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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Come mi chiamo? (La Corte e i cognomi)

in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2022

Notoriamente la Corte costituzionale ha sempre ragione.

Anzi: la Corte costituzionale è una metafora della vita e non vi è evento della vita di un individuo che non possa essere risolto ricorrendo alla sua giurisprudenza.

La dottrina della Corte per molti costituzionalisti è l’equivalente del Talmud per un rabbino ortodosso.

Anche se, ovviamente, non hanno mai letto il Talmud. O, si potrebbe dire, non hanno letto neppure il Talmud.

L’ultima sentenza della Corte costituzionale di cui è stata data notizia a mezzo comunicato stampa è piuttosto divertente.

La Corte è stata investita della questione di legittimità costituzionale delle norme che impediscono ai genitori, se d’accordo, di dare al proprio figlio il cognome della madre anziché del padre e, giustamente, l’ha dichiarata costituzionalmente illegittima.

La conseguenza naturale sul piano additivo avrebbe dovuto essere che da qui in avanti i genitori possono scegliere se dare al proprio figlio il cognome dell’uno o dell’altro o di entrambi e che in assenza di questa scelta vale la previsione codicistica argomentata dall’art. 262, c.c. (sul punto, Corte cost. 282/2016).

La Corte, però, è andata più in là e ha stabilito che secondo gli artt. 2, 3 e 117, Cost., ciascuno dei genitori può, con l’accordo dell’altro, dare il proprio cognome al figlio e che in mancanza di una scelta di questo genere il figlio deve avere entrambi i cognomi. In quest’ultimo caso, però, i genitori devono trovare un accordo circa l’ordine nel quale i due cognomi devono comparire nei documenti. In assenza di accordo, specifica il comunicato stampa, si deve interpellare il giudice tutelare il quale deciderà (in base a quali criteri?) quale sia il cognome che risponde maggiormente all’interesse del minore. Read more →

Dal fumus persecutionis al fumus mutationis (Il bello della pregiudizialità parlamentare)

in profstanco / by Gian Luca Conti
05/11/2021

Le tesi sono, anche, l’inizio di un dialogo in cui si propone un percorso di ricerca, spesso poco più di una intuizione e si lascia una curiosità libera di muoversi, di cercare, divagare, con quella libertà priva di pregiudizi che è di chi comincia uno studio e non appartiene più a chi oramai studia da troppo tempo per non immaginare il colpevole già sullo scaffale della libreria dove un giallo vorrebbe attirare la sua attenzione.

L’intuizione, in questo caso, era che il tema dei conflitti da immunità stia subendo una mutazione, stia abbandonando le imbarazzanti torsioni che hanno caratterizzato e si stia stabilizzando lungo le direttrici della pregiudiziale parlamentare, e, forse, senza gli inconvenienti con cui questa evoluzione era stata accolta dagli studiosi più affamati di giustizia costituzionale.

Questa intuizione si basa su di una evidenza: i conflitti da 68, quasi una nuova attribuzione della Corte disegnata dalla legge 140/2003, si sono drasticamente ridotti e hanno perso progressivamente di mordente, ma non sono affatto diminuiti i casi della vita che cadono nell’ambito di applicazione dell’art. 68, Cost., vuoi sub specie di inviolabilità che di insindacabilità.

Di qui, l’idea che la pregiudizialità parlamentare, alla fine, abbia funzionato bene, che il Parlamento sia riuscito a regolare in maniera efficacemente razionale il proprio terribile privilegio, sia riuscito a trasformare il proprio privilegio in un assieme di valori che ne regolano l’understatement nei confronti della funzione giurisdizionale.

E, forse, una conclusione: se la Corte ha operato come ultima fortezza nell’affermazione di alcuni principi in materia di funzione parlamentare, se storicamente queste sentenze della Corte costituzionale si collocano nel momento in cui le Camere avevano massimamente perso la propria legittimazione nei confronti dell’opinione pubblica, se in quei tormentati tempi il nodo era il tono costituzionale delle prerogative esercitate dai parlamentari nel momento in cui gli stessi si avvalevano di un odioso privilegio, ecco, oggi, tutto questo è cambiato.

Lo sfoglio della giurisprudenza parlamentare sui conflitti racconta un’altra dimensione. Da una parte, si muovono piccole beghe da gruppo parlamentare, la bassa cucina delle offese che passano ai gestacci e che hanno già trovato la sanzione dell’ufficio di presidenza, le solite vicende di diffamazione che nascondono antiche inimicizie e reciproche avversità politiche. Dall’altra parte, la resistenza del parlamentare alle intercettazioni, utilizzate dai pescherecci dell’accusa come reti a strascico.

In tutti e due questi esempi, ma tanti altri varrebbe la pena di farne, quello che pare di vedere è un cambiamento di direzione nel tono del conflitto. Quello che conta non è più il tono costituzionale dell’esercizio del privilegio parlamentare, ma il tono giurisdizionale nell’esercizio del processo penale.

Un fenomeno che ha rappresentato in maniera molto felice un refuso del laureando che ha cercato di indagare questo argomento: dal fumus persecutionis al fumus mutationis.

Il Draghi della Gran Risa

in profstanco / by Gian Luca Conti
15/02/2021

1 – L’inizio della Gran Risa è un bivio.

Da una parte, la Gran Risa nera, che è un lungo brivido per sciatori esperti, dall’altra parte l’Alting, che è una pista non meno bella ma decisamente più semplice.

Anche il Presidente del Consiglio si trova dinanzi a un bivio e restare immobili fra il muro della Gran Risa e le cunette della Alting non è una scelta saggia.

Da una parte, può segnare una rottura rispetto a ogni tradizione e cercare di muoversi lungo la pista dell’autorevole imparzialità.

E’ il muro della Gran Risa.

Dall’altra parte, può lanciarsi molleggiato sulle cunette delle mediazioni fra forze politiche strenuamente antagoniste.

Sono le cunette della Alting. Read more →

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