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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Author Archive for: profstanco

Impeachment, Alto Tradimento, Conflitti interorganici e Appeasement

in profstanco / by Gian Luca Conti
29/05/2018

1 – Si scrive impeachment ma si legge alto tradimento o attentato alla Costituzione.

Per le forze politiche che avevano costruito il contratto di governo, il rifiuto del Capo dello Stato di nominare il ministro dell’economia proposto dal Presidente del Consiglio incaricato costituisce un alto tradimento o un attentato alla Costituzione: i reati propri del Presidente della Repubblica che ne consentono la messa in stato d’accusa.

Per le altre forze politiche, fermo il rammarico di non aver potuto vedere il contratto di governo alla prova del governo, il Presidente della Repubblica avrebbe perfettamente applicato la Costituzione, esercitando le proprie prerogative che comprenderebbero il veto sui ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato.

A Firenze, un folto gruppo di costituzionalisti, che comprendono anche molti dei maestri di chi scrive, ha sottoscritto un documento in cui, fra l’altro, si legge che il potere di nomina dei ministri richiede il concorso del Presidente del Consiglio incaricato, ma che qualora questo concorso non si realizzi spetta al Capo dello Stato, che se ne assume la piena responsabilità, l’ultima parola.

Sono opposti punti di vista, politici e costituzionali, che meritano di essere vagliati con una premessa di metodo: il compito del costituzionalista è studiare la Costituzione formale, la Costituzione per come è scritta, per comprendere la Costituzione materiale, la Costituzione per come opera nel concreto svilupparsi delle dinamiche economiche, politiche e sociali, cercando il giusto equilibrio fra le due.

Nel dialogo fra “black letter law” e “law in action”, il costituzionalista non deve affermare la prevalenza della prima sulla seconda perché altrimenti la Costituzione sarebbe norma morta, né può lasciarsi ammaliare dal fascino della seconda e perdere di vista il testo costituzionale, perché altrimenti la Costituzione sarebbe un libro dei sogni.

Deve cercare di conciliare Costituzione formale e Costituzione materiale, trovare l’equilibrio fra queste due realtà, senza pensare che l’una possa vivere senza l’altra e consapevoli che l’ultima parola in questo compito spetta alla Corte costituzionale.

Sulla base di queste premesse, si può guardare con serenità alla cronaca di questi giorni, senza pronunciare né un aprioristico Io sto con Mattarella, né darsi a un’altrettanto irragionevole chiamata delle piazze all’impeachment. Read more →

Come un gatto sull’Aurelia: Conte, Presidente del Consiglio

in profstanco / by Gian Luca Conti
28/05/2018

1  – Conte Presidente del Consiglio è durato quanto un gatto sull’Aurelia.

Il Capo dello Stato, ieri che era il 27 maggio 2018, per la prima volta in settanta anni di repubblica, ha dichiarato di esercitare un potere di veto sulla lista dei ministri presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato ha restituito il mandato.

Non è la prima volta che il Presidente della Repubblica interviene sulla lista dei ministri ma è la prima volta che lo fa esplicitamente enunciando un potere presidenziale di veto che non era mai stato affermato esplicitamente e questo potere di veto evoca lo Statuto Albertino, quando i ministri erano ministri del Re, prima che del Regno e le discussioni fra Vittorio Emanuele II e i suoi primi ministri potevano essere assai accese.

Egualmente, il Presidente della Repubblica ha innovato la prassi per cui, in questi casi, è il suo segretario generale che legge un comunicato stampa in cui si dichiara che l’incaricato ha rinunciato al mandato, ed è apparso in prima persona a sottolineare l’importanza del suo gesto.

Il Capo dello Stato ha affermato il proprio ruolo di indirizzo politico costituzionale esercitando il veto sul ministro dell’economia proposto dal Presidente del Consiglio incaricato per ragioni che riguardano la posizione dell’Italia nei confronti dei mercati e il suo debito pubblico.

Nella sostanza, ha affermato che le politiche economiche e finanziarie non appartengono all’indirizzo politico di maggioranza, ma sono il risultato di precisi vincoli costituzionali a cui non è possibile sottrarsi.

La decisione è coerente con la posizione del patto di stabilità e crescita nella Costituzione: la modifica, approvata con un plebiscito parlamentare nel 2012, dell’art. 81, Cost. pone il principio di pareggio di bilancio fra i valori costituzionali e non è impossibile sostenere che questo principio riceva autorità dall’art. 11, Cost. e sia perciò funzionale alla costruzione di un ordinamento internazionale fondato sulla pace mettendo insieme Spinelli e Delors. Read more →

Il Conte scosso e la piramide rovesciata

in profstanco / by Gian Luca Conti
23/05/2018

1 – Il Conte scosso è un modo per indicare la posizione, non troppo felice, del prof. Conte che parrebbe avere messo a rischio la propria candidatura a Palazzo Chigi per una opera di cosmesi curriculare che ha ricordato a molti Oscar Giannino.

La piramide rovesciata è una felice espressione per rappresentare simbolicamente gli ultimi movimenti della Costituzione materiale.

Questi movimenti riguardano la posizione del Presidente della Repubblica nel procedimento di formazione del Governo, il ruolo del Presidente del Consiglio dei Ministri nella definizione dell’indirizzo politico e il ruolo del Parlamento nel voto di fiducia.

La premessa è un dato di cronaca: nelle trattative giallo-verdi, il contenuto della mozione di fiducia che il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto presentare era stato predeterminato attraverso la stipula di un contratto di governo fra Lega e M5S, le quali si sono presentate al Quirinale anche per indicare il nome del Presidente del Consiglio.

Il Capo dello Stato ha ascoltato senza rilasciare nessuna dichiarazione e consultandosi per il da farsi con i Presidenti dei due rami del Parlamento. Read more →

I mandanti di Mattarella

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/05/2018

1 – I mandanti di Mattarella sono Salvini e Di Maio che parlano della idea di Italia, a Milano di notte, e lo raccontano al Capo dello Stato, a Roma di pomeriggio.

Dentro questa fisionomia, per cui i due possibili alleati di governo discutono della loro idea di Italia e cercano punti di intersezione fra le post ideologie che ciascuno di loro rappresenta.

C’è qualcosa di strano in questa discussione. Viene da chiedersi se non avessero dovuto pensare all’Italia e all’idea del suo futuro che intendono proporre come indirizzo politico di maggioranza prima delle elezioni, in modo da chiarire al loro elettorato la ragione di una scelta che in quel caso avrebbe potuto essere diversa o più convinta.

Il corpo elettorale, ci si deve chiedere, ha votato Salvini e Di Maio perché costruissero insieme una nuova idea di Italia o ha votato le idee di Italia che ciascuno di loro proponeva e che oggi deve sintonizzare con i valori dell’altro, valori che in campagna elettorale non sembravano così vicini.

2 – Nella realtà, che è una realtà mistica, della forma di governo parlamentare fondata sulla irresponsabilità del Capo dello Stato ed ereditata dalla inviolabilità della Corona, i partiti propongono le loro ideologie al corpo elettorale che premia l’una o l’altra e il Capo dello Stato rappresenta la nazione scegliendo il leader della coalizione di governo, che è il motivo per cui il libero mandato del Presidente della Repubblica si chiama irresponsabilità, salvo l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione; il suo mandato dura sette anni, che sono due più della durata naturale di una legislatura; viene eletto dalla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune.

In questo schema, il Capo dello Stato sceglie il Capo del governo perché individua la persona che può rappresentare l’indirizzo politico di maggioranza quando le elezioni hanno segnato la sconfitta di tutte le forze, nessuna delle quali ha una maggioranza sufficiente per governare, sicché il Capo dello Stato scegliendo di incaricare l’uno o l’altro come Presidente del Consiglio suggerisce come integrare, modificare e correggere i diversi programmi dei diversi partiti per rispettare la volontà degli elettori, per arrivare a quell’idea di Italia che se fosse stata presentata agli elettori avrebbe avuto la maggioranza dei voti.

3 – Salvini e Di Maio sembrano uscire da questo schema discutendo dell’idea di Italia. Perché di questa idea dovrebbe discutere Mattarella con se stesso, perché è il Capo dello Stato che rappresenta la nazione, mentre i partiti politici, forse, dovrebbero limitarsi al loro ruolo di soggetti che vengono consultati per cercare un accordo sulla persona alla quale il Presidente della Repubblica può affidare la propria idea di nazione, che è l’idea di nazione in grado di aggregare una maggioranza su dei valori che il corpo elettorale non ha saputo scegliere perché nessuno dei partiti è riuscito nel corso della campagna elettorale a convincere la maggioranza degli elettori con la propria idea.

Salvini e Di Maio quando pensano all’Italia e lo fanno dopo le elezioni tradiscono la memoria dei propri elettori. Soprattutto invertono i termi di una fiducia intesa come mandato del Capo dello Stato, nella sua funzione tutt’altro che notarile di rappresentanza della nazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua funzione profondamente politica di capo del governo e perciò interprete dell’accordo fra i valori in lotta durante la campagna elettorale e adesso chiamati a collaborare per effetto della parziale sconfitta reciproca che giustifica l’accordo di coalizione, almeno a partire dalla prima legislatura repubblicana.

4 – Queste sono le osservazioni di un costituzionalista che cerca di comprendere l’evoluzione della forma di governo dopo la scomparsa dei partiti politici.

Difficilmente rappresentano il pensiero di Salvini e Di Maio, perché se uno smette di fare il costituzionalista e si mette a pensare a Salvini e Di Maio che discutono sull’idea di nazione, non gli viene in mente subito un dialogo alto e profondo che parte da Machiavelli e Guicciardini per arrivare a Pellegrino Rossi e Cesare Balbo, senza dimenticare nessuno, nemmeno Donat Cattin.

Gli vengono in mente due ragazzi molto più svegli di quello che vogliono sembrare che si passano nomi l’un l’atro all’unico scopo di bruciarli, perché sanno che le elezioni anticipate potrebbero non essere lontane e che il Capo dello Stato cerca qualcuno che possa guidare il paese a delle elezioni che hanno bisogno di un arbitro truccato come quelli del wrestling.

Disambiguare una commissione speciale

in News / by Gian Luca Conti
13/04/2018

Disambiguare è una parola orribile, la usa wikipedia per chiarire che un determinato lemma è utilizzato più volte come voce e consentire al lettore di orientarsi per trovare le informazioni che lo interessano.

In questi giorni, abbiamo scoperto che le camere appena insediate hanno costituito una commissione speciale e ci siamo scandalizzati per la presidenza di questa commissione, che è stata assegnata a due forze riuscite vincitrici, riuscite sicuramente vincitrici dal terremoto elettorale del 4 marzo.

Forse non è il caso di preoccuparsi più di tanto. Read more →

Ilva: laminando (a caldo) Corte cost. 58 del 2018

in profstanco / by Gian Luca Conti
11/04/2018

Ilva, con la sua presenza a Taranto, con l’impatto di un mostro che mangia rocce e vomita un pane che per alcuni sa di acciaio e fumo e per altri è dolce come la musica dei dollari di Paperone, pone un problema “terribile” di diritto costituzionale.

Terribile per la consistenza dei valori in gioco: il diritto alla eguaglianza nella salute e nell’ambiente ed il diritto all’eguaglianza nella libertà di iniziativa economica e nel diritto al lavoro.

Terribile per la necessità di operare un bilanciamento fra questi diritti, ovvero di spiegare attraverso un’applicazione ragionevole del principio maggioritario, perché in grado di convincere una democrazia matura e consapevole, senza essere travolti dalla forza retorica dei valori in gioco.

Terribile per la necessità di distinguere fra le diverse competenze che possono entrare in gioco nell’operazione di bilanciamento:

  • la funzione amministrativa: il punto di equilibrio del risanamento industriale dovrebbe appoggiarsi, ai sensi del d.lgs. 152/2006, sull’autorizzazione integrata ambientale che dovrebbe assicurare il corretto esercizio dell’attività di stabilimento. Un eventuale contenzioso sull’autorizzazione integrata ambientale sarebbe di competenza del giudice amministrativo  e dell’autorevole prudenza con cui maneggia questioni che possono diventare politicamente incandescenti;
  • il giudice penale: il punto di equilibrio del risanamento industriale non può determinare una lesione dei beni primari, la vita e la salute, protetti dall’ordinamento giuridico. In questo caso, non vi è alcun bilanciamento ma solo l’accertamento di una condotta e della sua rilevanza penale;
  • la funzione legislativa: il punto di equilibrio fra i diversi interessi costituzionali coinvolti dal caso Ilva è stato cercato attraverso una decisione politica, basata sulle regole di rappresentanza e nella quale il principio maggioritario trova l’unico limite del rispetto della Costituzione come verificato dalla Corte costituzionale.

Il vero problema, il problema che non si riesce a risolvere, è la logica di un bilanciamento nel quale uno dei valori in gioco è il diritto dei bambini (di tutti i bambini che vivono non solo in Italia ma nell’Unione Europea) a respirare un’aria che non sia meno pulita di quella che respirano gli altri bambini, a bere un’acqua che non sia meno pura di quella che bevono gli altri bambini, perché in fondo il diritto dell’ambiente regola esattamente questo diritto, stabilendo la misura in cui il dovere di solidarietà impone ai cittadini di subire un pericolo per la propria salute per ragioni che possono essere considerate di interesse pubblico.

Su questo conflitto, perché come hanno osservato sia Bin che Onida si tratta di un vero e proprio conflitto costituzionale fra giurisdizione, amministrazione e sfera politica intorno al valore del bene ambiente, la Corte costituzionale si è già pronunciata una volta (Corte cost. 85/2013) e ha espresso l’opinione che il bilanciamento sia possibile purché vi sia un percorso di risanamento ispirato al rispetto di tutti i valori costituzionali in gioco e regolato in forma amministrativa da un’autorizzazione integrata ambientale che può tenere conto delle specificità del caso concreto e di bisogni di risanamento particolari.

Il conflitto è ritornato dinanzi alla Corte costituzionale con ancora maggiore vigore, perché questa volta un decreto legge (il d.l. 92/2015) ha previsto che fosse sufficiente, dopo il sequestro penale, presentare un piano di risanamento per poter proseguire nell’attività industriale, senza alcuna valutazione di questo piano di risanamento da parte dell’amministrazione competente.

La Corte costituzionale, con la sentenza 58/2018, ha stabilito che non può bastare presentare un piano di risanamento per poter proseguire nell’attività industriale perché occorre dimostrare alla pubblica amministrazione che quel piano di risanamento rappresentata un ragionevole strumento di tutela per il bisogno di salute e di sicurezza espresso dai cittadini e dai lavoratori.

Fin qui, il discorso della Corte costituzionale è molto corretto e rappresenta un ragionevole sviluppo dei principi affermati da Corte cost. 85/2013, chiarendo che il conflitto fra giurisdizione e sfera politica generato dalla definizione dei valori ambientali deve necessariamente essere mediato dalla sfera amministrativa.

Ma ci sono almeno due Però:

(i) che cosa dice la Corte quando dichiara rilevante una questione di legittimità costituzionale che non poteva essere considerata rilevante perché riguardava una norma abrogata (il d.l. 92/2015), operando un’operazione di trasferimento della questione di legittimità costituzionale decisamente inedita nella giurisprudenza costituzionale?

(ii) che cosa dice il giudice penale che solleva la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni che determinano un danno grave ed irreparabile alla salute dei cittadini che sta cercando di tutelare ma consegna la sua ordinanza alla Corte costituzionale solo nel 2017?

Sotto il primo aspetto, si deve osservare che la Corte costituzionale ha giudicato sul contenuto di una norma espressa dal d.l. 92/2015. Questa norma è stata abrogata dall’art. 1, secondo comma, legge 132/2015 e riprodotta nell’art. 21 octies, legge 132/2015.

Ad avviso della Corte costituzionale, il fatto che la norma abrogata sia stata contestualmente riprodotta consente di applicare la giurisprudenza sul trasferimento della questione di legittimità costituzionale dal decreto legge decaduto al decreto legge reiterato (Corte cost. 83/1996).

E’ una giurisprudenza che si giustifica con la peculiarità del fenomeno della reiterazione dei decreti legge che impedisce al giudice costituzionale di conoscere della questione sollevata perché quando questa questione arriva alla Consulta il decreto legge non esiste più ed è stato sostituito da un altro decreto legge in una sequenza infinita e sfinente.

Ma questa giurisprudenza non era pertinente, perché la legge 132/2015 non era una reiterazione del d.l. 92, è la legge con cui il contenuto del d.l. 92/2015 è stato sostanzialmente convertito in legge, sia pure attraverso un’abrogazione e una novella.

Nello stesso tempo, e si viene al secondo punto di questa vicenda, l’impossibilità della Corte di conoscere della questione di legittimità costituzionale posta dal d.l. 92/2015 non dipende dal legislatore ma dal giudice penale che ha impiegato oltre due anni a far pervenire la sua ordinanza dal Tribunale di Taranto al Palazzo della Consulta.

Sono interrogativi a cui non è difficile dare una risposta.

La legittimazione della Corte costituzionale nel sistema non dipende solo dalla soluzione di concreti bisogni di giustizia costituzionale, dipende anche dal rispetto delle regole processuali. Se la Corte manca nel rispetto delle regole processuali, perde di credibilità. Questa Corte nella sentenza 10/2015 ha piegato le proprie regole processuali per dire alle società petrolifere che avevano ragione a contestare una tassazione dei loro profitti iniqua ma che non potevano riavere indietro i soldi versati perché ci sarebbe stato un danno per le finanze dello Stato. Adesso dice al giudice penale che non importa se le norme che sospetta di incostituzionalità sono state abrogate perché la Corte «giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni».

Sono oscillazioni preoccupanti.

La legittimazione del giudice penale dipende dalla sua capacità di assicurare tutela ai beni che gli sono affidati. Una tutela che deve essere tempestiva per quanto riguarda gli adempimenti di sua competenza. Due anni per spedire un plico che contiene il bisogno di giustizia espresso da chi respira un’aria che non è uguale a quella che respirano gli altri cittadini sono dannatamente troppi.

L’Ufficio di Presidenza al Senato: si comincia bene?

in profstanco / by Gian Luca Conti
29/03/2018

1 – Ieri è stato eletto l’Ufficio di Presidenza del Senato.

La notizia che ha destato preoccupazione è stata la mancata elezione di un questore del gruppo parlamentare che fa capo al PD.

E’ stato detto che rappresenta un grave vulnus per le minoranze parlamentari, che in questo modo non hanno alcuna rappresentanza nell’Ufficio di Presidenza, a livello di questori.

E’ una mezza verità perché è assolutamente vero che nell’Ufficio di Presidenza e particolarmente a livello di Vicepresidenza e di questori vi deve essere una rappresentanza delle minoranze e delle minoranze più qualificate. Read more →

Riforma del regolamento del Senato e scenari post-elettorali

in profstanco / by Gian Luca Conti
27/03/2018

1 – L’estremo dono della XVII Legislatura è stato la riforma del regolamento del Senato, una riforma importante e resa possibile dal contributo decisivo di Calderoli, come ha avuto modo di riconoscere Napolitano.

La riforma ha riguardato:

  • la possibilità di creare nuovi gruppi parlamentari: è possibile solo per i partiti e i movimenti politici che hanno partecipato alle elezioni ed una volta che si è aderito a un gruppo può essere molto difficile abbandonarlo;
  • l’abbandono della regola per cui l’astensione vale come voto contrario: l’astensione sarà, come alla Camera, computata ai fini del numero legale ma non della maggioranza da raggiungere per ottenere il passaggio di una determinata deliberazione;
  • il decisivo aumento del lavoro in Commissione, piuttosto che in Aula, con il riconoscimento che il luogo in cui si lavora davvero è la sede riservata piuttosto che quella pubblica.

Come tutti i doni di fine Legislatura e, soprattutto i doni di fine Legislatura portati da un Calderoli travestito da Babbo Natale, questa riforma merita di essere guardata con attenzione, quando le vacanze sono finite, ovvero alla luce dei risultati elettorali.

2 – I risultati elettorali mostrano una rappresentanza frammentata in non meno di tre macro aree, solo una delle quali appare compatta, e cinque gruppi.

Al Senato, si ha:

M5S 110

Forza Italia 61

Lega 58

Partito democratico 52

Fratelli d’Italia 18

Misto e autonomie [ancora da capire, ma complessivamente 19]

Maggioranza: 160

3 – Il primo aspetto su cui vale la pena fermare l’attenzione è il fatto che non possono nascere nuovi gruppi parlamentari al Senato, nella 18° Legislatura ulteriori rispetto ai simboli che hanno partecipato alle elezioni.

L’art. 1  della riforma introduce il principio in base al quale ciascun Gruppo, ferma la soglia minima di dieci senatori, deve essere espressione di un partito o movimento politico “che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno”.

La norma ha come fondamento una visione restrittiva del libero mandato parlamentare che si conferma nelle previsioni per cui coloro che abbandonano il proprio gruppo decadono dalle cariche di Vicepresidente e segretario, nonché da quelle eventualmente ricoperte negli uffici di presidenza delle Commissioni.

Questo complesso sistema fa sì che:

  1. solo i partiti che hanno partecipato alle ultime elezioni e hanno ottenuto non meno di dieci senatori possono formare un gruppo parlamentare;
  2. una volta formato il gruppo parlamentare, chi ne fa parte potrebbe avere dei forti disincentivi se dovesse decidere di cambiare i termini della propria appartenenza politica, perché dovrebbe essere considerato decaduto dal ruolo svolto negli uffici.

La norma si giustifica storicamente con la necessità di evitare scissioni come quelle che hanno dato vita ad Ala, generata da Forza Italia allo scopo di consentire la nascita del governo Renzi, senza generare crisi di identità troppo forti negli elettori del centrodestra.

Forse, però, questa norma serve essenzialmente a mantenere ferma l’identità dei gruppi parlamentari malgrado le diverse anime politiche che vivono nei partiti politici e che l’esito della competizione politica potrebbe avere esasperato.

Sembra una disposizione che dice alla parte del PD che potrebbe non desiderare restare unita dopo la debacle del 4 marzo: se volete uscire dal gruppo, vi potete accomodare nel gruppo misto, insieme a Grasso, Carlo Martelli, Mario Monti e Maurizio Buccarella…

Funziona però anche nei confronti del movimento 5 stelle, perché sconsiglia fortemente la secessione di coloro che potrebbero non essere soddisfatti delle alleanze che stanno maturando da una parte o che potrebbero maturare dall’altra.

E lo stesso vale sia per i gruppi di Forza Italia e della Lega.

Questa modifica del regolamento del Senato semplifica e riduce fortemente la dialettica politica, perché concentra il potere negoziale nei capigruppo, di cui aumenta la capacità di tenuta e di comando sui membri del proprio gruppo.

4 – Il secondo cambiamento riguarda le regole per il computo degli astenuti.

L’art. 64, terzo comma, Cost. ha sempre costituito un punto di equilibrio diverso alla Camera, dove gli astenuti concorrono al computo per il numero legale, ma non anche a determinare la maggioranza e al Senato, dove gli astenuti contavano sia ai fini del numero legale che ai fini del computo della maggioranza.

Questa differenza è caduta con la riforma del regolamento del Senato che si sta commentando: sia alla Camera che al Senato gli astenuti contano per la formazione del numero legale ma non anche per il computo della maggioranza.

Nella 17° Legislatura, il movimento 5 stelle ha spesso richiesto la verifica del numero legale e si può immaginare che il PD all’opposizione faccia propria questa tattica chiedendo continuamente la verifica del numero legale, che perciò non dovrà mancare.

Tuttavia la presenza ai fini del numero legale non vale anche come presenza ai fini del computo della maggioranza necessaria per deliberare, sicché una forza politica “responsabile” potrebbe non far mancare il numero legale ma astenersi successivamente e questo cambia significativamente gli scenari che si possono aprire.

Nella tabella che segue si incollano le maggioranze necessarie nel caso in cui uno dei gruppi parlamentari che si formeranno decida di operare “responsabilmente” garantendo la propria presenza ai fini del numero legale e successivamente astenendosi:

Totale 318
Maggioranza 160
Maggioranza meno FI 129
Maggioranza meno Lega 131
Maggioranza meno PD 133

E’ evidente che una maggioranza di 160 è difficile da raggiungere senza un accordo stabile, ma è evidente anche che una maggioranza compresa tra 129 e 133 è molto piace semplice da raggiungere e soprattutto da mantenere.

La novità regolamentare sembra, in altre parole, muovere verso una centralità dell’astensione, consentita dall’omogeneizzazione del computo dei voti sia al Senato che alla Camera.

5 – La terza mutazione riguarda il lavoro in Commissione.

Predieri, nei parlamenti del consociativismo, censurò l’erompere delle leggine, consentito dal fatto che ciò che non era possibile nel pubblico dell’Assemblea, era ragionevole nel segreto delle Commissioni.

Forse la citazione è troppo alta.

Però dopo il fallimento della seconda repubblica e dei suoi contratti con gli italiani, la terza repubblica potrebbe riscoprire la centralità del Parlamento e la centralità del Parlamento non è la centralità della sede pubblica assembleare ma la ricerca del compromesso reso possibile dalla penombra delle commissioni.

Il Giano Multiforme della Terza Repubblica

in profstanco / by Gian Luca Conti
26/03/2018

1 – Il Giano multiforme della Terza Repubblica è il Presidente della Camera o quello del Senato.

Uno dei due, non si sa quale, ma sicuramente uno dei due.

L’elezione della Casellati e di Fico a presidenti di Senato e Camera dice una cosa sola: l’unica maggioranza di governo politicamente impossibile è quella fra Forza Italia e Cinque Stelle, sicché una delle due presidenze sarà all’opposizione, ma non si si può prevedere quale.

2 – L’idea che il Presidente di Camera e il Presidente del Senato siano strumenti per assicurare l’attuazione dell’indirizzo politico di maggioranza (Ferrara, 1965) è scomparsa con l’affermazione di una delle poche ma certe convenzioni costituzionali, quella per cui, nel periodo 1976 – 1994, la presidenza della Camera spettava al principale partito di opposizione e quella del Senato alle forze di governo.

In questo periodo, le due presidenze si sono bilanciate reciprocamente e l’una non ha potuto svolgere una funzione di opposizione mentre l’altra non ha potuto operare come instrumentum regni.

Soprattutto, fra i due poli del Presidente imparziale (il modello inglese) e del Presidente di maggioranza (il modello statunitense), si è potuto affermare un modello di garanzia, per certi versi affine al Capo dello Stato.

3 – Con l’avvento della seconda repubblica, si è affermata un’altra convenzione, per la quale il presidente della Camera (Casini, Bertinotti, Fini) apparteneva al secondo partito della coalizione che usciva vincitrice dalla competizione elettorale, mentre quello del Senato spettava alla prima, cui pure spettava il compito di promuovere la formazione del governo, in conformità al mandato ricevuto dagli elettori.

Questa convenzione è sfumata con il passaggio alla XVII° Legislatura, quando sono stati eletti Boldrini alla Camera e Grasso al Senato, perché non era più possibile individuare il vincitore della competizione elettorale nella coalizione che non aveva i numeri per superare il voto di fiducia in entrambi i rami del Parlamento.

La mancanza di una maggioranza autosufficiente ha spinto verso figure politiche non eccessivamente caratterizzate in termini politici: sia Grasso che la Boldrini erano al primo mandato parlamentare, così da assicurare uno svolgimento delle funzioni massimamente attento ai bisogni dell’autonomia parlamentare e lontano dall’indirizzo politico di maggioranza.

L’inesperienza dei due presidenti ha, infatti, premiato la neutrale imparzialità dei funzionari parlamentari e la loro capacità di mediare fra opposte tensioni politiche nella ricerca della soluzione regolamentare più opportuna.

4 – La Terza Repubblica nasce da un sistema elettorale che colloca il voto in tre schieramenti.

La presenza di tre schieramenti fa sì che non possano operare né la convenzione del 1976, che presupponeva una forza politica necessariamente all’opposizione per effetto della conventio ad excludendum né quella del 1994, che operava in un sistema maggioritario sebbene corretto in senso proporzionale.

Soprattutto la distribuzione dei seggi fra le diverse forze politiche determinata dall’attuale legge elettorale non permette di immaginare quale possa essere la coalizione di governo.

Permette solo di immaginare che ci possa essere un governo con il Movimento 5 stelle in alleanza con la Lega Nord, l’ipotesi che atterrisce Travaglio, ovvero una sorta di grande coalizione travestita da governo di solidarietà nazionale che unisce la coalizione di centro destra e quella di centro sinistra.

Nel primo caso, non è facile immaginare che Forza Italia possa aderire: rischierebbe di scomparire.

Nel secondo caso, l’oggetto dell’accordo di governo sarebbe l’esclusione del Movimento 5 stelle.

Queste riflessioni possono permettere di intravedere una nuova convenzione costituzionale in cui la presidenza delle camere viene assegnata alle due forze politiche che rischiano di essere escluse dalla coalizione di governo perché si escludono reciprocamente.

Una sorta di convenzione del 1976 con l’aggiunta che non si sa chi sarà escluso.

Il presidente dell’assemblea è da molti definito come una sorta di Giano Bifronte nel distinguere fra l’aspetto interno e quello esterno della sua funzione, ovvero fra neutralità e imparzialità, come ebbe a dire Violante, con una formula ripresa da Fini.

Adesso è un Giano che rischia di diventare un Gano.

5 – La nostalgia per l’Inghilterra viene essenzialmente dalle modalità di queste elezioni.

Fico appartiene alla fascia più movimentata e arrabbiata del suo movimento. E’ qualcosa di simile a un giacobino arrabbiato, mentre Di Maio assomiglia a un girondino. L’elezione del primo sembra un modo per compensarlo della forza acquisita dal secondo e impedire o ritardare una scissione che potrebbe deflagrare come una diaspora e segnare la fine del movimento.

Il profilo della Casellati è talmente vicino a quello di Berlusconi da far pensare che sia un modo per superare un dissidio interno alla coalizione premiando la parte meno avvantaggiata dagli accordi pre elettorali e dai loro possibili sviluppi.

Entrambi, insomma, non sembrano delle figure astrattamente adatte a svolgere la funzione di supreme magistrature del diritto parlamentare.

Di conseguenza, il ruolo delle strutture di supporto alle due presidenze sarà anche in questo caso decisivo e formidabile: nell’ultima metamorfosi di questa enigmatica maschera repubblicana, l’ombra ha più i contorni del segretario generale che non quelli del presidente.

Fermo il 119: la bufala del residuo fiscale

in profstanco / by Gian Luca Conti
20/10/2017

Il quesito referendario del Lombardo Veneto

1 – Domenica 22 ottobre, i cittadini della Lombardia e del Veneto saranno chiamati a rispondere su di un quesito referendario sostanzialmente unitario anche se diversamente formulato nelle due regioni.

In entrambi i casi, viene loro chiesto se vogliono che le regioni Lombardia e Veneto godano di maggiore autonomia secondo quanto previsto dall’art. 116, Cost. e nel rispetto dell’art. 119, Cost.

Questo è il testo del referendum proposto per la Lombardia:

Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?

Molto più stringato il quesito della Regione Veneto:

Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?

La Corte costituzionale, con la sentenza 118/2015, ha precisato che il quesito veneto si riferisce alle materie per cui è consentito alle regioni chiedere maggiore autonomia ai sensi dell’art. 116, Cost.:  il quesito referendario ripete testualmente l’espressione usata nell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione cosicché per la Corte deve intendersi che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi possano riguardare solo le «materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)».

Il significato del quesito

2 – Per comprendere il significato del quesito si devono comprendere le materie nelle quali è consentito a queste due regioni chiedere maggiore autonomia.

2.1 – Si tratta delle seguenti materie comprese nell’elenco di cui a 117, secondo comma, Cost. (materie in cui lo Stato è titolare di una funzione legislativa esclusiva):

  • 117, secondo comma, lett. l): giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa, limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace
  • 117, secondo comma, lett. n): norme generali sull’istruzione;
  • 117, secondo comma, lett. s): tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

La giustizia di pace riguarda poco più che i danni derivanti dalla circolazione stradale, le liti in materia di confini e le questioni condominiali.

Questa competenza non vale a modificare l’ordinamento processuale, ma unicamente l’organizzazione della giustizia (di pace) sul territorio del Lombardo Veneto, sicché le regioni potranno magari decidere di mettere un ufficio del giudice di Pace a Desio o a Bassano del Grappa, ma niente di più.

Le norme generali sull’istruzione sono quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge (Corte cost. 200/2009).

In questo ambito, non sembra che vi possa essere spazio per una diversa autonomia del Lombardo Veneto rispetto al restante territorio nazionale: l’esame di maturità, le licenze media ed elementare non possono che restare le stesse su tutto il territorio nazionale ed altrettanto vale per i diplomi di laurea, sia triennale che magistrale.

La lett. s) dell’art. 117, secondo comma, individua la materia (valore: Corte cost. 407/2002) della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

In questo caso, l’autonomia regionale può consistere unicamente della possibilità di stabilire misure più restrittive a tutela dell’ambiente, può prevedere che gli scarichi abbiano un contenuto inferiore di sostanze pericolose, ma non misure meno severe per effetto della giurisprudenza europea in materia di tutela dei beni ambientali.

In altre parole, la maggiore autonomia di cui all’art. 116, Cost. con riferimento alle lett. l), n) ed s) dell’art. 117, secondo comma, Cost. non significa praticamente nulla e, soprattutto, non comporta un aumento dei trasferimenti da parte dello Stato che sono collegati alle funzioni amministrative esercitate dalle regioni e non ai titoli astratti di competenza legislativa.

2.2 – Non è diverso se si guarda all’art. 117, terzo comma, Cost. che individua le materie in cui spetta alla legge dello Stato definire i principi generali e alle regioni decidere la normativa di dettaglio.

Si tratta:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
  • commercio con l’estero;
  • tutela e sicurezza del lavoro;
  • istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni;
  • ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  • tutela della salute;
  • alimentazione;
  • ordinamento sportivo;
  • protezione civile;
  • governo del territorio;
  • porti e aeroporti civili;
  • grandi reti di trasporto e di navigazione;
  • ordinamento della comunicazione;
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
  • previdenza complementare e integrativa;
  • coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  • valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  • casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
  • enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

In tutti questi casi, chiedere maggiore autonomia senza stabilire in che cosa consiste la maggiore autonomia che si chiede non significa nulla.

Ad esempio, in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia che cosa può chiedere una regione? Una diversa regolamentazione delle interconnessioni attive o una diversa disciplina dell’autorizzazione alla realizzazione di impianti fotovoltaici o una disciplina speciale per le concessioni ad uso idroelettrico? Sono tre cose diverse e se non si sa che cosa si chiede è molto difficile sapere se è opportuno chiederlo.

Differenziare il regionalismo

3 – I margini di differenziazione sono molto diversi fra le materie in cui è ammesso il regionalismo differenziato ai sensi di 116 e 117, secondo comma e quelle in cui questa facoltà è ammessa da 116 e 117, terzo comma.

Nel primo caso, non vi sono sostanzialmente margini per una maggiore autonomia, se non su un piano marginale.

Nel secondo caso, vi è la possibilità di concedere maggiore autonomia ma questa possibilità dipende dalle concrete richieste di una regione che intende adattare alla propria identità sociale e consistenza geografica una determinata competenza.

Non stabilire che cosa si chiede rende il referendum vuoto e, perciò, pericoloso.

Fermo il 119

4 – In nessun caso il regionalismo differenziato può modificare le modalità di ripartizione delle risorse fra Stato e autonomie previsto dall’art. 119, Cost.

Il modello dell’art. 119, Cost. non è generoso con le autonomie regionali perché fissa il principio per cui ciascuna regione è titolare delle risorse necessarie per lo svolgimento delle proprie attribuzioni e non di una parte delle risorse che sono prodotte da quelle regioni.

Questo principio genera inevitabilmente il cd. residuo fiscale, ovvero la differenza fra quanto una regione produce di gettito fiscale e quanto riceve dallo Stato.

Il significato vero del referendum Lombardo si legge nella deliberazione di Consiglio regionale 13 giugno 2017, n. X/1531, che è una mozione che impegna la Giunta regionale e per essa il suo presidente:

  • a istituire un Tavolo tecnico allo scopo di individuare il costo unitario e il costo complessivo dei
    servizi di fronte al pacchetto di materie negoziabili ex artt. 116 e 117 Cost., nell’ambito della
    trattativa con il Governo successiva al referendum;
  • a svolgere la trattativa successiva al referendum possibilmente insieme al Governatore del
    Veneto, Luca Zaia, impegnato in un analogo percorso referendario, con il deliberato obiettivo di
    rafforzare la forza d’impatto nella trattativa interistituzionale con il Governo, che si troverebbe di
    fronte i rappresentanti di oltre 15 milioni di abitanti, circa 80 miliardi di euro di residuo fiscale e
    circa il 35 per cento del PIL del Paese;
  • a convocare un Tavolo, dopo lo svolgimento del referendum, in seno alla Conferenza StatoRegioni
    e in accordo con il Governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, composto da tutte
    quelle Regioni che vantano un credito annuale nei confronti dello Stato centrale e che guidano la
    graduatoria del residuo fiscale, per costituire un “Fronte del Residuo Fiscale” e favorire il
    percorso ex art. 116, c. 3, Cost. anche per le altre Regioni virtuose;
  • a negoziare, all’indomani dell’esito positivo del referendum, contestualmente alle nuove
    competenze e alle risorse relative, anche l’autonomia fiscale così come riconosciuta alle Regioni a
    Statuto speciale, nel cui ambito sarebbe inserita la Lombardia all’indomani della conclusione
    positiva della trattativa con il Governo, applicando il sacrosanto principio, ormai non più
    trascurabile, che le risorse rimangano sui territori che le hanno generate.”

In altre parole, il referendum lombardo serve ad attivare una trattativa con lo Stato centrale in cui la maggiore autonomia di cui all’art. 116 maschera una richiesta di modifica dell’art. 119, Cost.

Un conflitto di attribuzioni mancato

5 – Si è ricordato che per la Corte costituzionale (118/2015), il referendum lombardo – veneto è ammissibile perché si svolte nell’ambito di quanto non vietato dall’art. 116.

Si è visto che il Consiglio regionale della Lombardia ha chiarito con una propria mozione che il significato del referendum è una richiesta di intervento che riguarda 119, Cost.

Il Governo avrebbe dovuto reagire severamente alla mozione approvata dal Consiglio regionale il 13 giugno 2017, proponendo un conflitto di attribuzioni e facendo valere il precedente della Corte costituzionale.

Non lo ha fatto e il suo silenzio merita di essere considerato colpevole.

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