Salvini e la Diciotti: la responsabilità ministeriale come recinto
Il recinto dello Stato di diritto
La responsabilità politica dei ministri è assoluta e incondizionata: nessun ministro può chiedere di essere assolto dal rapporto di fiducia che lo lega – tanto indissolubilmente quanto precariamente – al Parlamento.
La responsabilità penale dei ministri conosce un giudice speciale (il Tribunale dei ministri) e una esimente extra ordinem. Se il ministro ha agito a tutela di un interesse costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico, l’art. 9, legge cost. 1/1989 stabilisce che la camera di appartenenza, ovvero il Senato se il ministro non è un parlamentare, possa negare l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Il Tribunale dei ministri di Catania ha ritenuto che il ministro Salvini meritasse di essere processato per sequestro di persona per aver ritardato l’individuazione del punto di sbarco per una nave della Guardia costiera su cui erano ospitati dei migranti salvati in mare dalla nostra marina e ha chiesto l’autorizzazione al Senato della Repubblica.
Il Senato della Repubblica ha negato l’autorizzazione affermando che un ministro che viola un diritto riconosciuto come fondamentale dalla Costituzione merita di essere processato come un criminale comune e, in questo caso, non spetta al Senato (o alla camera di appartenenza) negare l’autorizzazione al processo. Se però non è stato violato nessun diritto fondamentale, il Senato può negare l’autorizzazione, valutando l’esistenza delle esimenti di cui all’art. 9, legge cost. 1/1989.
Cinque giorni in mare non violano un diritto fondamentale
Cinque giorni in mare, anzi in porto ma senza poter scendere a terra, non sono una lesione di un diritto fondamentale per dei migranti che hanno attraversato l’inferno e il Senato si è perciò potuto chiedere se il ministro Salvini avesse agito per la tutela di un interesse costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico, ovvero se avesse agito per un fine egoistico.
Per il Senato, il problema da valutare era se il rifiuto di consentire ai naufraghi raccolti dalla Diciotti di scendere a terra era il tentativo di costringere la Repubblica di Malta a rispettare gli obblighi rivenienti dalle convenzioni internazionali in materia di salvezza delle vite in mare e la richiesta alla Unione Europea di gestire l’emergenza dell’immigrazione come una questione di interesse comune da risolvere in maniera responsabilmente condivisa o la prova muscolare di un uomo politico abituato a usare la forza come strumento di propaganda.
Ma queste alternative si aprono, secondo la relazione della Giunta delle Elezioni e delle Immunità Parlamentari firmata dal suo Presidente, Gasparri, solo se manca una lesione dei diritti fondamentali di coloro che erano a bordo.
La Giunta, nella relazione di maggioranza, ha sottolineato all’aula che gli esseri umani a bordo della Diciotti sono stati riforniti dei beni di prima necessità, che coloro che avevano bisogno di assistenza medica sono stati prontamente sbarcati e che lo stesso è accaduto per le donne e per i minori.
Di conseguenza, ha potuto escludere, in fatto, che vi sia stato un trattamento inumano e perciò una lesione dei diritti fondamentali di queste persone.
C’è però un problema: esistono dei reati che non sono una lesione di un valore costituzionale primario e, perciò, fondamentale? Assolvere da un reato perché è mancata la lesione di un diritto fondamentale non è compito del giudice penale, in questo caso del Tribunale dei Ministri? E questo compito non è diverso dalla concessione o meno dell’autorizzazione di cui all’art. 95, Cost. che prescinde dalla valutazione di una violazione di un diritto fondamentale che, in un certo senso, è data per presupposta?
L’essenza della “dottrina Diciotti”
L’essenza della dottrina Diciotti, come affermata dalla relazione di maggioranza della Giunta delle Elezioni e delle Immunità Parlamentari del Senato, è che un reato ministeriale consiste di una condotta commessa da un soggetto che riveste la carica di ministro e nell’esercizio delle sue funzioni ma che le funzioni di ministro escludono in radice la possibilità di ledere un diritto riconosciuto come fondamentale dalla Costituzione. Se questo accade, il ministro è un criminale comune e deve essere processato come ogni altra persona indagata di quel reato.
La Giunta porta avanti il suo ragionamento con due esempi: l’omicidio politico e la corruzione. Nel primo caso, non vi può essere un reato ministeriale perché un ministro non può ordinare l’omicidio di una persona senza violare un diritto riconosciuto come fondamentale dalla Costituzione. Nel secondo caso, il reato ministeriale manca perché la corruzione si basa sulla soddisfazione di un interesse privato che, come tale, non può che essere estraneo all’attività di governo e agli interessi che questa deve soddisfare.
Il problema con cui la Giunta si confronta, probabilmente sollecitata dal dibattito con le posizioni di minoranza, è la natura di precedente della decisione dell’assemblea che si trovava a dialogare con i confini dello Stato di diritto, stabilendo se il diniego dell’autorizzazione di cui all’art. 95, Cost., un diniego essenzialmente politico, può giustificare la commissione di un reato.
La Giunta, nella sua relazione di minoranza, e l’assemblea del Senato che ha approvato questa relazione hanno voluto evitare che l’autorizzazione di cui all’art. 95, Cost. potesse consentire al Senato o alla Camera dei Deputati di consentire a un ministro di commettere un reato quando questo reato determina la lesione di un diritto fondamentale.
Nel caso della Diciotti, la lesione dei diritti fondamentali sarebbe mancata perché privare della possibilità di scendere a terra per un periodo limitato di tempo delle persone che avevano attraversato un deserto di sabbia e uno d’acqua salata non sarebbe una lesione di un loro diritto fondamentale.
L’apparenza del ragionamento della Giunta, l’apparenza della Dottrina Diciotti, è molto ragionevole: l’autorizzazione di cui all’art. 95, Cost. rischia di essere un limite dello Stato di diritto rendendo lecite condotte che altrimenti sarebbero dei reati, come è nell’esempio dell’omicidio politico o della corruzione.
Ma si tratta di una apparenza assolutamente non ragionevole perché conduce il Parlamento a giudicare la natura di un diritto secondo criteri politici che non hanno niente a che fare con la sua sostanza costituzionale.
Nel caso della Diciotti, si dice che una privazione limitata della libertà personale e, in particolare, della libertà di circolazione, non è la lesione di un diritto fondamentale perché, in fondo, queste persone sono state trattate bene e non hanno subito trattamenti degradanti.
Ma queste persone sono state trattenute contro la loro volontà o no? Era solo questo il problema.
Verificare la sostanza del diritto violato attraverso un giudizio politico ad hoc non è individuare il corretto confine fra il recinto dello Stato di diritto e l’arena della giustizia politica, è eludere la questione.
Oltre la Dottrina Diciotti e verso la costruzione di una giustizia politica responsabile
Per individuare il corretto confine fra lo Stato di diritto, che vuole l’eguale soggezione di tutti i cittadini alla legge, e la giustizia politica, che consente all’interesse pubblico di maggioranza di sacrificare beni altrimenti protetti dalla giustizia penale, sono necessarie alcune premesse.
La prima di queste premesse riguarda la competenza funzionale del Tribunale dei Ministri. Il Tribunale dei Ministri è competente a stabilire se una condotta oggetto di una notitia criminis cade astrattamente nella propria competenza e perciò: se l’agente rivestiva la qualifica di ministro (aspetto soggettivo) e se fra la condotta dell’agente e la qualifica di ministro vi è un nesso funzionale nel senso che solo un ministro poteva commettere quel reato perché il reato è stato commesso nell’esercizio delle funzioni ministeriali.
L’esistenza di un nesso funzionale fra condotta e qualifica soggettiva determina la necessità di comprendere se la condotta sia giustificata dalla necessità di tutelare un interesse costituzionalmente rilevante o di perseguire un preminente interesse pubblico e questa valutazione è affidata al Parlamento, o meglio alla Camera dei Deputi se il ministro è un deputato e al Senato della Repubblica, se è un senatore o se non è un membro del Parlamento.
Il diniego dell’autorizzazione di cui all’art. 95, Cost. può quindi essere giustificato solo dall’accertamento dell’esistenza di un nesso funzionale fra la condotta e il soggetto che l’ha posta in essere nella qualità di ministro, nesso funzionale che la Camera o il Senato devono valutare chiedendosi se il comportamento del ministro possa essere giustificato alla luce degli interessi che ha perseguito e quindi con una valutazione sostanzialmente politica che giustifica un limite dello Stato di diritto secondo il canone necessitas suprema lex.
Si deve anche sottolineare che questa valutazione è espressa a un livello monocamerale e quindi non ha la stessa natura della fiducia che intercorre fra entrambe le Camere e il governo, ma piuttosto ricorda le valutazioni di cui all’art. 68, primo comma, Cost., da cui si è ripresa la suggestione del concetto di nesso funzionale.
Sulla base di queste premesse, è possibile sostenere che la Dottrina Diciotti sia errata perché la valutazione rimessa al Parlamento riguarda l’esistenza di un nesso funzionale fra l’attività di governo e il reato di cui il ministro è accusato.
Non riguarda invece la natura del diritto fondamentale che si suppone essere stato leso.
Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione
La decisione di negare l’autorizzazione ex art. 95, Cost. è una decisione sullo stato di eccezione, perché rappresenta un’eccezione allo Stato di diritto e al principio di eguale soggezione di tutti i cittadini alla legge penale.
Questa decisione, nel nostro modello costituzionale, appartiene a una delle due camere che compongono il Parlamento, che ha il potere di assolvere il ministro dalle sue colpe assumendosi la responsabilità di quanto è accaduto per effetto di uno stato di eccezione che ha giustificato il comportamento del ministro.
Il Parlamento, però, non può decidere se un diritto è più fondamentale di un altro. Non può decidere che se dei migranti clandestini vengono trattenuti a bordo di una nave impedendo loro di sbarcare si ha una lesione dei loro diritti diversa da quella che si avrebbe nel caso in cui si impedisse a dei cittadini di uscire da uno stadio o da un altro luogo di pubblica riunione.
E’ necessariamente la stessa cosa e se non lo fosse, questo non riguarda la valutazione del Parlamento ma il giudizio del giudice penale che deve stabilire se vi è stato un reato e se quelle persone potevano legittimamente essere trattenute.
La Dottrina Diciotti è profondamente insoddisfacente e lo è perché apparentemente rispetta i diritti fondamentali mentre in realtà lede la ripartizione delle attribuzioni costituzionali attribuite dall’art. 95, Cost., come attuato dalla legge cost. 1/1989.
Ci potrebbe, forse, essere un conflitto di attribuzioni sollevato dal Tribunale dei Ministri di Catania, ma questo non è per niente probabile mentre è certa la natura di precedente di questa decisione del Senato.
Di pessimo precedente.