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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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La repubblica di Berlusconi

in News / by Gian Luca Conti
27/04/2009

CalamandreiBerlusconi ha parlato ad Onna della resistenza.
Ha accettato la retorica resistenziale del fazzolettone tricolore.
Chiarendo che meritano pietà anche coloro che in buona fede sono caduti dalla parte sbagliata di una guerra civile.
Scalfari ha applaudito nella omelia settimanale che pubblica ogni domenica in forma di fondo.
Il Giornale ha applaudito Scalfari nel fondo del lunedì.
Siamo tutti più vicini adesso.
Tutti più lontani dalle cesure del 1944 – 46 e della Prima Legislatura Repubblicana.
Così, Franceschini, che seguendo la pista Scalfari sta studiando l’ipotesi partito unico: il PCI_PDS_DS come corrente del PdL.
Cazzate.
Il vero punto è che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha annunciato il ritiro di un disegno di legge di iniziativa parlamentare (Barani ed altri).
Violando le prerogative costituzionali del Parlamento.
Sacrificando il diritto di ogni parlamentare di presentare un disegno di legge (71, Cost.) e il divieto di mandato imperativo (67, Cost.), sottolineati da Bocchino e Cicchitto in una nota congiunta poche ora prima della esternazione berlusconiana.
Se questo non è fascismo, ci si avvicina parecchio.
E se i parlamentari del PdL avessero un rigurgito di dignità, dovrebbero prepararsi ad un Aventino.

Un mercato democratico

in News / by Gian Luca Conti
21/04/2009

NapolitanoLa settimana scorsa è stata resa nota una lettera inviata dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio e ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
In questa lettera, il Presidente della Repubblica si lamentava dell’abitudine del Governo di utilizzare la conversione dei decreti legge per ottenere la approvazione di testi normativi estranei al contenuto originale del decreto legge.
In pratica, il Governo, attraverso i parlamentari della maggioranza, utilizza le corsie accellerate della conversione dei decreti legge per ottenere la approvazione di disposizioni che non vuole né inserire nel testo originale del decreto legge, per evitare il sindacato del Capo dello Stato, né assoggettare alla procedura normale di esame delle Camere, che viene considerata eccessivamente lunga.
Il vantaggio di questa procedura, inoltre, sta nella inevitabile restrizione del potere del Capo dello Stato di rinvio delle deliberazioni legislative, tradizionalmente molto prudente nel caso di leggi di conversione di decreti legge, a causa delle rigidità imposte dall’art. 77, Cost., che prevede la decadenza ex tunc del decreto legge in caso di mancata conversione entro sessanta giorni.
Sul piano del diritto costituzionale, si potrebbe parlare molto a lungo delle possibili modifiche ai regolamenti parlamentari (alcune proposte da Chimenti sono estremamente interessanti) e delle limitazioni al potere di rinvio di cui il Capo dello Stato dovrebbe essere egualmente titolare, senza subire alcuna compressione anche nel caso di leggi di conversione o convalida.
Ma non interessa questo.
Interessa fermare l’attenzione sull’ultimo comma dell’art. 7, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, come convertito dalla legge 9 aprile 2009, n. 33.
Prima di tutto, la conversione è caduta nell’ultimo giorno di vigenza del decreto legge: il Capo dello Stato aveva le mani istituzionalmente molto legate nella promulgazione.
Secondo, l’articolo è intitolato "Controlli fiscali", ma non parla solo di controlli fiscali. Anzi, parla di molte altre cose.
Terzo, l’art. 7 del decreto legge contava 234 parole, dopo la conversione_trasfigurazione_maquillage ne conta 1895. Esso, perciò, dà perfetta consistenza alle critiche del Capo dello Stato.
Quarto, l’ultimo comma modifica l’art. 2357, c.c., in punto di limiti al possesso di azioni proprie da parte di società che fanno ricorso al mercato. Le azioni proprie sono le azioni che una società può acquistare anche se compongono il proprio capitale sociale. In questo modo, la società diventa proprietaria di se stessa. O meglio gli azionisti di controllo diventano un po’ più azionisti di controllo in danno degli azionisti di minoranza, che vedono il proprio diritto ai dividendi decurtato di quanto necessario all’acquisto delle azioni proprie. Normalmente, le azioni proprie servono come antidoto a scalate ostili: fanno parte del patrimonio sociale e in caso di una scalata si può immaginare che siano vendute solo se il gruppo di controllo della Società vede di buon occhio il potenziale acquirente.
Con questa modifica dell’art. 2357, c.c., il limite al possesso delle azioni proprie nelle società quotate passa dal 10%, che non è poco, al 20%, che è moltissimo, soprattutto in tempi di corsi borsistici ai minimi storici e di bilanci non altrettanto penalizzati dalla congiuntura.
In altre parole, il Governo, in una disposizione intitolata ai controlli fiscali, ha introdotto una formidabile norma a difesa di coloro che attualmente hanno il controllo di una società quotata.
Con un inevitabile danno alla democraticità del mercato, che invece vorrebbe tutte le società che decidono di aprirsi agli investimenti egualmente contendibili da parte di chiunque ne voglia assumere il controllo.
Anche se questo qualcuno si chiama Murdoch e la società si chiama Mediaset.
Ma queste sono chiacchere da professori di diritto costituzionale.

Tassare i ricchi per dare ai terremotati

in News / by Gian Luca Conti
17/04/2009

berlusindoneL’on. Berlusconi non ha ancora preso una decisione circa l’opportunità di introdurre una tassazione straordinaria sui redditi superiori a 120EuroMigliaia.
Come se in un sistema parlamentare, una decisione del genere spettasse al premier, in barba all’art. 72, quarto comma, Cost. e alle riserve di assemblea.
Però, forse, l’aspetto interessante di questo dibattito non riguarda la forma di governo, il neocesarismo berlusconiano, riguarda il valore della solidarietà all’interno di una cittadinanza unitaria.
Discorso difficile.
Parole difficili.
Far pesare la solidarietà solo sui più ricchi significa attenuare i doveri di solidarietà per i più poveri.
Può essere giusto in una chiave di giustizia sociale non estranea al combinarsi dei valori di cui agli artt. 2, 3 e 53, Cost.
Meno giusto se si osserva che il peso fiscale di un ceto equivale al suo peso politico.
I parlamenti sono nati nel momento in cui i grandi pagatori hanno chiesto di controllare come i denari rivenienti dalle loro tasse venivano spesi dal sovrano.
Non è un caso che questa proposta provenga da ambienti vicini al miliardario governante e che lo stesso miliardario governante stia ben attento a non appoggiarla troppo esplicitamente.
Fra Berlusconi e D’Alema ci sarà sempre una differenza fondamentale: il primo può dire al secondo che gli sta pagando l’auto blu, mentre il secondo non può affermare il contrario.
Una equa distribuzione della solidarietà è un necessario baluardo della democrazia.

Lezioni

in News / by Gian Luca Conti
18/03/2009

Berlusconi_IVCi sono giorni in cui uno prova a fare lezione.
Prova a spiegare le lente trasformazioni della costituzione materiale in un sistema a democrazia bipolare imperfetta.
Prova a chiarire la inesorabile trasfigurazione della forma di governo verso un sistema direttoriale, nel quale il ruolo del Parlamento come motore di sintesi politica primaria è oramai assolto dal Governo.
Prova a essere chiaro.
Ma non riesce a non accorgersi di tizio che si pulisce attentamente il naso (Levati le dita dal naso, imbecille, gli viene da urlare).
Di caio che cerca di tenere gli occhi aperti senza riuscirci, come una messa distratta dopo l’addio al celibato (Ieri, bagordi, vorrebbe dire – e, a un certo punto, lo dice).
Di sempronia che si netta le unghie con le forbicette e poi le smalta (Almeno non in prima fila, signorina, per favore, vorrebbe dire, ma sta zitto).
Sono giorni in cui ci si rende conto che non tutti, evidentemente, hanno una casa.
Perché se ce l’avessero, chi glielo farebbe fare di venire a sentire un idiota che cerca di inseguire il Freiheit und Einsamkeit di Humboldt?

Il Parlamento in Gran Consiglio

in News / by Gian Luca Conti
11/03/2009

313380pUwt_wBerlusconi ha proposto di far votare i capo gruppo parlamentari e non i parlamentari.
Appare una proposta radicalmente incostituzionale per le ragioni che Ainis illustra su La Stampa e che può essere motivato dalle ragioni di politique politicienne illustrate da Massimo Franco sul Corsera.
Sicuramente i gruppi parlamentari non hanno nessun potere sui parlamentari che vi aderiscono per effetto dell’art. 67, Cost.
Tuttavia, la proposta può non essere incostituzionale nel momento in cui i singoli parlamentari abbiano il diritto di manifestare il proprio dissenso rispetto al voto del capo gruppo e questo dissenso sia contabilizzato in sede di votazione.
Ma forse il punto non è questo.
Il sistema di rappresentanza politica disegnato dal divieto di mandato imperativo, ovvero dal principio per cui nessun parlamentare può essere vincolato alle istruzioni del partito o del gruppo al quale appartiene, è un sistema nel quale i singoli parlamentari, isolatamente considerati, rappresentano l’intera nazione.
Il voto non riguarda, nella purezza del disegno costituzionale, una lista, ma ha come esito di investire una persona e questa persona ha l’obbligo di rappresentare tanto chi l’ha votata che chi non l’ha votata agendo secondo la propria coscienza.
E’ un sistema che si allontana dalla rappresentanza e si avvicina molto alle teorie sulla rappresentazione e che, dal punto di vista della ingegneria elettorale, si sposa con sistemi maggioritari fondati su collegi uninominali o cerca sistemi proporzionali con voto di preferenza, del genere praticato fino al 1993.
Questo meccanismo assiologico si è pericolosamente incrinato con l’attuale legge elettorale, che da un lato ammanta il premier di un plusvalore di legittimazione democratica che gli è donato dal plebiscito sull’accordo di coalizione, e dall’altro lato allontana gli elettori dagli eletti per mezzo di un diabolico combinarsi di soglie di sbarramento, premi di maggioranza e liste bloccate.
Non è incostituzionale l’idea di far votare i capi gruppo.
Con alcuni accorgimenti potrebbe anche – forse – essere praticabile.
E’ incostituzionale il movimento ordinamentale che allontana il corpo elettorale dal Parlamento.
Lo stesso movimento che, in altri tempi, portò il Gran Consiglio a prendere il posto della Camera dei deputati.
Tempi, si dice, meno allegri.
Si dice.

Sciopero

in News / by Gian Luca Conti
26/02/2009

quartostatoLo sciopero è un diritto inviolabile.
Sicuramente.
Il governo Berlusconi sta mettendo a punto un disegno di legge delega che ne dovrebbe limitare l’esercizio nel settore dei trasporti.
Nulla di strano.
L’esercizio del diritto di sciopere può (forse, deve) essere oggetto di bilanciamento con altre libertà egualmente inviolabili, la cui consistenza può essere limitata da scioperi scriteriati.
Il settore dei trasporti è particolarmente sensibile a questo bilanciamento: il diritto di sciopero dei lavoratori, infatti, pregiudica la libertà di circolazione di tutti gli altri cittadini.
L’uso della delegazione legislativa è frequente e quasi naturale in ambiti normativi che si segnalano per la complessità della sintesi politica necessaria a disciplinarli, complessità che ha bisogno di una riflessione pacata, lontana dalla confusa stagnazione delle aule parlamentari.
Il vero problema, ed è un problema politico, riguarda la consistenza della riforma proposta che può limitare grandemente l’uso del diritto di sciopero come strumento di libertà, consegnandola a decisioni plebiscitarie delle rappresentanze dei lavoratori.
Difatti, se lo sciopero può essere deciso solo da un referendum fra i lavoratori o da una rappresentanza sindacale che conta più della metà dei lavoratori del settore, lo sciopero diventa uno strumento della maggioranza.
Uno strumento plebiscitario nelle mani di coloro che sanno ingabbiare il consenso dei lavoratori.
Perde il suo spirito ottocentesco e anarchico.
Il suo valore di meccanismo di difesa dei più deboli.
Il vero problema, ed è un problema sociale, è che lo sciopero non è più considerato uno strumento legittimo di lotta dei lavoratori.
Non può più esserlo perché molte volte se ne è abusato.
Se ne abusa quando non è possibile sapere se i treni garantiti saranno garantiti davvero, o quando ci si trova a vagabondare come ciechi in aereoporto alla ricerca di una qualche informazione che ci dia la speranza di tornare a casa.
Se ne abusa quando – e capita spesso – lo sciopero è attentamente utilizzato per paralizzare un servizio con il minimo danno, imponendo lo sciopero a un numero di lavoratori – quelli più giovani, quelli che non possono dire di no – appena sufficente a bloccare il servizio e a garantire agli altri una giornata di stipendio per sfogliare il giornale o fare la spesa o imbottirsi di colazioni.
In questo modo, il governo Berlusconi può legittimamente inventare gli scioperi virtuali.
Perché lo sciopero è già virtuale.
Lo è diventato quando si è trasformato da strumento di lotta per l’affermazione dei diritti dei lavoratori in occasione di furberie.
Come gran parte delle libertà sindacali.

Un post da costituzionalista

in News / by Gian Luca Conti
09/02/2009

NapolitanoAvrei dovuto scrivere un post da costituzionalista.
Lo avrei dovuto scrivere venerdì.
Avrei dovuto censurare l’uso del potere di messaggio di Napolitano.
Avrei dovuto scrivere che il Capo dello Stato non può interferire con le attribuzioni del Consiglio dei Ministri, intervenendo su un affare al suo ordine del giorno prima che lo stesso gli sia sottoposto alla firma.
Avrei anche dovuto scrivere che una interferenza di questo genere, che costituisce una grave alterazione del sistema di equilibri previsto dalla nostra Costituzione filosovietica, mi pare davvero poca cosa rispetto alla interferenza della politica con la vicenda Englaro.
Che l’attentato alla Costituzione del Presidente della Repubblica, mi sembra molto meno grave di una legge o di un atto avente forza di legge che pongono nel nulla il risultato di anni di battaglie giudiziarie e violano il diritto di difesa e l’eguaglianza dinanzi alla legge: un cittadino che si è rivolto allo Stato per ottenere un qualcosa che le leggi dello Stato gli consentono di ottenere non può sentirsi negare quel qualcosa dopo averlo ottenuto per mezzo di una legge ad personam.
Sabato avrei dovuto scrivere che la nostra Costituzione è filosovietica soprattutto all’art. 7, in punto di rapporti fra Stato e Chiesa, perché senza Togliatti, ed il nulla osta di Stalin, De Gasperi non avrebbe mai ottenuto il rilievo costituzionale dei patti lateranensi e la condizione di speciale autonomia della Chiesa cattolica.
Domenica avrei potuto ricordare la Mystery Clause (Joint Court Opinion of Justices O’ Connor, Kennedy and Souter in Planned Parenthood Vs Casey 505 U.S. 833 – 1992 at 851): At the heart of liberty is the right to define one’s own concept of existence, of meaning, of the universe, and of the mystery of human life. Beliefs about these matters could not define the attributes of personhood were they formed under compulsion of the State, cercando di argomentare che uno Stato che legifera sul limite fra la vita e la morte è uno Stato totalitario, esattamente nella stessa maniera in cui lo è uno Stato nel quale la sodomia in luoghi privati è punita con il carcere.
Oggi potrei scrivere, e scrivo, che il Capo dello Stato può rinviare le leggi che gli vengono sottoposte per la promulgazione e che se le Camere abusano del potere che hanno di fissare un termine entro il quale la legge deve essere promulgata (art. 73, secondo comma), impedendo al Presidente della Repubblica di formulare un giudizio meditato sulla deliberazione legislativa, il Capo dello Stato può proporre ricorso per conflitto di attribuzioni alla Corte costituzionale.
Oggi potrei scrivere, e scrivo, che con il potere di fissare i tempi della entrata in vigore della leggi dilatando la promulgazione e usando tutti i trenta giorni di cui all’art. 73, primo comma, Cost., anche al di là di quanto le Camere potrebbero consentirgli, ai sensi del secondo comma dell’art. 73, il Capo dello Stato userebbe degli stessi poteri di clemenza che ha in materia di grazia.
Perché, in fondo, decidere della vita e della morte di una persona è una questione che, come la Corte costituzionale ha riconosciuto nella sentenza 18 maggio 2006, n. 200, non può appartenere all’indirizzo politico di maggioranza.
E’ Napolitano che con un uso costituzionalmente disinvolto del procedimento di promulgazione può consentire alla natura di fare il suo corso e, soprattutto, a un padre di chiudere gli occhi serenamente ad una figlia che ha il sacrosanto diritto di considerare morta.

Il Viagra nella Costituzione

in News / by Gian Luca Conti
13/01/2009

Pfizer-ViagraLe farmacie degli ospedali della Regione Toscana hanno gli armadi pieni di Viagra, Cialis e altri farmaci simili.
Le farmacie degli ospedali servono a custodire i farmaci che sono somministrati negli ospedali stessi e quei farmaci che i malati hanno diritto a ricevere in base a piani terapeutici formulati dagli ospedali.
In quest’ultimo caso, la logica è di impedire ai medici di base di prescrivere medicinali dal costo elevato e di assicurare, attraverso la formulazione ospedaliera del piano terapeutico, un serio scrutinio circa le effettive necessità curative del malato.
Di conseguenza, la presenza del Viagra nella farmacia di un ospedale può significare: (i) che nelle corsie dell’ospedale è possibile usare il Viagra, il che non pare molto probabile per gli inevitabili effetti della cura; (ii) che la malattia curata dal Viagra può essere oggetto di una cura finanziata dal servizio sanitario pubblico.
Come dire che in Italia il diritto alla salute comprende anche il diritto a una erezione felice.
E, onestamente, non mi pare che l’art. 32, Cost. non si presti ad una interpretazione di questo genere, che ne valorizza la connessione con il diritto al pieno sviluppo della personalità di cui agli artt. 2 e 3, Cost.

Anche oggi, esami (Diciotto, almeno diciotto)

in News / by Gian Luca Conti
28/11/2008

librettoAnche oggi, esami.
Studenti lavoratori.
Il primo pregiudizio è che uno studente lavoratore abbia diritto ad appelli straordinari.
Non si capisce perché.
Il numero degli appelli non aumenta le possibilità di superare gli esami.
Le aumenterebbe se la possibilità di superare un esame dipendesse da ragioni statistiche.
Ma non è così e non deve esserlo.
Il secondo pregiudizio è che uno studente lavoratore abbia diritto al diciotto.
Anche qui non si capisce perché.
Diciotto non è un brutto voto.
Significa essere in grado di dimostrare di possedere le basi della materia.
Che non si acquistano per effetto di un lavoro come commessa part time o come sciampista full time.
Si presentano due studenti lavoratori.
La prima fa un esame dignitoso: ventidue.
La seconda è orrenda.
Parla un italiano comatoso. Non è materia di esame, ma si esprime urticando.
Le funzioni del Presidente della Repubblica
–> emana le leggi [No, signorina: le leggi si promulgano], presiede il consiglio supremo di Stato [No, signorina, il Consiglio supremo di difesa, il Consiglio di Stato è un’altra cosa] eeeehhhh…….
Poi, signoriina?
eeeehhhh……. presiede la Corte costituzionale [No, signorina, un organo costituzionale non può presiedere un altro organo costituzionale, perché il secondo non sarebbe più in posizione pariordinata con il primo]
La tipa assume la posizione del merluzzo ferito.
La bocca spalancata come se fosse stata sorpresa all’amo: Mi faccia un’altra domanda. Almeno diciotto…
Mi parli della composizione della Corte costituzionale
–> ci sono quindici giudici, un quinto viene eletto dal Parlamento [No, signorina: un terzo], un altro quinto [No, signorina: un terzo, come prima] Ah si, un terzo dalla magistratura civile [No, signorina, dalle supreme magistrature civili e amministrative] Ma allora ce l’ha con me? [No, signorina, è la Costituzione che ce l’ha con lei] Mi dia diciotto [No, signorina, mi dispiace. Si presenti al prossimo appello].
A questo punto, la tipa inizia a urlare.
Crisi isterica.
Urla e strepiti, perché un diciotto non si nega a nessuno.
Sarebbe una regola etica: se sei uno studente lavoratore, hai diritto al diciotto perché lavori.
Va via sbattendo la porta e maledicendomi in ogni lingua conosciuta (ma non da lei).
Maledizione arrivata puntualmente: multa sul treno per bici trasportata abusivamente e smarrimento del pigiapipe preferito.
La prossima volta, l’impugnazione delle sentenze per conflitto di attribuzione.

Svillareggiando

in News / by Gian Luca Conti
21/11/2008

VillariDietro alla vicenda del senatore Riccardo Villari vi è un delicato intrecciarsi di istituti costituzionali.
Villari è stato eletto presidente della Commissione bicamerale di vigilanza sui servizi radiotelevisivi.
L’art. 5, quarto comma, del regolamento interno della Commissione stabilisce che l’ufficio di presidenza decada solo nel caso in cui la Commissione è rinnovata, anche parzialmente.
Il rinnovo della Commissione avviene nel caso di scioglimento delle Camere. Il rinnovo parziale, nel caso in cui lo scioglimento anticipato riguardi solo una delle due Camere.
Di conseguenza, a norma di Regolamento, il senatore Villari non parrebbe poter essere rimosso dall’incarico.
Tuttavia, l’art. 5, quarto comma si riferisce solo ad un caso di decadenza di diritto.
Non si riferisce ad un caso di revoca.
Il potere di revoca può essere considerato compreso nel potere di nomina, di talché la stessa maggioranza della Commissione che ha nominato Villari come presidente può votare la sua revoca e, in questo caso, Villari non avrebbe altro rimedio che il ricorso alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione, via piuttosto ardua da percorrere, dal momento che il conflitto non avrebbe come parti due poteri contrapposti, ma sarebbe piuttosto un conflitto interno al fluire stesso del potere in cui si è innescato.
Nello stesso tempo, la maggioranza potrebbe modificare – ai sensi dell’art. 21 del Regolamento interno – con una deliberazione assunta a maggioranza assoluta lo stesso Regolamento interno chiarendo che il presidente può essere revocato con una deliberazione assunta con le stesse modalità della deliberazione di nomina.
Di conseguenza, le dimissioni del senatore Villari, in realtà, sono un falso problema.
La maggioranza assoluta della Commissione ha tutti gli strumenti per rimuoverlo.
In realtà, però, il senatore Villari pone un problema diverso e molto più complicato.
Il problema del libero mandato parlamentare.
Villari ha rifiutato di rassegnare le dimissioni e si è ribellato alle direttive del proprio gruppo parlamentare, da cui è stato espulso.
Lo ha potuto fare perché l’art. 67, Cost, consente (ed impone) ad ogni parlamentare di interpretare la volontà del corpo elettorale che rappresenta senza vincoli di mandato.
E’ questa la norma che maggioranza ed opposizioni, in realtà, stanno cercando di comprimere.
Senza rendersi conto che il divieto di mandato imperativo è una garanzia di autonomia del Parlamento.
E’ un modo per assicurare che il Parlamento possa essere costituito da uomini liberi.
Il comportamento di Villari, che è svillareggiato come attaccamento alla poltrona, come un modo per nascondersi in un bunker, fra calzoni e babà, così Sebastiano Messina, è anche esercizio di una prerogativa parlamentare che merita rispetto.
Un Parlamento forte non dovrebbe insultare l’esercizio di questa prerogativa.
Dovrebbe revocare Villari dall’ufficio che occupa senza essere sorretto dal necessario consenso dell’opposizione cui spetta la designazione del presidente della Commissione.

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