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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Impromptus

Impeachment, Alto Tradimento, Conflitti interorganici e Appeasement

in profstanco / by Gian Luca Conti
29/05/2018

1 – Si scrive impeachment ma si legge alto tradimento o attentato alla Costituzione.

Per le forze politiche che avevano costruito il contratto di governo, il rifiuto del Capo dello Stato di nominare il ministro dell’economia proposto dal Presidente del Consiglio incaricato costituisce un alto tradimento o un attentato alla Costituzione: i reati propri del Presidente della Repubblica che ne consentono la messa in stato d’accusa.

Per le altre forze politiche, fermo il rammarico di non aver potuto vedere il contratto di governo alla prova del governo, il Presidente della Repubblica avrebbe perfettamente applicato la Costituzione, esercitando le proprie prerogative che comprenderebbero il veto sui ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato.

A Firenze, un folto gruppo di costituzionalisti, che comprendono anche molti dei maestri di chi scrive, ha sottoscritto un documento in cui, fra l’altro, si legge che il potere di nomina dei ministri richiede il concorso del Presidente del Consiglio incaricato, ma che qualora questo concorso non si realizzi spetta al Capo dello Stato, che se ne assume la piena responsabilità, l’ultima parola.

Sono opposti punti di vista, politici e costituzionali, che meritano di essere vagliati con una premessa di metodo: il compito del costituzionalista è studiare la Costituzione formale, la Costituzione per come è scritta, per comprendere la Costituzione materiale, la Costituzione per come opera nel concreto svilupparsi delle dinamiche economiche, politiche e sociali, cercando il giusto equilibrio fra le due.

Nel dialogo fra “black letter law” e “law in action”, il costituzionalista non deve affermare la prevalenza della prima sulla seconda perché altrimenti la Costituzione sarebbe norma morta, né può lasciarsi ammaliare dal fascino della seconda e perdere di vista il testo costituzionale, perché altrimenti la Costituzione sarebbe un libro dei sogni.

Deve cercare di conciliare Costituzione formale e Costituzione materiale, trovare l’equilibrio fra queste due realtà, senza pensare che l’una possa vivere senza l’altra e consapevoli che l’ultima parola in questo compito spetta alla Corte costituzionale.

Sulla base di queste premesse, si può guardare con serenità alla cronaca di questi giorni, senza pronunciare né un aprioristico Io sto con Mattarella, né darsi a un’altrettanto irragionevole chiamata delle piazze all’impeachment. Read more →

Come un gatto sull’Aurelia: Conte, Presidente del Consiglio

in profstanco / by Gian Luca Conti
28/05/2018

1  – Conte Presidente del Consiglio è durato quanto un gatto sull’Aurelia.

Il Capo dello Stato, ieri che era il 27 maggio 2018, per la prima volta in settanta anni di repubblica, ha dichiarato di esercitare un potere di veto sulla lista dei ministri presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato ha restituito il mandato.

Non è la prima volta che il Presidente della Repubblica interviene sulla lista dei ministri ma è la prima volta che lo fa esplicitamente enunciando un potere presidenziale di veto che non era mai stato affermato esplicitamente e questo potere di veto evoca lo Statuto Albertino, quando i ministri erano ministri del Re, prima che del Regno e le discussioni fra Vittorio Emanuele II e i suoi primi ministri potevano essere assai accese.

Egualmente, il Presidente della Repubblica ha innovato la prassi per cui, in questi casi, è il suo segretario generale che legge un comunicato stampa in cui si dichiara che l’incaricato ha rinunciato al mandato, ed è apparso in prima persona a sottolineare l’importanza del suo gesto.

Il Capo dello Stato ha affermato il proprio ruolo di indirizzo politico costituzionale esercitando il veto sul ministro dell’economia proposto dal Presidente del Consiglio incaricato per ragioni che riguardano la posizione dell’Italia nei confronti dei mercati e il suo debito pubblico.

Nella sostanza, ha affermato che le politiche economiche e finanziarie non appartengono all’indirizzo politico di maggioranza, ma sono il risultato di precisi vincoli costituzionali a cui non è possibile sottrarsi.

La decisione è coerente con la posizione del patto di stabilità e crescita nella Costituzione: la modifica, approvata con un plebiscito parlamentare nel 2012, dell’art. 81, Cost. pone il principio di pareggio di bilancio fra i valori costituzionali e non è impossibile sostenere che questo principio riceva autorità dall’art. 11, Cost. e sia perciò funzionale alla costruzione di un ordinamento internazionale fondato sulla pace mettendo insieme Spinelli e Delors. Read more →

Il Conte scosso e la piramide rovesciata

in profstanco / by Gian Luca Conti
23/05/2018

1 – Il Conte scosso è un modo per indicare la posizione, non troppo felice, del prof. Conte che parrebbe avere messo a rischio la propria candidatura a Palazzo Chigi per una opera di cosmesi curriculare che ha ricordato a molti Oscar Giannino.

La piramide rovesciata è una felice espressione per rappresentare simbolicamente gli ultimi movimenti della Costituzione materiale.

Questi movimenti riguardano la posizione del Presidente della Repubblica nel procedimento di formazione del Governo, il ruolo del Presidente del Consiglio dei Ministri nella definizione dell’indirizzo politico e il ruolo del Parlamento nel voto di fiducia.

La premessa è un dato di cronaca: nelle trattative giallo-verdi, il contenuto della mozione di fiducia che il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto presentare era stato predeterminato attraverso la stipula di un contratto di governo fra Lega e M5S, le quali si sono presentate al Quirinale anche per indicare il nome del Presidente del Consiglio.

Il Capo dello Stato ha ascoltato senza rilasciare nessuna dichiarazione e consultandosi per il da farsi con i Presidenti dei due rami del Parlamento. Read more →

I mandanti di Mattarella

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/05/2018

1 – I mandanti di Mattarella sono Salvini e Di Maio che parlano della idea di Italia, a Milano di notte, e lo raccontano al Capo dello Stato, a Roma di pomeriggio.

Dentro questa fisionomia, per cui i due possibili alleati di governo discutono della loro idea di Italia e cercano punti di intersezione fra le post ideologie che ciascuno di loro rappresenta.

C’è qualcosa di strano in questa discussione. Viene da chiedersi se non avessero dovuto pensare all’Italia e all’idea del suo futuro che intendono proporre come indirizzo politico di maggioranza prima delle elezioni, in modo da chiarire al loro elettorato la ragione di una scelta che in quel caso avrebbe potuto essere diversa o più convinta.

Il corpo elettorale, ci si deve chiedere, ha votato Salvini e Di Maio perché costruissero insieme una nuova idea di Italia o ha votato le idee di Italia che ciascuno di loro proponeva e che oggi deve sintonizzare con i valori dell’altro, valori che in campagna elettorale non sembravano così vicini.

2 – Nella realtà, che è una realtà mistica, della forma di governo parlamentare fondata sulla irresponsabilità del Capo dello Stato ed ereditata dalla inviolabilità della Corona, i partiti propongono le loro ideologie al corpo elettorale che premia l’una o l’altra e il Capo dello Stato rappresenta la nazione scegliendo il leader della coalizione di governo, che è il motivo per cui il libero mandato del Presidente della Repubblica si chiama irresponsabilità, salvo l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione; il suo mandato dura sette anni, che sono due più della durata naturale di una legislatura; viene eletto dalla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune.

In questo schema, il Capo dello Stato sceglie il Capo del governo perché individua la persona che può rappresentare l’indirizzo politico di maggioranza quando le elezioni hanno segnato la sconfitta di tutte le forze, nessuna delle quali ha una maggioranza sufficiente per governare, sicché il Capo dello Stato scegliendo di incaricare l’uno o l’altro come Presidente del Consiglio suggerisce come integrare, modificare e correggere i diversi programmi dei diversi partiti per rispettare la volontà degli elettori, per arrivare a quell’idea di Italia che se fosse stata presentata agli elettori avrebbe avuto la maggioranza dei voti.

3 – Salvini e Di Maio sembrano uscire da questo schema discutendo dell’idea di Italia. Perché di questa idea dovrebbe discutere Mattarella con se stesso, perché è il Capo dello Stato che rappresenta la nazione, mentre i partiti politici, forse, dovrebbero limitarsi al loro ruolo di soggetti che vengono consultati per cercare un accordo sulla persona alla quale il Presidente della Repubblica può affidare la propria idea di nazione, che è l’idea di nazione in grado di aggregare una maggioranza su dei valori che il corpo elettorale non ha saputo scegliere perché nessuno dei partiti è riuscito nel corso della campagna elettorale a convincere la maggioranza degli elettori con la propria idea.

Salvini e Di Maio quando pensano all’Italia e lo fanno dopo le elezioni tradiscono la memoria dei propri elettori. Soprattutto invertono i termi di una fiducia intesa come mandato del Capo dello Stato, nella sua funzione tutt’altro che notarile di rappresentanza della nazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua funzione profondamente politica di capo del governo e perciò interprete dell’accordo fra i valori in lotta durante la campagna elettorale e adesso chiamati a collaborare per effetto della parziale sconfitta reciproca che giustifica l’accordo di coalizione, almeno a partire dalla prima legislatura repubblicana.

4 – Queste sono le osservazioni di un costituzionalista che cerca di comprendere l’evoluzione della forma di governo dopo la scomparsa dei partiti politici.

Difficilmente rappresentano il pensiero di Salvini e Di Maio, perché se uno smette di fare il costituzionalista e si mette a pensare a Salvini e Di Maio che discutono sull’idea di nazione, non gli viene in mente subito un dialogo alto e profondo che parte da Machiavelli e Guicciardini per arrivare a Pellegrino Rossi e Cesare Balbo, senza dimenticare nessuno, nemmeno Donat Cattin.

Gli vengono in mente due ragazzi molto più svegli di quello che vogliono sembrare che si passano nomi l’un l’atro all’unico scopo di bruciarli, perché sanno che le elezioni anticipate potrebbero non essere lontane e che il Capo dello Stato cerca qualcuno che possa guidare il paese a delle elezioni che hanno bisogno di un arbitro truccato come quelli del wrestling.

Disambiguare una commissione speciale

in News / by Gian Luca Conti
13/04/2018

Disambiguare è una parola orribile, la usa wikipedia per chiarire che un determinato lemma è utilizzato più volte come voce e consentire al lettore di orientarsi per trovare le informazioni che lo interessano.

In questi giorni, abbiamo scoperto che le camere appena insediate hanno costituito una commissione speciale e ci siamo scandalizzati per la presidenza di questa commissione, che è stata assegnata a due forze riuscite vincitrici, riuscite sicuramente vincitrici dal terremoto elettorale del 4 marzo.

Forse non è il caso di preoccuparsi più di tanto. Read more →

Ilva: laminando (a caldo) Corte cost. 58 del 2018

in profstanco / by Gian Luca Conti
11/04/2018

Ilva, con la sua presenza a Taranto, con l’impatto di un mostro che mangia rocce e vomita un pane che per alcuni sa di acciaio e fumo e per altri è dolce come la musica dei dollari di Paperone, pone un problema “terribile” di diritto costituzionale.

Terribile per la consistenza dei valori in gioco: il diritto alla eguaglianza nella salute e nell’ambiente ed il diritto all’eguaglianza nella libertà di iniziativa economica e nel diritto al lavoro.

Terribile per la necessità di operare un bilanciamento fra questi diritti, ovvero di spiegare attraverso un’applicazione ragionevole del principio maggioritario, perché in grado di convincere una democrazia matura e consapevole, senza essere travolti dalla forza retorica dei valori in gioco.

Terribile per la necessità di distinguere fra le diverse competenze che possono entrare in gioco nell’operazione di bilanciamento:

  • la funzione amministrativa: il punto di equilibrio del risanamento industriale dovrebbe appoggiarsi, ai sensi del d.lgs. 152/2006, sull’autorizzazione integrata ambientale che dovrebbe assicurare il corretto esercizio dell’attività di stabilimento. Un eventuale contenzioso sull’autorizzazione integrata ambientale sarebbe di competenza del giudice amministrativo  e dell’autorevole prudenza con cui maneggia questioni che possono diventare politicamente incandescenti;
  • il giudice penale: il punto di equilibrio del risanamento industriale non può determinare una lesione dei beni primari, la vita e la salute, protetti dall’ordinamento giuridico. In questo caso, non vi è alcun bilanciamento ma solo l’accertamento di una condotta e della sua rilevanza penale;
  • la funzione legislativa: il punto di equilibrio fra i diversi interessi costituzionali coinvolti dal caso Ilva è stato cercato attraverso una decisione politica, basata sulle regole di rappresentanza e nella quale il principio maggioritario trova l’unico limite del rispetto della Costituzione come verificato dalla Corte costituzionale.

Il vero problema, il problema che non si riesce a risolvere, è la logica di un bilanciamento nel quale uno dei valori in gioco è il diritto dei bambini (di tutti i bambini che vivono non solo in Italia ma nell’Unione Europea) a respirare un’aria che non sia meno pulita di quella che respirano gli altri bambini, a bere un’acqua che non sia meno pura di quella che bevono gli altri bambini, perché in fondo il diritto dell’ambiente regola esattamente questo diritto, stabilendo la misura in cui il dovere di solidarietà impone ai cittadini di subire un pericolo per la propria salute per ragioni che possono essere considerate di interesse pubblico.

Su questo conflitto, perché come hanno osservato sia Bin che Onida si tratta di un vero e proprio conflitto costituzionale fra giurisdizione, amministrazione e sfera politica intorno al valore del bene ambiente, la Corte costituzionale si è già pronunciata una volta (Corte cost. 85/2013) e ha espresso l’opinione che il bilanciamento sia possibile purché vi sia un percorso di risanamento ispirato al rispetto di tutti i valori costituzionali in gioco e regolato in forma amministrativa da un’autorizzazione integrata ambientale che può tenere conto delle specificità del caso concreto e di bisogni di risanamento particolari.

Il conflitto è ritornato dinanzi alla Corte costituzionale con ancora maggiore vigore, perché questa volta un decreto legge (il d.l. 92/2015) ha previsto che fosse sufficiente, dopo il sequestro penale, presentare un piano di risanamento per poter proseguire nell’attività industriale, senza alcuna valutazione di questo piano di risanamento da parte dell’amministrazione competente.

La Corte costituzionale, con la sentenza 58/2018, ha stabilito che non può bastare presentare un piano di risanamento per poter proseguire nell’attività industriale perché occorre dimostrare alla pubblica amministrazione che quel piano di risanamento rappresentata un ragionevole strumento di tutela per il bisogno di salute e di sicurezza espresso dai cittadini e dai lavoratori.

Fin qui, il discorso della Corte costituzionale è molto corretto e rappresenta un ragionevole sviluppo dei principi affermati da Corte cost. 85/2013, chiarendo che il conflitto fra giurisdizione e sfera politica generato dalla definizione dei valori ambientali deve necessariamente essere mediato dalla sfera amministrativa.

Ma ci sono almeno due Però:

(i) che cosa dice la Corte quando dichiara rilevante una questione di legittimità costituzionale che non poteva essere considerata rilevante perché riguardava una norma abrogata (il d.l. 92/2015), operando un’operazione di trasferimento della questione di legittimità costituzionale decisamente inedita nella giurisprudenza costituzionale?

(ii) che cosa dice il giudice penale che solleva la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni che determinano un danno grave ed irreparabile alla salute dei cittadini che sta cercando di tutelare ma consegna la sua ordinanza alla Corte costituzionale solo nel 2017?

Sotto il primo aspetto, si deve osservare che la Corte costituzionale ha giudicato sul contenuto di una norma espressa dal d.l. 92/2015. Questa norma è stata abrogata dall’art. 1, secondo comma, legge 132/2015 e riprodotta nell’art. 21 octies, legge 132/2015.

Ad avviso della Corte costituzionale, il fatto che la norma abrogata sia stata contestualmente riprodotta consente di applicare la giurisprudenza sul trasferimento della questione di legittimità costituzionale dal decreto legge decaduto al decreto legge reiterato (Corte cost. 83/1996).

E’ una giurisprudenza che si giustifica con la peculiarità del fenomeno della reiterazione dei decreti legge che impedisce al giudice costituzionale di conoscere della questione sollevata perché quando questa questione arriva alla Consulta il decreto legge non esiste più ed è stato sostituito da un altro decreto legge in una sequenza infinita e sfinente.

Ma questa giurisprudenza non era pertinente, perché la legge 132/2015 non era una reiterazione del d.l. 92, è la legge con cui il contenuto del d.l. 92/2015 è stato sostanzialmente convertito in legge, sia pure attraverso un’abrogazione e una novella.

Nello stesso tempo, e si viene al secondo punto di questa vicenda, l’impossibilità della Corte di conoscere della questione di legittimità costituzionale posta dal d.l. 92/2015 non dipende dal legislatore ma dal giudice penale che ha impiegato oltre due anni a far pervenire la sua ordinanza dal Tribunale di Taranto al Palazzo della Consulta.

Sono interrogativi a cui non è difficile dare una risposta.

La legittimazione della Corte costituzionale nel sistema non dipende solo dalla soluzione di concreti bisogni di giustizia costituzionale, dipende anche dal rispetto delle regole processuali. Se la Corte manca nel rispetto delle regole processuali, perde di credibilità. Questa Corte nella sentenza 10/2015 ha piegato le proprie regole processuali per dire alle società petrolifere che avevano ragione a contestare una tassazione dei loro profitti iniqua ma che non potevano riavere indietro i soldi versati perché ci sarebbe stato un danno per le finanze dello Stato. Adesso dice al giudice penale che non importa se le norme che sospetta di incostituzionalità sono state abrogate perché la Corte «giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni».

Sono oscillazioni preoccupanti.

La legittimazione del giudice penale dipende dalla sua capacità di assicurare tutela ai beni che gli sono affidati. Una tutela che deve essere tempestiva per quanto riguarda gli adempimenti di sua competenza. Due anni per spedire un plico che contiene il bisogno di giustizia espresso da chi respira un’aria che non è uguale a quella che respirano gli altri cittadini sono dannatamente troppi.

L’Ufficio di Presidenza al Senato: si comincia bene?

in profstanco / by Gian Luca Conti
29/03/2018

1 – Ieri è stato eletto l’Ufficio di Presidenza del Senato.

La notizia che ha destato preoccupazione è stata la mancata elezione di un questore del gruppo parlamentare che fa capo al PD.

E’ stato detto che rappresenta un grave vulnus per le minoranze parlamentari, che in questo modo non hanno alcuna rappresentanza nell’Ufficio di Presidenza, a livello di questori.

E’ una mezza verità perché è assolutamente vero che nell’Ufficio di Presidenza e particolarmente a livello di Vicepresidenza e di questori vi deve essere una rappresentanza delle minoranze e delle minoranze più qualificate. Read more →

Riforma del regolamento del Senato e scenari post-elettorali

in profstanco / by Gian Luca Conti
27/03/2018

1 – L’estremo dono della XVII Legislatura è stato la riforma del regolamento del Senato, una riforma importante e resa possibile dal contributo decisivo di Calderoli, come ha avuto modo di riconoscere Napolitano.

La riforma ha riguardato:

  • la possibilità di creare nuovi gruppi parlamentari: è possibile solo per i partiti e i movimenti politici che hanno partecipato alle elezioni ed una volta che si è aderito a un gruppo può essere molto difficile abbandonarlo;
  • l’abbandono della regola per cui l’astensione vale come voto contrario: l’astensione sarà, come alla Camera, computata ai fini del numero legale ma non della maggioranza da raggiungere per ottenere il passaggio di una determinata deliberazione;
  • il decisivo aumento del lavoro in Commissione, piuttosto che in Aula, con il riconoscimento che il luogo in cui si lavora davvero è la sede riservata piuttosto che quella pubblica.

Come tutti i doni di fine Legislatura e, soprattutto i doni di fine Legislatura portati da un Calderoli travestito da Babbo Natale, questa riforma merita di essere guardata con attenzione, quando le vacanze sono finite, ovvero alla luce dei risultati elettorali.

2 – I risultati elettorali mostrano una rappresentanza frammentata in non meno di tre macro aree, solo una delle quali appare compatta, e cinque gruppi.

Al Senato, si ha:

M5S 110

Forza Italia 61

Lega 58

Partito democratico 52

Fratelli d’Italia 18

Misto e autonomie [ancora da capire, ma complessivamente 19]

Maggioranza: 160

3 – Il primo aspetto su cui vale la pena fermare l’attenzione è il fatto che non possono nascere nuovi gruppi parlamentari al Senato, nella 18° Legislatura ulteriori rispetto ai simboli che hanno partecipato alle elezioni.

L’art. 1  della riforma introduce il principio in base al quale ciascun Gruppo, ferma la soglia minima di dieci senatori, deve essere espressione di un partito o movimento politico “che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno”.

La norma ha come fondamento una visione restrittiva del libero mandato parlamentare che si conferma nelle previsioni per cui coloro che abbandonano il proprio gruppo decadono dalle cariche di Vicepresidente e segretario, nonché da quelle eventualmente ricoperte negli uffici di presidenza delle Commissioni.

Questo complesso sistema fa sì che:

  1. solo i partiti che hanno partecipato alle ultime elezioni e hanno ottenuto non meno di dieci senatori possono formare un gruppo parlamentare;
  2. una volta formato il gruppo parlamentare, chi ne fa parte potrebbe avere dei forti disincentivi se dovesse decidere di cambiare i termini della propria appartenenza politica, perché dovrebbe essere considerato decaduto dal ruolo svolto negli uffici.

La norma si giustifica storicamente con la necessità di evitare scissioni come quelle che hanno dato vita ad Ala, generata da Forza Italia allo scopo di consentire la nascita del governo Renzi, senza generare crisi di identità troppo forti negli elettori del centrodestra.

Forse, però, questa norma serve essenzialmente a mantenere ferma l’identità dei gruppi parlamentari malgrado le diverse anime politiche che vivono nei partiti politici e che l’esito della competizione politica potrebbe avere esasperato.

Sembra una disposizione che dice alla parte del PD che potrebbe non desiderare restare unita dopo la debacle del 4 marzo: se volete uscire dal gruppo, vi potete accomodare nel gruppo misto, insieme a Grasso, Carlo Martelli, Mario Monti e Maurizio Buccarella…

Funziona però anche nei confronti del movimento 5 stelle, perché sconsiglia fortemente la secessione di coloro che potrebbero non essere soddisfatti delle alleanze che stanno maturando da una parte o che potrebbero maturare dall’altra.

E lo stesso vale sia per i gruppi di Forza Italia e della Lega.

Questa modifica del regolamento del Senato semplifica e riduce fortemente la dialettica politica, perché concentra il potere negoziale nei capigruppo, di cui aumenta la capacità di tenuta e di comando sui membri del proprio gruppo.

4 – Il secondo cambiamento riguarda le regole per il computo degli astenuti.

L’art. 64, terzo comma, Cost. ha sempre costituito un punto di equilibrio diverso alla Camera, dove gli astenuti concorrono al computo per il numero legale, ma non anche a determinare la maggioranza e al Senato, dove gli astenuti contavano sia ai fini del numero legale che ai fini del computo della maggioranza.

Questa differenza è caduta con la riforma del regolamento del Senato che si sta commentando: sia alla Camera che al Senato gli astenuti contano per la formazione del numero legale ma non anche per il computo della maggioranza.

Nella 17° Legislatura, il movimento 5 stelle ha spesso richiesto la verifica del numero legale e si può immaginare che il PD all’opposizione faccia propria questa tattica chiedendo continuamente la verifica del numero legale, che perciò non dovrà mancare.

Tuttavia la presenza ai fini del numero legale non vale anche come presenza ai fini del computo della maggioranza necessaria per deliberare, sicché una forza politica “responsabile” potrebbe non far mancare il numero legale ma astenersi successivamente e questo cambia significativamente gli scenari che si possono aprire.

Nella tabella che segue si incollano le maggioranze necessarie nel caso in cui uno dei gruppi parlamentari che si formeranno decida di operare “responsabilmente” garantendo la propria presenza ai fini del numero legale e successivamente astenendosi:

Totale 318
Maggioranza 160
Maggioranza meno FI 129
Maggioranza meno Lega 131
Maggioranza meno PD 133

E’ evidente che una maggioranza di 160 è difficile da raggiungere senza un accordo stabile, ma è evidente anche che una maggioranza compresa tra 129 e 133 è molto piace semplice da raggiungere e soprattutto da mantenere.

La novità regolamentare sembra, in altre parole, muovere verso una centralità dell’astensione, consentita dall’omogeneizzazione del computo dei voti sia al Senato che alla Camera.

5 – La terza mutazione riguarda il lavoro in Commissione.

Predieri, nei parlamenti del consociativismo, censurò l’erompere delle leggine, consentito dal fatto che ciò che non era possibile nel pubblico dell’Assemblea, era ragionevole nel segreto delle Commissioni.

Forse la citazione è troppo alta.

Però dopo il fallimento della seconda repubblica e dei suoi contratti con gli italiani, la terza repubblica potrebbe riscoprire la centralità del Parlamento e la centralità del Parlamento non è la centralità della sede pubblica assembleare ma la ricerca del compromesso reso possibile dalla penombra delle commissioni.

Le nuove autonomie di Veneto e Lombardia dopo il referendum

in profstanco / by Andrea Mugnaini
27/03/2018

 

Sono passati ormai cinque mesi da quando i cittadini di Veneto e Lombardia hanno dato il proprio via libera ai negoziati tra la Regione e il governo per ottenere nuove forme di autonomia. La norma costituzionale posta a base dell’iniziativa è il terzo comma dell’art. 116, dove si stabilisce che: “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. La disposizione era stata richiamata dal quesito lombardo, mentre non ve n’era traccia in quello veneto: una circostanza questa che, insieme ad alcune dichiarazioni del governatore Luca Zaia, aveva fatto nascere il sospetto che, la Regione, almeno nelle intenzioni, volesse spingersi ben aldilà di quanto stabilito dalla Carta.

Di certo c’è che il Veneto ha attribuito maggior importanza, non solo politica, al referendum dello scorso 22 ottobre di quanto abbia fatto la Lombardia. Lo si nota anche da due particolari: uno è l’istituzione, nel sito della Regione, di un portale dove sono raccolte tutte le notizie dei media, le leggi regionali, le delibere di Giunta e Consiglio e altri documenti riguardanti il procedimento; l’altro, di carattere più istituzionale, è il fatto che il giorno dopo il voto la Giunta regionale ha immediatamente deliberato l’avvio della procedura e preso i primi provvedimenti. Tra questi rientra la creazione di una “Consulta del Veneto per l’autonomia, organismo permanente composto dalle rappresentanze regionali delle Autonomie locali (ANCI-UPI-UNCEM), delle categorie economiche e produttive del territorio, delle forze sindacali e del Terzo Settore, dal mondo dell’Università e della Ricerca, nonché da altri organismi espressione di interessi diffusi a livello regionale in modo da garantirne la più ampia rappresentatività”. Tale Consulta dovrà affiancare una delegazione trattante, che verrà nominata successivamente. La Lombardia non ha alcuna delibera corrispondente.

La tempestività del provvedimento e la ricerca del più ampio coinvolgimento della comunità segnalano l’importanza di questo processo per la Regione e per i suoi cittadini.

Le due Regioni (e insieme a loro anche l’Emilia Romagna, che già da prima aveva iniziato un suo percorso verso l’autonomia) hanno siglato a Roma, alla fine di febbraio, un Accordo preliminare con il Governo italiano. Sarebbe superfluo in questa sede ripercorrere le tappe che hanno portato a questa firma. Molto più interessante è vedere che cosa prevedono i testi, che sono identici per tutt’e tre le Regioni (a cambiare come vedremo sono gli allegati, e solo in parte). La prima disposizione interessante è quella dell’art 2, che prevede una durata prestabilita dell’Intesa (dieci anni). Durante questo tempo Stato e Regione hanno la possibilità di modificarla di comune accordo qualora “si verifichino condizioni di fatto o di diritto che ne giustifichino la revisione”. Il secondo comma poi stabilisce che “due anni prima della scadenza dell’Intesa, Stato e Regione avviano la verifica dei risultati fino a quel momento raggiunti, al fine di procedere al rinnovo, all’eventuale rinegoziazione o alla cessazione definitiva dell’Intesa”. Tale novità sembra positiva: oltre alla possibilità di correggere eventuali errori tecnici o sostanziali, consente anche di adattare l’accordo alle necessità contingenti, che portano ora ad accentrare il potere ora a devolverlo alle Regioni.

Ai sensi dell’art. 6 le materie oggetto delle Intese sono quelle previste dagli allegati, “parte integrante e sostanziale del medesimo accordo”: si tratta di istruzione, salute, politiche sul lavoro e della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, con una aggiunta finale sui rapporti con l’Unione Europea. A eccezione della tutela dell’ambiente, che rientra tra le competenze esclusive statali, articolo 117 comma 2 lettera s), le altre materie rientrano tutte nella competenza concorrente (terzo comma del medesimo articolo).

Per quanto riguarda la tutela dell’ambiente,

occorre ricordare che la normativa regionale può apportare norme più severe per la salvaguardia dell’ecosistema (ma neanche tali da compromettere la concorrenza tra le imprese) ma non può in nessun caso derogare in peggio quanto previsto a livello europeo o statale. E infatti gli accordi delle tre Regioni attribuiscono nuove funzioni abbastanza generiche in questa materia. Tra l’altro l’attribuzione più significativa introdotta sia nell’accordo con il Veneto sia in quello con la Lombardia, cioè la facoltà di prendere provvedimenti di prevenzione e ripristino dei siti ambientali, riguarda esplicitamente solo le zone che non sono di interesse nazionale, e restano comunque fermi gli obblighi dell’operatore. In altre parole gli accordi, richiamando gli articoli 304, 305 e 306 del Codice dell’Ambiente (D.lgs 152/06), ammettono che nei soli casi (per la verità abbastanza limitati) in cui un’area non sia di interesse nazionale, Veneto e Lombardia possono sostituirsi all’operatore ambientale, dovendo comunque avvertire il Ministro dell’ambiente. Quest’ultimo poi, nel caso di inerzia, potrebbe comunque esercitare le funzioni di prevenzione e ripristino. Si capisce abbastanza facilmente quanto sia minimo lo spazio d’intervento per le due Regioni.

Anche le altre novità in materia non sembrano poi così rivoluzionarie:

si va infatti dalla gestione dei finanziamenti statali destinati alla bonifica dei siti di interesse (anche questa non libera ma da svolgersi tramite accordi con il Governo), agli “indirizzi agli ambiti territoriali” per la raccolta differenziata, previsti dall’accordo con il Veneto; dalla “sottoscrizione di accordi con altre Regioni per consentire l’ingresso nel proprio territorio dei rifiuti”, non differenziati, destinati agli impianti di smaltimento previsti nel territorio regionale (secondo quanto prevede l’accordo con la Lombardia), all’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento (funzione quest’ultima attribuita al Veneto dall’accordo).

Un po’ più ampie sono le funzioni che si vede attribuite l’Emilia Romagna, con possibilità di programmazione triennale in numerose aree d’intervento in maniera ambientale (ad esempio per gli interventi di difesa del suolo e delle acque). In questo caso per capire la portata di queste novità occorrerà aspettare di vedere come le attività di programmazione saranno effettivamente esercitate.

Possibilità maggiori le offrirebbero le altre materie oggetto dell’Intesa. Trattandosi di materie di competenza concorrente, i margini sono teoricamente più ampi: le materie di cui al terzo comma del 117 sono infatti quelle su cui le Regioni possono maggiormente puntare per accrescere i propri spazi di autonomia, ma perché ciò si realizzi devono porre in modo chiaro e dettagliato le loro richieste. In effetti si deve ammettere che questi pre-accordi sono abbastanza dettagliati, perlomeno per quanto riguarda la tutela della salute. Le tre Regioni avranno maggior autonomia in materia di scuole di specializzazione, di gestione del personale sanitario e nel sistema di governance delle aziende sanitarie, fino a nuove potestà legislative e amministrative in materie di fondi integrativi. In quest’ambito sembrano quindi allargarsi le funzioni dell’ente regionale.

Infine, non molto rilevanti sono le novità in materia di lavoro e istruzione.

L’iter dunque prosegue e sarà interessante vedere se questo accordo preliminare verrà seguito o se sarà del tutto o in parte superato. Certamente, non appena il procedimento si sarà definitivamente concluso, potremo interrogarci sulla riuscita dell’operazione, oltre che sulla sua reale utilità.

 

 

 

 

Il Giano Multiforme della Terza Repubblica

in profstanco / by Gian Luca Conti
26/03/2018

1 – Il Giano multiforme della Terza Repubblica è il Presidente della Camera o quello del Senato.

Uno dei due, non si sa quale, ma sicuramente uno dei due.

L’elezione della Casellati e di Fico a presidenti di Senato e Camera dice una cosa sola: l’unica maggioranza di governo politicamente impossibile è quella fra Forza Italia e Cinque Stelle, sicché una delle due presidenze sarà all’opposizione, ma non si si può prevedere quale.

2 – L’idea che il Presidente di Camera e il Presidente del Senato siano strumenti per assicurare l’attuazione dell’indirizzo politico di maggioranza (Ferrara, 1965) è scomparsa con l’affermazione di una delle poche ma certe convenzioni costituzionali, quella per cui, nel periodo 1976 – 1994, la presidenza della Camera spettava al principale partito di opposizione e quella del Senato alle forze di governo.

In questo periodo, le due presidenze si sono bilanciate reciprocamente e l’una non ha potuto svolgere una funzione di opposizione mentre l’altra non ha potuto operare come instrumentum regni.

Soprattutto, fra i due poli del Presidente imparziale (il modello inglese) e del Presidente di maggioranza (il modello statunitense), si è potuto affermare un modello di garanzia, per certi versi affine al Capo dello Stato.

3 – Con l’avvento della seconda repubblica, si è affermata un’altra convenzione, per la quale il presidente della Camera (Casini, Bertinotti, Fini) apparteneva al secondo partito della coalizione che usciva vincitrice dalla competizione elettorale, mentre quello del Senato spettava alla prima, cui pure spettava il compito di promuovere la formazione del governo, in conformità al mandato ricevuto dagli elettori.

Questa convenzione è sfumata con il passaggio alla XVII° Legislatura, quando sono stati eletti Boldrini alla Camera e Grasso al Senato, perché non era più possibile individuare il vincitore della competizione elettorale nella coalizione che non aveva i numeri per superare il voto di fiducia in entrambi i rami del Parlamento.

La mancanza di una maggioranza autosufficiente ha spinto verso figure politiche non eccessivamente caratterizzate in termini politici: sia Grasso che la Boldrini erano al primo mandato parlamentare, così da assicurare uno svolgimento delle funzioni massimamente attento ai bisogni dell’autonomia parlamentare e lontano dall’indirizzo politico di maggioranza.

L’inesperienza dei due presidenti ha, infatti, premiato la neutrale imparzialità dei funzionari parlamentari e la loro capacità di mediare fra opposte tensioni politiche nella ricerca della soluzione regolamentare più opportuna.

4 – La Terza Repubblica nasce da un sistema elettorale che colloca il voto in tre schieramenti.

La presenza di tre schieramenti fa sì che non possano operare né la convenzione del 1976, che presupponeva una forza politica necessariamente all’opposizione per effetto della conventio ad excludendum né quella del 1994, che operava in un sistema maggioritario sebbene corretto in senso proporzionale.

Soprattutto la distribuzione dei seggi fra le diverse forze politiche determinata dall’attuale legge elettorale non permette di immaginare quale possa essere la coalizione di governo.

Permette solo di immaginare che ci possa essere un governo con il Movimento 5 stelle in alleanza con la Lega Nord, l’ipotesi che atterrisce Travaglio, ovvero una sorta di grande coalizione travestita da governo di solidarietà nazionale che unisce la coalizione di centro destra e quella di centro sinistra.

Nel primo caso, non è facile immaginare che Forza Italia possa aderire: rischierebbe di scomparire.

Nel secondo caso, l’oggetto dell’accordo di governo sarebbe l’esclusione del Movimento 5 stelle.

Queste riflessioni possono permettere di intravedere una nuova convenzione costituzionale in cui la presidenza delle camere viene assegnata alle due forze politiche che rischiano di essere escluse dalla coalizione di governo perché si escludono reciprocamente.

Una sorta di convenzione del 1976 con l’aggiunta che non si sa chi sarà escluso.

Il presidente dell’assemblea è da molti definito come una sorta di Giano Bifronte nel distinguere fra l’aspetto interno e quello esterno della sua funzione, ovvero fra neutralità e imparzialità, come ebbe a dire Violante, con una formula ripresa da Fini.

Adesso è un Giano che rischia di diventare un Gano.

5 – La nostalgia per l’Inghilterra viene essenzialmente dalle modalità di queste elezioni.

Fico appartiene alla fascia più movimentata e arrabbiata del suo movimento. E’ qualcosa di simile a un giacobino arrabbiato, mentre Di Maio assomiglia a un girondino. L’elezione del primo sembra un modo per compensarlo della forza acquisita dal secondo e impedire o ritardare una scissione che potrebbe deflagrare come una diaspora e segnare la fine del movimento.

Il profilo della Casellati è talmente vicino a quello di Berlusconi da far pensare che sia un modo per superare un dissidio interno alla coalizione premiando la parte meno avvantaggiata dagli accordi pre elettorali e dai loro possibili sviluppi.

Entrambi, insomma, non sembrano delle figure astrattamente adatte a svolgere la funzione di supreme magistrature del diritto parlamentare.

Di conseguenza, il ruolo delle strutture di supporto alle due presidenze sarà anche in questo caso decisivo e formidabile: nell’ultima metamorfosi di questa enigmatica maschera repubblicana, l’ombra ha più i contorni del segretario generale che non quelli del presidente.

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