Scommettiamo che tra qualche giorno non se ne parla più (Casta Gifuni)?
Gifuni è un gran commis d’etat.
Un vero gran commis d’etat.
A lungo segretario generale del Senato, ministro per i rapporti con il Parlamento in un governo Fanfani, ha terminato la sua carriera come segretario della Presidenza della Repubblica.
Una carriera apparentemente senza ombre, iniziata per concorso e terminata con l’unanime riconoscimento di massimo esperto delle prassi costituzionali.
La Presidenza della Repubblica vive di prassi costituzionali e attraverso le prassi costruisce il suo ruolo e, nelle prassi costituzionali, ad esempio in materia di formazione del governo o di gestione dei disegni di legge di iniziativa governativa, il segretario generale della Presidenza della Repubblica ha un ruolo delicatissimo e spesso decisivo.
Gifuni nella elaborazione di queste prassi è stato un ingegnere dalle qualità eccezionali.
Forse, un genio.
Un genio che è stato beccato con le mani nella marmellata.
Una marmellata che è eversiva delle prassi costituzionali finora in vigore e che Napolitano ha apertamente infranto.
La questione è facile, facile.
La Presidenza della Repubblica ha autonomia contabile.
Il che significa che i controlli con cui lo Stato deve assicurare, attraverso un terzo imparziale, che i denari provenienti dalla generalità dei contribuenti e destinati al soddisfacimento di interessi pubblici siano effettivametne impiegati a questo scopo, nel caso della Presidenza della Repubblica, come degli altri organi costituzionali, sono interni alla Presidenza della Repubblica stessa.
Questo principio è stato affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 129 del 1981, proprio in un caso in cui la Corte dei Conti aveva avuto l’ardire di pretendere di sottoporre alla propria giurisdizione il controllo sulla dotazione della Presidenza della Repubblica e delle Camere.
Tradotto in pratica il principio della autonomia contabile della Presidenza della Repubblica funzionava con i denari della dotazione nella cassaforte del cassiere e gli alti funzionari della Presidenza che prelevavano liberamente sottoscrivendo delle ricevute che definire ironiche è un complimento.
Uno di questi signori era il nipote del Segretario Generale, il quale si era anche fatto una villetta abusiva nella tenuta di Castelporziano, senza i necessari permessi, ma in virtù di un provvedimento del Segretario Generale.
Brutta storia.
Brusca inversione delle prassi costituzionali da parte del Presidente Napolitano, il quale ha – giustamente – considerato che in questo caso il principio della autonomia costituzionale della Presidenza suonava come I panni sporchi si lavano in famiglia ed ha trasmesso il fascicolo sugli ammanchi e le altre irregolarità alla Procura della Repubblica.
Una scelta che suona come rinuncia alle prerogative stabilite da Corte 129 del 1981 e come volontaria sottoposizione alla supremazia della legge da parte della suprema carica dello Stato.
Una scelta che probabilmente Gifuni non avrebbe condiviso e che forse pensava che nessun Capo dello Stato avrebbe avuto il coraggio di compiere: nessun potere rinuncia mai volontariamente alle proprie guarentigie.
Tuttavia è una scelta che può far pensare in chiave di moral suasion.
Può far pensare talmente tanto che si può scommettere che nessuno fra qualche giorno ne parlerà più.
Esattamente come nessuno, nelle cronache che si dilungano sui nepotismo di Gifuni, ha commentato il valore costituzionale della denuncia di Napolitano.