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I mandanti di Mattarella

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/05/2018

1 – I mandanti di Mattarella sono Salvini e Di Maio che parlano della idea di Italia, a Milano di notte, e lo raccontano al Capo dello Stato, a Roma di pomeriggio.

Dentro questa fisionomia, per cui i due possibili alleati di governo discutono della loro idea di Italia e cercano punti di intersezione fra le post ideologie che ciascuno di loro rappresenta.

C’è qualcosa di strano in questa discussione. Viene da chiedersi se non avessero dovuto pensare all’Italia e all’idea del suo futuro che intendono proporre come indirizzo politico di maggioranza prima delle elezioni, in modo da chiarire al loro elettorato la ragione di una scelta che in quel caso avrebbe potuto essere diversa o più convinta.

Il corpo elettorale, ci si deve chiedere, ha votato Salvini e Di Maio perché costruissero insieme una nuova idea di Italia o ha votato le idee di Italia che ciascuno di loro proponeva e che oggi deve sintonizzare con i valori dell’altro, valori che in campagna elettorale non sembravano così vicini.

2 – Nella realtà, che è una realtà mistica, della forma di governo parlamentare fondata sulla irresponsabilità del Capo dello Stato ed ereditata dalla inviolabilità della Corona, i partiti propongono le loro ideologie al corpo elettorale che premia l’una o l’altra e il Capo dello Stato rappresenta la nazione scegliendo il leader della coalizione di governo, che è il motivo per cui il libero mandato del Presidente della Repubblica si chiama irresponsabilità, salvo l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione; il suo mandato dura sette anni, che sono due più della durata naturale di una legislatura; viene eletto dalla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune.

In questo schema, il Capo dello Stato sceglie il Capo del governo perché individua la persona che può rappresentare l’indirizzo politico di maggioranza quando le elezioni hanno segnato la sconfitta di tutte le forze, nessuna delle quali ha una maggioranza sufficiente per governare, sicché il Capo dello Stato scegliendo di incaricare l’uno o l’altro come Presidente del Consiglio suggerisce come integrare, modificare e correggere i diversi programmi dei diversi partiti per rispettare la volontà degli elettori, per arrivare a quell’idea di Italia che se fosse stata presentata agli elettori avrebbe avuto la maggioranza dei voti.

3 – Salvini e Di Maio sembrano uscire da questo schema discutendo dell’idea di Italia. Perché di questa idea dovrebbe discutere Mattarella con se stesso, perché è il Capo dello Stato che rappresenta la nazione, mentre i partiti politici, forse, dovrebbero limitarsi al loro ruolo di soggetti che vengono consultati per cercare un accordo sulla persona alla quale il Presidente della Repubblica può affidare la propria idea di nazione, che è l’idea di nazione in grado di aggregare una maggioranza su dei valori che il corpo elettorale non ha saputo scegliere perché nessuno dei partiti è riuscito nel corso della campagna elettorale a convincere la maggioranza degli elettori con la propria idea.

Salvini e Di Maio quando pensano all’Italia e lo fanno dopo le elezioni tradiscono la memoria dei propri elettori. Soprattutto invertono i termi di una fiducia intesa come mandato del Capo dello Stato, nella sua funzione tutt’altro che notarile di rappresentanza della nazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua funzione profondamente politica di capo del governo e perciò interprete dell’accordo fra i valori in lotta durante la campagna elettorale e adesso chiamati a collaborare per effetto della parziale sconfitta reciproca che giustifica l’accordo di coalizione, almeno a partire dalla prima legislatura repubblicana.

4 – Queste sono le osservazioni di un costituzionalista che cerca di comprendere l’evoluzione della forma di governo dopo la scomparsa dei partiti politici.

Difficilmente rappresentano il pensiero di Salvini e Di Maio, perché se uno smette di fare il costituzionalista e si mette a pensare a Salvini e Di Maio che discutono sull’idea di nazione, non gli viene in mente subito un dialogo alto e profondo che parte da Machiavelli e Guicciardini per arrivare a Pellegrino Rossi e Cesare Balbo, senza dimenticare nessuno, nemmeno Donat Cattin.

Gli vengono in mente due ragazzi molto più svegli di quello che vogliono sembrare che si passano nomi l’un l’atro all’unico scopo di bruciarli, perché sanno che le elezioni anticipate potrebbero non essere lontane e che il Capo dello Stato cerca qualcuno che possa guidare il paese a delle elezioni che hanno bisogno di un arbitro truccato come quelli del wrestling.

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