popolazione per sessanta interminabili giorni, impedendo lo svolgimento di elezioni e consultazioni referendarie, costituisce qualcosa di vicino all’attentato alla Costituzione se non viene più che congruamente motivato e la motivazione regge alla prova dei fatti.

Sotto questo aspetto, vi è da rammentare che il segreto di Stato, ai sensi dell’art. 39, legge 124/2007, può essere apposto anche sui fatti che possono integrare il reato di attentato alla Costituzione (l’art. 39 esclude dal segreto di Stato gli artt. 282, 416 bis, 416 ter, e 422, c.p. non l’art. 283); che, in questo caso, il responsabile dell’attentato alla Costituzione sarebbe il Presidente del Consiglio dei Ministri; che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha il potere di apporre il segreto di Stato (art. 39, quarto comma, legge 124); che è il Presidente del Consiglio dei Ministri che riferisce al Copasir in materia di segreto di Stato (art. 34, legge 124).

In altre parole, il capo del Governo può apporre il segreto di Stato su fatti che costituiscono il fondamento di un attentato alla Costituzione, anche nel caso in cui l’attentato alla Costituzione sia stato commesso dallo stesso capo del Governo.

Naturalmente, sarebbe una situazione sudamericana, alla quale nessuno vuole neppure pensare.

Quello che invece si deve pensare, con ragionevole prudenza e un alto senso delle istituzioni, è se colui che ha governato una situazione di emergenza ricorrendo all’antica e perigliosa categoria degli arcana imperii, possa anche gestire l’assai più delicata fase della ricostruzione. Perché un’unica cosa è davvero sicura in questo contesto: che la pandemia lascerà il paese in ginocchio, alla pari di un conflitto mondiale, e non è necessario il mestiere di storico per rammentare che i fondi per la ricostruzione dopo l’ultimo conflitto mondiale hanno consentito alla Democrazia Cristiana di costruire un consenso clientelare durato oltre trent’anni.

Egualmente non è necessario il mestiere dell’indovino per immaginare che questa sia la vera partita del futuro, una partita su cui l’affrettata conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri di domenica 27 aprile ha già inteso mettere una seria ipoteca.

Si dirà che Conte è solo, che dietro di sé non ci sono partiti politici, come si è dimostrato anche nel caso delle ultime nomine governative, quando Conte è dovuto tornare indietro e rispettare le indicazioni provenienti dai suoi sponsor.

Ma, sempre con il mestiere dell’indovino, non è difficile immaginare che l’ambizioso capo del Governo possa trovare un partito e gli ultimi movimenti di Forza Italia, con la quale l’antropologia del Presidente del Consiglio dei Ministri vanta non pochi punti in comune, potrebbero andare esattamente in questa direzione.

D’altra parte, se la partita vera è la gestione dei fondi per la ricostruzione, non si può pensare che il partito nato dall’eredità spirituale del peggior craxismo se ne tenga sdegnosamente lontano.

Pecunia non olet, direbbe un avvocato di campagna.

Principio di precauzione e segreto di Stato

in profstanco / by Gian Luca Conti
23/04/2020

La scrivania del ministro per la salute è chiusa molto bene ma chi ha avuto modo di avvicinarsi non ha potuto evitare di avvertire l’odore acre, di zolfo e putrefazione, che traspare.

E’ l’odore del segreto di Stato, un odore pungente che, di solito, si avverte quando ci si avvicina al terrorismo, alla mafia, al voto di scambio, agli anni più bui della Repubblica che lo ha regolato compiutamente durante gli anni di piombo (legge 801/1977) e ha ripreso la materia (legge 124/2007) per gestire le lottizzazioni di villa Certosa.

Il problema, sul piano storico, è semplice: il ministro per la salute e il Governo presieduto da Conte avrebbero tenuto segreto il rapporto con cui alcuni scienziati indagavano, fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, gli scenari connessi alla diffusione della pandemia in corso.

Secondo questo rapporto, sarebbero stati ipotizzabili tre scenari, uno dei quali assolutamente catastrofico parlava di una malattia che avrebbe causato fra le seicentomila e le ottocentomila vittime.

Per questa ragione, il Governo avrebbe adottato delle misure assai stringenti con i provvedimenti che conosciamo, i quali, se, da una parte, hanno determinato un danno incalcolabile per la ricchezza della nazione, dall’altra parte, avrebbero salvato centinaia di migliaia di vite umane e sarebbero perciò perfettamente giustificate.

L’affare pone due distinte questioni e suggerisce un rimedio.

La prima questione che pone riguarda il principio di precauzione in rapporto al segreto di Stato. In che misura, questo principio può tollerare che le conoscenze che hanno giustificato il ricorso a misure straordinarie e indifferibili adottate per mezzo di ordinanze libere appoggiate esclusivamente sulla responsabilità del Capo del Governo possano essere segretate e, quindi, conosciute solo ex post?

Il principio di precauzione è, di per sé, un principio che riguarda l’essenza del discorso democratico e il suo rapporto con la scienza. Se la scienza non è certa di un pregiudizio potenzialmente grave e irreparabile per la salute pubblica o l’ambiente, la sfera politica può adottare queste misure sostituendo una legittimazione scientifica con una decisione democratica.

Questo principio postula la possibilità di un discorso pubblico e pienamente informato sulla natura del pericolo che si intende fronteggiare e sui vantaggi e gli svantaggi connessi all’intervento pubblico correttivo che si intende adottare.

Un tanto non accade se la natura del pericolo e le sue caratteristiche sono mantenute segrete dal Governo che le rivela solo quando il pericolo appare superato per giustificare le misure che ha preso e che hanno ridotto la nazione sul lastrico.

La discussione sulla natura del pericolo ha un senso se precede le misure che vengono adottate perché è una discussione sui limiti che il potere intende introdurre a carico delle libertà e che giustifica con la minaccia di un pericolo grave per un interesse che considera gerarchicamente superiore alle libertà che sacrifica.

Una volta che le misure sono state adottate, l’esistenza del dossier serve a giustificare questi limiti, non riguarda più la sostanza della limitazione ma la responsabilità collegiale del Governo (art. 95, secondo comma, Cost.) e individuale del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 95, primo comma, Cost.).

Soprattutto, però, se si afferma il principio secondo cui quando vi è un rischio per la salute o per l’ambiente di natura tale da poter scatenare il panico, il Governo può tenere nascosta la natura di questo rischio al paese (e anche al Parlamento) adottando le misure che ritiene opportune per fronteggiarlo, si ha una pericolosa torsione in senso autoritario della forma di Governo.

La seconda questione è che i problemi che si sono evidenziati, soprattutto il bisogno di bilanciare l’interesse alla sicurezza dello Stato che rende opportuno mantenere segrete e confidenziali certe informazioni in mano al Governo, e il bisogno di democrazia per cui ciascuna limitazione delle libertà individuali deve provenire dal Parlamento, sono stati oggetto di una disciplina puntuale da parte della legge 124/2007, che prevede:

(i) la competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, non del Ministro della Salute, a disporre il segreto di Stato (art. 39, quarto comma);

(ii) l’obbligo del Presidente del Consiglio dei Ministri a dare notizia dell’apposizione del segreto di Stato al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica e il diritto del Copasir di confermare o meno l’apposizione del segreto, dopo averne discusso, se il caso lo ritiene, in una seduta segreta;

(iii) il diritto del Copasir di deferire la questione alle Camere che, a loro volta, ne possono discutere in seduta segreta.

Questi principi si trasformano in domande:

(a) perché il segreto è stato apposto dal ministro per la salute e non dal Presidente del Consiglio dei Ministri?

(b) perché dell’apposizione del segreto non è stato informato il Copasir?

(c) il Governo può sottrarre alla conoscenza del Parlamento delle informazioni che riguardano l’introduzione di limiti alle libertà fondamentali dei cittadini senza informare quantomeno il Copasir di quello che sta accadendo?

E, soprattutto, se è vero che rivelando adesso l’esistenza di un dossier segreto, il ministro per la salute confessa di aver mancato agli obblighi che si sono elencati, perché lo ha fatto?

Qui, l’odore che proviene dalla scrivania ministeriale si fa acre e pungente perché in un paese abituato a intendere il non detto molto più del detto, ci si può chiedere come mai sia così necessario presentarsi come salvatori della patria e non è difficile immaginare che, passato questo periodo di giustificato timore, inizieranno le critiche al Governo, perché la ripresa non sarà né facile né immediata e dovremo ripensare alle basi stesse del nostro sistema economico.

Ma, sotto questo aspetto, le guerre come problema di storia costituzionale finiscono sempre con una inchiesta parlamentare e, anche in questo caso, sembra che questo dovrebbe essere il futuro sviluppo di una vicenda che, guardata con un po’ di attenzione, sembra molto meno brillante di quanto non la si voglia far apparire.

Le esternazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/04/2020

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 16-03-2020 Roma, Italia Politica Coronavirus, il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante la videoconferenza per annunciare il nuovo decreto cura-Italia.Nella foto: Giuseppe ConteDISTRIBUTION FREE OF CHARGE – NOT FOR SALE – Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Conte, nella sua conferenza stampa di venerdì 11 marzo, ha richiamato le opposizioni a un maggiore senso di responsabilità.

Più propriamente si è rivolto alla Lega di Salvini e ai Fratelli d’Italia della Meloni osservando che il loro comportamento era inappropriato rispetto all’emergenza che stava affrontando.

Nella sostanza, ha chiesto di lasciar lavorare chi lavora.

Il senso del ragionamento è abbastanza chiaro: l’emergenza deve essere fronteggiata con ogni mezzo e chi sta affrontando l’emergenza nell’interesse del popolo ha la facoltà di rivolgersi al popolo per condannare chi lo critica.

Il vero nodo, sul piano costituzionale, è più complesso e riguarda l’essenza del circuito Governo – Parlamento.

L’essenza di questo rapporto è la fiducia, con cui ciascuna Camera approva, con scrutinio palese e per appello nominale, le dichiarazioni programmatiche del Governo, ovvero la sfiducia, con cui una Camera, approva, sempre per scrutinio palese e con appello nominale, una mozione di sfiducia sottoscritta da non meno di un decimo dei suoi membri e nella quale deve essere spiegato il perché della richiesta al Governo di lasciare il proprio incarico.

La Costituzione, in altre parole, vuole che la responsabilità politica del Governo sia discussa in Parlamento, e concentrare nel Parlamento (le cui difficoltà a riunirsi non sono agevolate dalla assenza di previsioni esplicite circa la libertà di circolazione dei suoi membri nei complessi d.P.C.M. con cui viene regolato il lockdown) questa discussione significa evitare che la stessa possa svolgersi nell’arena della pubblica opinione ed imporre la necessità della mediazione attraverso la rappresentanza politica.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri nel momento in cui si rivolge direttamente al corpo elettorale, nel corso di una conferenza stampa, per rispondere alle critiche della pubblica opinione, si colloca all’esterno di questo circuito.

Ma questo, tutto sommato, non è innaturale: il circuito della rappresentanza politica si svolge al di fuori delle sedi parlamentari dal 1948.

Il vero nodo della questione è un altro.

Il tono del Presidente del Consiglio dei Ministri, forse, non è sembrato il tono dell’indirizzo politico di maggioranza che chiede di aderire alla propria visione dell’interesse pubblico. E’ sembrato piuttosto quello del Presidente della Repubblica (il quale, infatti, ha ricevuto con imbarazzato silenzio le protese di Salvini quando questi lo ha chiamato per gli auguri di Pasqua), che richiama i partiti politici a una maggiore serenità nell’interesse della coesione nazionale.

Il Presidente della Repubblica, però, impronta le proprie esternazioni sulla irresponsabilità. E’ il fatto che la nostra Costituzione porta dentro di sé le tracce della definizione del Capo dello Stato come persona sacra e inviolabile propria dello Statuto Albertino giustifica il collegamento del potere di messaggio alla irresponsabilità del Capo dello Stato e lo colloca all’interno di una funzione di alta garanzia e controllo, ma anche di integrazione e stimolo.

Nel momento in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri, questo Presidente onnipotente che decide delle libertà quotidiane dei cittadini sulla base del principio di precauzione, si rivolge al popolo con un messaggio che assomiglia molto a quello del Presidente della Repubblica di cui condivide il tono di garanzia, cerca l’irresponsabilità.

Se Segni, Leone, Cossiga e Napolitano ci hanno insegnato a temere un Presidente della Repubblica che si avvicina al polo del Governo, non vorrei che Conte ci insegnasse a temere un Presidente del Consiglio dei Ministri che si appoggia su di una emergenza per avvicinarsi al polo del Presidente della Repubblica.

In altre parole, se di solito, è pericoloso un Capo dello Stato che si avvicina al Governo, senza essere responsabile, in una situazione di emergenza può essere molto più pericoloso un Capo del Governo che si atteggia a Presidente di una repubblica presidenziale.

E, purtroppo, questo dipende molto da un Parlamento che si riunisce solo per lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni e la conversione dei decreti legge, smarrendo gran parte della propria ragion d’essere nella discussione del voto a distanza.

 

 

Le libertà al tempo del coronavirus

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/04/2020

Sono forti le assonanze fra il coronavirus e la disciplina sui vaccini obbligatori posta dal d.l. 73/2017: a prima vista, appare uno stesso fenomeno: la Repubblica, attraverso la legge e la sua esatta applicazione da parte del Governo, deve proteggere i cittadini dal rischio per la loro salute che un comportamento libertario di altri cittadini potrebbe causare. Di conseguenza, la legge limita la libertà di coloro che potrebbero causare un danno potenzialmente grave e irreparabile agli altri.

Ma la straordinaria pervasività della pandemia in corso ha condotto a misure particolarmente eccezionali perché dapprima il d.l. 6/2020 e successivamente il d.l. 19/2020 hanno individuato una serie estremamente ampia di limitazioni alla libertà personale autorizzando il Presidente del Consiglio dei Ministri a definire in concreto, attraverso atti amministrativi generali, i provvedimenti restrittivi della libertà personale dell’intera popolazione e il Presidente del Consiglio dei Ministri (d.d.P.C.M. 22 marzo 2020 e 1 aprile 2020) ha addirittura in parte delegato questo potere di ordinanza al Ministro per lo Sviluppo Economico (d.m. 25 marzo 2020).

Il Parlamento è restato sullo sfondo, limitando il proprio intervento alla conversione in legge del d.l. 6/2020 (legge 13/2020) e autorizzando il ricorso all’indebitamento secondo quanto previsto dall’art. 6, quinto comma, legge 243/2012 (la relazione è stata trasmessa alla Presidenza della Camera il 5 marzo 2020 e posta all’ordine del giorno della seduta dell’11 marzo 2020) per effetto del verificarsi di una situazione a carattere eccezionale.

In altre parole, la limitazione delle libertà personali autorizzata dal Governo con i suoi decreti legge e dallo stesso Governo affidata agli atti amministrativi generali del Presidente del Consiglio dei Ministri non è stata oggetto di una vera discussione parlamentare: il paese non ha sentito bisogno del Parlamento ma del Governo per rispondere alla paura di un morbo terribile e spaventoso.

Di qui, sono possibili due osservazioni, non da costituzionalista, ma da cittadino privato di una porzione significativa delle proprie libertà fondamentali.

La prima riguarda gli effetti del principio di precauzione sulla forma di Governo e sulla forma di Stato. Il principio di precauzione, inteso come il motore del diritto della paura, secondo la definizione di Sunstein, può essere letto come obbligo di adottare qualsiasi misura necessaria a evitare un rischio in assenza di una sicurezza scientifica circa l’estensione del rischio ovvero come possibilità di adottare misure non basate su di una evidenza scientifica univoca. In entrambi i casi è un principio di azione politica che serve nei casi in cui manchi la certezza circa l’esatta estensione di un rischio e quindi sulla effettiva necessità delle misure per contenerlo. La catena di decreti legge e atti amministrativi generali adottati rivela un preciso modo di intendere questo principio di azione politica: non è l’oggetto di una discussione parlamentare, del complesso equilibrio di una sede referente e della sua trasposizione nell’agone assembleare per mezzo delle relazioni di maggioranza e minoranze nonché del potere di emendamento (e di parere sugli emendamenti di iniziativa parlamentare) del Governo. E’ l’oggetto di una volontà politica che si fonda su di un giudizio scientifico.

In altre parole, il principio di precauzione giustifica una torsione della forma di Governo verso l’esecutivo e, in particolare, il suo vertice. E’ sicuramente una torsione autoritaria, che il popolo ha vissuto senza particolari critiche o mal di pancia, vuoi per effetto della crisi del metodo parlamentare, vuoi perché il potere dell’emergenza è sentito come volontà e non come discussione.

La seconda osservazione riguarda la legislazione dell’emergenza, nella legislazione dell’emergenza si rivela sempre una gerarchia di valori. La legislazione sul terrorismo è stata giustificata dall’interesse alla sicurezza dello Stato considerato come un valore supremo. In quel momento, la difesa delle istituzioni democratiche dal rischio generato dall’uso della paura come strumento di lotta politica ha giustificato misure straordinarie di limitazione delle libertà individuali dei cittadini sospettati di essere coinvolti nella lotta armata secondo la cd. logica del doppio binario.

Il valore evocato dal principio di precauzione e dalla lotta contro la pandemia in corso è completamente diverso: anche la difesa delle istituzioni democratiche (e quindi della centralità del Parlamento nella forma di Governo, ma anche del ruolo delle regioni nella forma di Stato) cede rispetto alla paura per la propria salute.

La società del benessere liquido ha prima di tutto paura della propria morte e questa paura giustifica qualsiasi sacrificio, del diritto al lavoro, della libertà personale, della libertà di domicilio, della libertà di circolazione, della libertà di riunione, delle libertà religiose, del diritto alla ricerca e alla frequentazione dei musei.

Questo, forse, spaventa più del coronavirus: una società che tiene di più alla propria vita che ai propri diritti fondamentali perché non è la società dei costituenti i quali conobbero il carcere di Villa Triste per avere il privilegio di scrivere la carta costituzionale e di iniziarla con la proclamazione delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili.

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