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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Author Archive for: profstanco

Silenzi impenetrabili (Capo dello Stato e procura della Repubblica di Palermo)

in News / by Gian Luca Conti
05/12/2012

Sono silenzi impenetrabili quelli fra il Capo dello Stato e l’on. Nicola Mancino “accidentalmente” intercettati dalla Procura di Palermo nel corso delle indagini sulla trattativa fra il governo della Repubblica ed il governo di cosa nostra ai tempi degli attentati a Falcone e Borsellino e dell’attentato di Firenze.

Lo dice, con lapidaria chiarezza, la Corte costituzionale.

Lapidaria perché la sentenza non si conosce ma si percepisce dal comunicato stampa del Presidente della Corte, Alfonso Quaranta, che ne ha esternato il contenuto.

Di questa sentenza sono due gli aspetti che si possono sottolineare a prima lettura. Il primo è che non è una sentenza, ma un comunicato stampa. Il secondo è il ruolo del Presidente della Repubblica per come lo stesso emerge dai suoi impenetrabili silenzi. Read more →

Riforme impossibili: dal porcellum al procellum, con una certa nostalgia per il proporzionale

in News / by Gian Luca Conti
29/11/2012

La riunione dei capigruppo del Senato ha aggiornato l’esame della nuova legge elettorale al prossimo 5 dicembre.

Di nuovo nel vuoto le sollecitazioni del Capo dello Stato Read more →

Valutare la costituzionalità (A proposito di Daspo e arresto in fragranza differito)

in News / by Gian Luca Conti
23/11/2012

Il ministro degli interni, Cancellieri, nel question time di ieri al Senato ha diffuso la notizia che il Governo sarebbe favorevole ad una stretta nelle misure di prevenzione che si possono applicare in occasione di manifestazioni, anche a carattere studentesco, politico o sindacale.

Il tema delle misure di prevenzione è uno dei più dolorosamente sensibili conosciuti dal nostro ordinamento costituzionale e lo è sin da Corte cost. 2 e 11/1956

La stretta riguarderebbe l’applicazione di due istituti tipici del diritto sportivo della violenza: l’arresto in fragranza differita, per cui è possibile arrestare in fragranza anche dopo la commissione del reato, ed il divieto di accesso alle manifestazioni sportive (cd. Daspo).
Su entrambi i punti il ministro degli interni non ha nascosto di nutrire dei dubbi circa la compatibilità costituzionale dell’applicazione di questi istituti a manifestazioni che hanno carattere politico e che quindi si avvicinano molto al nucleo forte delle libertà intese in senso democratico come strumenti di partecipazione.
Se la democrazia non soffre particolarmente nel momento in cui il capo dei tifosi di una squadra di calcio viene ingiustamente allontanato dalle manifestazioni sportive, potrebbe essere intollerabile che il capo di un movimento politico controdemocratico non possa essere alla guida del suo movimento per ragioni di ordine pubblico non costituzionalmente ragionevoli.
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Dalla capacità contributiva alla tax compliance (Coglioni coerenti)

in News / by Gian Luca Conti
21/11/2012

La Direzione delle Entrate ha reso accessibile sul proprio sito un nuovo strumento di accertamento induttivo.
Si tratta nella sostanza di un software in cui il contribuente deve inserire alcuni dati relativi al proprio tenore di vita (spese per l’abitazione, i mezzi di trasporto, le assicurazioni ed i contributi previdenziali, l’istruzione, il tempo libero e la cura della persona, spese varie, investimenti immobiliari e mobiliari netti) e da cui si ha come risultato la coerenza o meno del tenore di vita rispetto ai redditi dichiarati.
Non nel senso che un certosino miliardario viene tassato, ma nel senso che un barbone prodigo viene tartassato.
Ma non è questo il punto.

la capacità contributiva si sta evolvendo in tax compliance, e questo impatta sia sulla percezione dello Stato sia sul ruolo del cittadino di fronte alle proprie obbligazioni di solidarietà

Questa assomiglia molto ad una retorica da Libero o da Fatto quotidiano.
Il punto è che la capacità contributiva si sta evolvendo in tax compliance, e questo impatta sia sulla percezione dello Stato (non un soggetto che chiede di collaborare all’adempimento dei propri fini istituzionali, ma un organismo accertatore, non troppo lontano da uno Stato di polizia) sia sul ruolo del cittadino, che nel primo caso può capire che quello che non paga viene pagato da altri ma serve anche a lui, mentre nel secondo caso non può non provare il desiderio di fuggire da un essere che avverte proteso come un rapace verso di lui.
Torna in mente una vecchia sentenza della Corte costituzionale (Corte cost. 16 giugno 1965, n. 50, Pres. AMBROSINI – Rel. FRAGALI), in cui si affrontava un problema non molto diverso: la limitazione in via legale dei mezzi di prova delle detrazioni ai fini dell’imposta delle successioni: il debito in conto corrente poteva essere provato solo con una dichiarazione del creditore.
In quel caso, la Corte costituzionale ebbe a stabilire: “Se per capacità contributiva deve intendersi la idoneità soggettiva alla obbligazione di imposta, rivelata dal presupposto al quale la sua prestazione è collegata, non appare contestabile che il riferimento di quel presupposto alla sfera dell’obbligato deve risultare da un collegamento effettivo, e che ad un indice effettivo deve farsi capo per determinare la quantità dell’imposta che da ciascun obbligato si può esigere. Senonché non convincono né il giudice a quo né la parte privata comparsa quando sostengono che, nei casi in cui la legge ancora ad un sistema di prove legali la determinazione dell’esistenza del presupposto dell’obbligazione tributaria e della sua entità concreta, si dà una base fittizia all’imposizione. La prova legale fornisce nella sostanza la stessa certezza di quella libera”.

ciò che conta non è la sostanza della capacità contributiva, ma la sua apparenza. Non uno Stato che chiede ai cittadini di collaborare, ma uno Stato che tassa il barbone prodigo e salva il certosino miliardario

Che è come dire che ciò che conta non è la sostanza della capacità contributiva, ma la sua apparenza.
Non uno Stato che chiede ai cittadini di collaborare, ma uno Stato che tassa il barbone prodigo e salva il certosino miliardario.
Soprattutto, però, uno Stato che finge di non accorgersi che se dichiaro diecimila euro e possiedo una macchina d’epoca, è difficile che quella macchina sia intestata a me ed assurdo chiedermi di dichiararlo: il test di coerenza, in fondo, si avvicina molto ad un test di coglionaggine.

21 Sallusti (quasi 22)

in News / by Gian Luca Conti
14/11/2012

Il Senato della Repubblica ha approvato un emendamento per il quale nel caso in cui la libertà di stampa diffami una persona, il giornalista responsabile del fatto ne risponde penalmente, con una pena dal massimo edittale di un anno, ovvero una pena che è quasi impossibile scontare con la detenzione.

L’emendamento è targato dall’Api di Francesco Rutelli.

La stampa insorge. Ma è davvero costituzionalmente intollerabile una sanzione penale per la diffamazione a mezzo stampa?

La libertà di stampa è nata, nei termini in cui la conosciamo, con la rivoluzione francese. Penna e tribuna erano le armi dei rivoluzionari e le gazzette (possiamo ricordare La bouche de fer, il Sentinel, il Tribuno del popolo di Babef), giornali in cui la cittadinanza si faceva attivo contropotere, raccogliendo il monito di Robespierre: Legislatori patrioti, non calunniate la sfiducia. La sfiducia, checché possiate dirne, è custode dei diritti del popolo. Essa sta al sentimento profondo della libertà come la gelosia sta all’amore.

Legislatori patrioti, non calunniate la sfiducia. La sfiducia, checché possiate dirne, è custode dei diritti del popolo. Essa sta al sentimento profondo della libertà come la gelosia sta all’amore.

Ma erano anche strumenti di proscrizione: le liste dei nemici della patria pubblicate quotidianamente sull’Ami du peuple conducevano non di rado alla ghigliottina.

La penna è strutturalmente nemica del potere, in questo la sua nobilità, ma può anche trasformarsi in uno strumento di oppressione, ricatto, falsità, inganno. L’ortografia della verità non fa sempre parte del patrimonio calligrafico di un giornalista e la silhouette di uno scandalo può uccidere una persona.

Nel linguaggio numerico della Costituzione, il 21 (libertà di manifestazione del pensiero) trova un limite nel 22 (diritto al nome, inteso come reputazione, come diritto ad essere conosciuti per quello che si è e non per quello che una maliziosa capziosità può avere interesse a far apparire).

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Lacrime nere

in News / by Gian Luca Conti
06/11/2012

Tristi funerali, quelli di Rauti.

Non tanto per la morte di un anziano che è stato giovane fondando ordine nuovo, con un ruolo nei fatti di Catanzaro ed in quello strano periodo della nostra storia che noi chiamiamo strategia della tensione ed i giornali stranieri definiscono Italian game, come se piazzare delle bombe potesse essere un modo di aprire una partita a scacchi.

Quanto piuttosto per le contestazioni a Fini, dure, serrate, guidate da braccia destre alzate al cielo e da un ritornello Badoglio, Badoglio…

Semplici rigurgiti di fascismo?

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www.primarieitaliabenecomune.it (A proposito di un imperatore eletto dal popolo)

in profstanco / by Gian Luca Conti
05/11/2012

Forse la cosa più divertente delle primarie nel centro sinistra è il dominio scelto per registrarsi.

Impronunciabile ed impossibile da ricordare: come se dicesse che non importa votare, che se non si è davvero organici ai misteri del partito, è molto meglio non votare.

Meno divertente il sudore di Renzi o la serena, democratica impassibilità del toscano di Bersani.

Una dialettica difficile da portare avanti: per un verso, una passione per i nuovi meccanismi controdemocratici, dall’altra parte, il terrore lasciato dalla lenta scomparsa della Costituzione.

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Tira aria di ordine pubblico

in News / by Gian Luca Conti
19/10/2011

battaglioneIl ministro Maroni e l'on. Di Pietro annunciano di voler rispolverare la Legge Reale (legge 22 maggio 1975, n. 152).
E' stata una legge che ha sollevato un dibattito forte su ordine pubblico e Costituzione.
Pacificamente molte delle misure di prevenzione previste dalla Legge Reale erano in attrito con il tessuto costituzionale delle libertà.
Questo attrito fu considerato tollerabile da una dottrina dell'emergenza costituzionale, basata sul brocardo necessitas non habet legem.
Chi scrive ha sempre considerato questa impostazione ipocrita: le libertà ci sono o non ci sono ed affermare che la necessità di difendere la Costituzione può portare al sacrificio di alcuni valori costituzionali è esercizio di ipocrisia reazionaria ed anticostituzionale.
Ma resta la voglia di ordine pubblico, che è voglia di uno Stato autoritario, forte, in grado di offrire sicurezza piuttosto che libertà. Uno Stato paterno, nel senso peggiore della parola.
Il PD è attento a non offendere Di Pietro e tace criticamente.
Ma la questione che sfugge, che questa voglia fa trascurare, è diversa. Il movimento degli indignati chiede democrazia senza capi, che è un obiettivo irrealizzabile sin dai tempi di Rousseau. In questo è velleitario. Non è velleitario, invece, quando pone il problema della scelta dei capi, che è una questione centrale nelle moderne democrazie, come insegnano sia Kelsen che Dahrendorf. E non è per nulla velleitario quando rifiuta la logica di partiti appiattiti su leadership carismatiche, ancora più pericolose per la democrazia di una monarchia ereditaria.
E la sensazione è che Di Pietro e Maroni ci vogliano far dimenticare, con la loro voglia di ordine pubblico, proprio questo.
Ovvero l'unica novità positiva della peggiore legislatura repubblicana.

Il Parlamento boccia il rendiconto finanziario: vuol dire qualcosa?

in News / by Gian Luca Conti
12/10/2011

Ragioneria-Generale-dello-StatoIl Parlamento ha bocciato, o meglio non ha approvato, il rendiconto generale dello Stato.
Cosa significa?
Sul piano istituzionale, il rendiconto generale dello Stato non è un atto politico.
Ma lo è la sua approvazione.
Il rendiconto è un documento predisposto dalla Ragionieria dello Stato e presentato dal Ministro delle Finanze che mostra il modo con cui la manovra finanziaria e la legge di bilancio sono stati attuati nell'anno precedente.
Serve a consentire al parlamento di esercitare la propria funzione di controllo sul governo vedendo analiticamente come sono stati spesi i denari pubblici.
Di conseguenza, in uno schema invariato sin dalla legge 457 del 1978, il governo è chiamato a presentare al parlamento un documento che serve a "rendere conto" della azione governativa ed il parlamento è chiamato ad approvare o meno questo documento.
Il primo atto, il disegno di legge, non è un atto politico, è la presentazione di una contabilità redatta secondo criteri economici che hanno come scopo principale l'esattezza e la verità di quanto rappresentato.
Il secondo atto, l'approvazione, è un atto politico, perché giudica se quanto rappresentato corrispondeva alla volontà direttiva dello Stato impressa nei documenti di programmazione economica e finanziaria e nella legge di bilancio.
Di conseguenza, la mancata approvazione del rendiconto generale dello Stato non è un incidente tecnico.
Dovrebbe essere, nel suo significato istituzionale, la bocciatura della azione di governo.
Non lo è solo a causa della straordinaria legittimazione che deriva al primo ministro dalla elezione diretta.
Eppure questo evento è significativo di un altro fenomeno che sta emergendo in questo scampolo di legislatura.
La maggioranza si è voluta rendere autonoma dalle minoranze. Ha voluto essere l'unica forza che rappresenta l'unità della nazione. La sostanza della dialettica parlamentare si è immiserita in una sequenza di voti dominati dalla disciplina di partito, senza nulla della ricerca di compromessi che costituisce l'essenza del parlamentarismo.
Ma la forza delle minoranze si è trasformata, mentre la maggioranza le schiacciava in un Aventino determinato dalle riforme regolamentari e dalla loro attuazione sempre più spregiudicata, il bisogno di una minoranza che è immanente al principio democratico, si è trasferito all'interno della stessa maggioranza.
Oggi le minoranze non sono più quelli che hanno perso le elezioni, ma quanti nella maggioranza potrebbero scomparire dalle prossime elezioni e questi soggetti si fanno forza di una formidabile capacità di ricatto perché senza il loro voto la maggioranza non è più maggioranza.
Una maggioranza che decide di fare a meno della minoranza diventa schiava delle minoranze interne alla maggioranza.
Difficile capire se questa sia una vendetta del principio democratico o la sua resurrezione.

Irrituale (La testimonianza del Capo del Governo)

in News / by Gian Luca Conti
19/09/2011

work permits_Gend de Justice BWL’ultima del Capo del Governo è il netto rifiuto di prestare la propria testimonianza a Napoli, dinanzi ai giudici che indagano sulle attività di Tarantini.
Non avrebbe torto.
Per l’art. 205, secondo comma, c.p.p.: “Se deve essere assunta la testimonianza di uno dei presidenti delle camere o del Presidente del Consiglio dei Ministri o della Corte costituzionale, questi possono chiedere di essere esaminati nella sede in cui esercitano il loro ufficio, al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti.”
La disposizione trova il proprio fondamento nell’art. 356 del codice di procedura penale del 1930, che stabiliva questo privilegio per i grandi ufficiali di Stato, i cardinali ed i principi reali.
La Corte costituzionale di Sandulli, Mortati e Branca con sentenza n. 76 del 1968 ebbe a riconoscere la ragionevolezza di questa disposizione, perché la stessa non costituisce un privilegio per determinate categorie di persone, ma ha come scopo quello di assicurare la continuità di una funzione: “la norma impugnata, quale che fosse all’origine l’intenzione del legislatore, si ispira attualmente non a un malinteso prestigio di persone che ricoprano certe cariche, ma, come le altre norme contenute nella stessa disposizione, a innegabili necessità e garanzie dell’ufficio di cui quei soggetti siano titolari: chi occupa certe posizioni al vertice dei poteri dello Stato svolge compiti nei quali, per la loro importanza e per la loro delicatezza, egli é spesso insostituibile; di modo che, se dovesse raggiungere luoghi lontani dalla sua sede od allontanarsi dal suo ufficio per testimoniare in giudizi eventualmente anche di scarso rilievo, ne soffrirebbe o ne potrebbe soffrire la continuità o la regolarità della funzione: altrettanto invece non é a dire né del comune testimonio, né del giudice istruttore, che, del resto, se la testimonianza deve essere raccolta fuori della sua sede, può essere sostituito da un magistrato del luogo”.
Quindi:
(i) la Procura di Napoli ha tutto il diritto di ascoltare come testimone il Capo del Governo;
(ii) il Capo del Governo può solo chiedere di essere ascoltato presso i propri uffici, anziché recarsi presso gli uffici del magistrato inquirente.
Se chiede di essere ascoltato presso i propri uffici si pone il problema dell’accompagnamento coattivo.
L’accompagnamento coattivo del Capo del Governo presso gli uffici del Capo del Governo presuppone che gli stessi siano messi a disposizione dal Capo del Governo e che siano richiesti dalla Procura di Napoli.
Il che sul piano materiale non pare per nulla semplice.
Ma il problema è un altro: perché il Primo Ministro non ha chiesto l’applicazione dell’art. 205, secondo comma, c.p.p.? Perché ha invocato una modalità di ascolto non consentita dal codice di procedura?
Forse per consentire alla Corte costituzionale che dovrà decidere sul conflitto fra Governo e Procura intorno alla testimonianza del Presidente del Consiglio di pronunciarsi in rito, con una sentenza del genere: Il Capo del Governo deve rendere la sua testimonianza, ma la deve rendere nei termini di cui all’art. 205, secondo comma, c.p.p., rimandando nella sostanza il tutto ad un momento più quieto.

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