Quel terribile amore per la Costituzione. Il diritto alla salute comprende anche il diritto alla speranza?
I costituzionalisti sono molto affezionati al concetto di costituzione come norma giuridica. Lo sono anch’io. Mi piace pensare che la Costituzione non sia solo un programma politico in balia di parlamenti neghittosi o reazionari, ma funzioni come diritto. Ed è bello pensare che possa essere anche applicata direttamente dai giudici: rinviando la questione alla Corte quando la legge sia incostituzionale, senz’altro, ma anche quando si tratti di portare direttamente il diritto costituzionale (i diritti costituzionali) dove il legislatore non ha potuto o voluto intervenire.
Sono cose che esprimono la effettiva superiorità della Costituzione, il suo senso giuridico e politico, ed in definitiva la potenza del diritto costituzionale: specialmente della parte della Costituzione dedicata alla tutela dei diritti. La sua tendenziale a-storicità, volendo. Esprimono anche una esigenza di completezza, di chiusura del sistema: l’idea che nei principi costituzionali ci sia sempre la soluzione del caso, o comunque il modo per risolvere il caso.
È anche un po’ il riscatto dei costituzionalisti come giuristi di diritto positivo.
Il meccanismo dell’applicazione diretta, in effetti, conta alcuni successi. I più famosi sono quelli dell’art. 36 (che ha consentito di plasmare un concetto “costituzionale” – e giurisprudenziale – di giusta retribuzione) e quello dell’articolo 40: entrambi maturati in contesti di carenza di legislazione. Una specie di sanzione dell’inerzia, come ha scritto Andrea Guazzarotti.
il tema della “chiamata alle armi costituzionale” dei giudici con riferimento al diritto all’autodeterminazione in campo sanitario
I casi Welby ed Englaro hanno riproposto di recente il tema della “chiamata alle armi costituzionale” dei giudici con riferimento al diritto all’autodeterminazione in campo sanitario. Anche qui – ancorché in misura forse contraddittoria da pronuncia a pronuncia, in quella foresta giurisprudenziale che le due dolorose vicende hanno rappresentato – si è posto il problema di dare attuazione diretta a principi più o meno chiaramente espressi nel testo della Costituzione. Ma anche qui, anche in questi casi, il problema sembrava proprio quello di supplire ad una legislazione che non definiva l’accanimento terapeutico, che non disciplinava il fine vita, che non teneva in considerazione le volontà sul proprio corpo e sulla propria morte.
Ma questo meccanismo, che è senz’altro residuale, “supplente” e forse anche vicario (quando la legge non c’è, quando è impossibile darne un’interpretazione costituzionalmente orientata, quando non si può sollevare una questione di costituzionalità), funziona altrettanto quando in realtà non sia chiamato ad intervenire su un’inerzia, su un vuoto giuridico? La risposta a questa domanda sembra abbastanza importante, perché, pure in questa sua dimensione quantitativamente marginale, l’applicazione diretta della Costituzione è potenzialmente un meccanismo che fa della Costituzione uno strumento terribile, in grado di mettere nel nulla, se non travolgere decisioni politiche, bilanciamenti fra valori, assetti normativi.
La recentissima vicenda della somministrazione di cellule staminali manipolate mediante il metodo brevettato da “Stamina Foundation” è senz’altro significativo di questa problematica.
Gli Spedali Riuniti di Brescia applicano un protocollo per il trapianto di cellule staminali elaborato dalla ONLUS Stamina Foundation, e lo fanno in stretta collaborazione con quest’ultima, titolare del resto dei diritti di proprietà intellettuale. Vengono sottoposti a queste cure alcuni bambini con malattie terribili, totalmente invalidanti e destinate a decorsi rapidissimi e dolorosi verso esiti mortali. Nomi di malattie che si è cinicamente sollevati a sentire per la prima volta parlando di altri: morbo di Niemann Pick, atrofia muscolare spinale, sindrome di Kennedy. Malattie prive di cure efficaci, attestate dalla letteratura scientifica.
I soggetti trattati con le cellule staminali sembrano reagire in qualche modo. Senz’altro non peggiorano. Come capita nelle situazione di disperazione più aspra, questa circostanza fa emergere speranze fortissime specialmente presso le famiglie dei malati.
Niente più trattamento, niente più speranza.
Capita però che Stamina Foundation (i suoi legali rappresentanti) sia sottoposta a procedimento penale dalla procura di Torino (fra l’altro) per illeciti nella produzione delle cellule staminali, e che l’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) ordini la cessazione della collaborazione fra la società e gli Spedali Riuniti, rilevando irregolarità gravi nella gestione dei laboratori e dei protocolli di Stamina Foundation. L’Agenzia dice anche che il trattamento – senz’altro sperimentale – è offerto ai pazienti al di fuori di una sperimentazione vera e propria, e quindi senza le garanzie che la disciplina delle sperimentazioni pone (fra l’altro: protocollo sperimentale completo; razionale adeguato; chiarezza sugli obiettivi; riferimento alla letteratura scientifica; applicazione di metodologie attestate; analisi statistica adeguata; copertura assicurativa; approvazione da parte di un comitato etico indipendente che ne giudica la fattibilità ed il rispetto dei principi internazionali e delle buone pratiche in materia di sperimentazione dei farmaci). Qui non c’è niente: non c’è protocollo, non c’è parere specifico del comitato etico, non ci sono garanzie che il trattamento abbia un senso: almeno il senso che il legislatore – anche sulla scorta dell’esperienza internazionale – ha tradotto in norme, procedure, verifiche.
L’azienda sanitaria, ovviamente, ubbidisce, e sospende le cure.
Niente più trattamento, niente più speranza.
Ci si rivolge al TAR Lombardia contro la delibera dell’AIFA, in via di tutela cautelare. Si dice, fra l’altro: si tratta di cure “compassionevoli”, attuate in situazioni totalmente prive di cure di efficacia attestata, e come tali sottoposte a meno vincoli rispetto alle sperimentazioni ordinarie. Ma il TAR rileva che non si tratta di uso compassionevole di farmaci, perché il DM 4/12/2006 (sull’utilizzazione dei medicinali per terapia genica al di fuori di sperimentazioni cliniche – un tardivo frutto della “scossa” che il caso Di Bella ha dato al nostro sistema della salute) richiede che l’efficacia del farmaco di cui si propone l’utilizzo “compassionevole” abbia quantomeno una qualche letteratura scientifica favorevole: e qui non c’è che un articolo pubblicato su una oscura rivista coreana. E comunque il provvedimento di AIFA non è viziato. Il TAR capisce bene l’urgenza che sostiene la istanza cautelare, ma non può far altro che dire ai ricorrenti: andate a chiedere la cura a chi ve la può legittimamente dare, ad una cell factory autorizzata, ma non rivolgetevi a chi attualmente non ha le condizioni per fornire il farmaco sperimentale.
Anche il Ministero della Salute istituisce una commissione ad hoc, che conclude di nuovo per la correttezza del contegno di AIFA: il protocollo di Stamina Foundation non è accreditato dalla letteratura internazionale, per cui la relativa terapia genica non può essere somministrata a singoli pazienti al di fuori di un vero protocollo sperimentale.
Niente più trattamento, niente più speranza.
Ma ci sarà pure un giudice, un giudice civile. Ci si rivolge ai giudici del lavoro, in varie parti d’Italia: quelle da cui provengono i piccoli pazienti. Venezia, Matera, Marsala, Firenze, Roma. Ci si rivolge loro in via d’urgenza.
E qui fa la sua apparizione la terribile Costituzione.
Con accenti più o meno netti, con motivazioni più o meno tecniche, praticamente tutti i Tribunali sollecitati (tranne quello di Roma, come si dirà) concedono la cautela richiesta dai genitori dei pazienti, ed impongono quindi agli Spedali Riuniti di riprendere le cure interrotte nei confronti dei singoli pazienti ricorrenti.
Praticamente in tutte le ordinanze dei giudici del lavoro ha un ruolo essenziale l’applicazione diretta della Costituzione, ed in particolare della parte dell’art. 32 Cost. che garantisce il diritto individuale alla salute. Dicono i giudici: attenzione, l’art. 32 garantisce un diritto alla salute; i bambini trattati stanno meglio di prima, o comunque non stanno peggio (anche se nessuno sa esattamente perché); vietando il trattamento AIFA di fatto impedisce il miglioramento o la non-progressione della malattia, nega una chance di sopravvivenza o di miglioramento della qualità della vita; quindi l’applicazione dell’art. 32 impone che vengano superati gli ostacoli che impedirebbero di per sé la somministrazione delle cure.
E qui fa la sua apparizione la terribile Costituzione. Riprende il trattamento, si riaccende la speranza.
Secondo il Tribunale di Marsala, che è quello più “appassionato” nell’applicazione dell’art. 32 (ma anche nelle altre pronunce non mancano accenti di questo tipo): “il ritardo e la subordinazione dell’invocato trattamento sanitario a tardive, controverse , quanto imperscrutabili, ancorché legittime, valutazioni eticistiche e burocratiche, rischierebbe di frustrare in maniera definitiva ed irreparabile gli interessi di rango costituzionale, assolutamente poziori e dominanti nel sistema dei valori giuridici universali, di cui sono portatori i ricorrenti”.
Riprende il trattamento, si riaccende la speranza.
Ora: (i) la somministrazione dei farmaci è regolata da buone pratiche e golden standard internazionali, elaborati dalla comunità scientifica; (ii) le sperimentazioni farmacologiche sono disciplinate dal legislatore – ancora sulla base di input internazionali – in modo da garantire che siano sensate sul piano scientifico, robuste sotto il profilo metodologico, fattibili sotto il profilo organizzativo ed eticamente ammissibili; (iii) le terapie “compassionevoli” sono regolate in modo che possano essere erogate in casi di carenza totale di altre vie terapeutiche, ma solo quando vi sia almeno una qualche evidenza scientifica di efficacia del farmaco; (iv) AIFA è il soggetto che il legislatore ha istituito, tra l’altro, per controllare le modalità di svolgimento delle sperimentazioni e la presenza dei requisiti degli sperimentatori e dei promotori delle sperimentazioni; è peraltro un’agenzia, quindi un soggetto di natura essenzialmente tecnica, e di fatto tendenzialmente avulso dall’indirizzo politico, (v) i comitati etici sono soggetti indipendenti, formati da soggetti di varia estrazione culturale e di varie competenze, che devono verificare caso per caso l’ammissibilità di un trattamento sperimentale, anche se compassionevole.
Ebbene, questo complesso di circostanze costituisce proprio il modo con cui il legislatore ha applicato l’art. 32 cost. al tema della sperimentazione dei farmaci, tenendo in considerazione entrambe le “anime” della disposizione costituzionale: la salute collettiva ma anche (forse soprattutto?) la salute individuale. Tutta la normativa esistente è infatti volta a garantire al paziente che non sarà sottoposto a trattamenti che si collochino sotto uno standard minimo di garanzie. Ciò che il Tribunale del lavoro percepisce come “imperscrutabili valutazioni eticistiche e burocratiche” non sono altro se non la traduzione normativa del bilanciamento effettuato dal legislatore fra diritto alla salute (diritto ad un determinato trattamento sanitario) e tutela della salute (con l’imposizione delle condizioni minime per garantire che il trattamento sia diretto effettivamente a migliorare o mantenere lo stato di salute del paziente, peraltro secondo standard internazionali).
Come osserva il Tribunale di Roma nell’unica ordinanza che ha respinto il ricorso ex art. 700 c.p.c. contro gli Spedali Riuniti: “se è vero che l’art. 32 non impone un modello astratto di medicina, è anche vero che un ragionevole bilanciamento fra il diritto soggettivo alla salute ed il principio […] della indisponibilità della vita e dell’integrità psico-fisica della persona, può trovarsi solo a condizione di fondare le scelte sul trattamento terapeutico su elementi e circostanze di fatto il più possibile oggettive e controllabili, su circostanze falsificabili. Ciò esclude un approccio soggettivo/intuitivo non fondato su evidenze cliniche del trattamento ma sulla speranza o, più in generale, sulla mera fiducia del guaritore”.
È veramente questo l’uso “diretto” della Costituzione cui i costituzionalisti sono affezionati? L’art. 32 tutela anche la speranza? Anche la disperazione?
In questa situazione, quindi, non c’è affatto un vuoto normativo, né una mancata attuazione di un principio costituzionale. Al contrario. C’è un complesso normativo appositamente elaborato dal legislatore, anche sulla falsariga di schemi e con il riferimento a pratiche internazionali finalizzato proprio all’attuazione di quel principio costituzionale. In questo complesso normativo trovano posto procedure, valutazioni tecniche ed etiche, attività di soggetti costituiti ad hoc (AIFA, i comitati etici). In altre parole, il complesso normativo esistente è il modo con cui il legislatore ha inteso garantire l’art, 32 sotto questa particolarissima prospettiva. Giusto o sbagliato, costituzionale o incostituzionale, perfetto o carente: è questo il modo con cui il legislatore ha trovato la sintesi, ha effettuato i bilanciamenti, ha attuato la Costituzione.
Di fatto, le ordinanze sul caso “Stamina Foundation” propongono una applicazione della Costituzione, dell’art. 32, che sostanzialmente travolge il modello con cui il legislatore ha inteso attuare proprio quel principio costituzionale.
Un uso della Costituzione da parte dei giudici che porti loro a travolgere questo modello è un uso veramente auspicabile? Anche se solo in via cautelare, un’applicazione della Costituzione che sostituisce la scelta legislativa con la sensibilità e la percezione della portata dei valori costituzionale espressa dal giudice è veramente ammissibile, al di fuori di un quadro di ricorso alla Corte costituzionale?
È veramente questo l’uso “diretto” della Costituzione cui i costituzionalisti sono affezionati?
L’art. 32 tutela anche la speranza? Anche la disperazione?