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La crisi del Conte bis, fra truello e metacentri instabili

in profstanco / by Gian Luca Conti
29/01/2021

1 – La crisi del Governo Conte bis è tutt’altro che incomprensibile. Lo può sembrare dalla comunicazione di questi giorni e dai meccanismi che si sono azionati grazie alla impazienza di Renzi.

Non lo è affatto sia dal punto di vista costituzionale che dal punto di vista politico.

Sul piano politico, è facile osservare che Conte era arrivato ad occupare una posizione sempre più ingombrante in vista sia della elezione del Capo dello Stato che della prossima legislatura. La crescita del suo prestigio era destinata o alla conquista della leadership sul Movimento 5 Stelle o alla costruzione di un movimento politico autonomo che avrebbe eroso il consenso sia del Movimento 5 Stelle che del Partito Democratico.

Sotto questo aspetto, la impazienza di Renzi è tornata utile a entrambe le Parti dell’alleanza giallo rosa.

Sul piano costituzionale, il compito del Governo è di elaborare l’indirizzo politico di maggioranza, quella misteriosa forza assiologica che consente di comprendere il significato dell’attività dello Stato, di capire che dietro alle singole manifestazioni del potere vi è un disegno unitario e che quel disegno si giustifica in base a dei valori che caratterizzano le forze politiche che guidano il Paese.

La nozione di indirizzo politico è entrata in crisi da molto tempo. La sua crisi nasce con gli accordi di coalizione che hanno caratterizzato la prima Repubblica. Nell’accordo di coalizione, i partiti politici trovano degli accomodamenti più o meno alti e i loro valori, la leggibilità dei loro valori nell’azione dello Stato tende a evaporare.

Tuttavia, nel disegno costituzionale, l’idea di un indirizzo politico di maggioranza è strettamente connessa alla libertà di associarsi in partiti politici perché sono i partiti politici che collegano la dimensione dello Stato alla dimensione della Società.

Mai come nel passaggio dal primo al secondo Governo Conte la nozione di indirizzo politico di maggioranza e il collegamento fra il meccanismo della fiducia e la libertà di associarsi in partiti politici è entrata in crisi. Il primo Governo Conte si fondava su di un’alleanza completamente diversa dal secondo Governo. Non tanto per i soggetti che la componevano, quanto piuttosto per i valori di cui erano portatori. Conte ha potuto guidare entrambi i Governi solo ammettendo di essere un tecnico neutrale, il Movimento 5 Stelle ha potuto far parte di entrambe le alleanze solo confessando di non conoscere i propri valori, la loro effettiva capacità di giungere a compromessi senza perdere la loro natura.

L’età del compromesso storico non vide mai un’alleanza formale fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Entrambi questi partiti sapevano di non potervi giungere per effetto della natura dei valori di cui erano portatori. Posizioni originarie incompatibili fra di loro.

Conte ha potuto guidare un Governo di destra, fortemente orientato in senso sovranista e populista e un Governo di sinistra, altrettanto fortemente orientato in senso europeista e socialdemocratico. Lo ha fatto da avvocato, come quell’avvocato – il riferimento è a Calamandrei – che era capace di sostenere due tesi esattamente opposte con altrettanta efficacia, dimostrando così che ciò che importava nel discorso giuridico non era il contenuto oggettivo della disposizione ma l’abilità tecnica dell’interprete.

2 – I veri nodi sul tavolo in questa crisi di Governo che è stata definita un truello, un duello a tre, in cui non si sa mai chi può sparare per primo e tutti rischiano di essere vittime della propria spregiudicatezza, riguardano gli scenari, riguardano la stessa struttura del tavolo e le caratteristiche dei giocatori.

Conte ha dimostrato di essere un negoziatore abile e privo di pregiudiziali ideologiche, si potrebbe dire privo di valori politici capaci di impedire alleanze di segno politico opposto, un metacentro del sistema politico. Si è capito che la politica è diventata per lui una vera e propria passione e non si è capito se questo lo porterà a guidare il Movimento 5 Stelle o a fondare un nuovo partito che nelle sue ambizioni dovrebbe somigliare alla Democrazia Cristiana, la quale però non era affatto priva di valori e conosceva molte più pregiudiziali ideologiche di quanto non si voglia ammettere.

La pattuglia dei responsabili, che, con una lettura assai disinvolta dell’art. 14, r.S. (non è affatto scontato che l’art. 15, terzo comma, r.S. consenta a De Falco e ai suoi sodali di costituire un gruppo), si vorrebbe costituire in un gruppo parlamentare autonomo al Senato, dimostra tutta la fragilità del discorso politico di Conte: che cosa può accomunare De Falco e Mariarosa Rossi se non la promessa che saranno candidati in collegi sicuri quando questo gruppo si trasformerà nel partito di Conte e presenterà le liste delle candidature alle prossime elezioni?

Dall’altra parte, però, le cose non sono particolarmente migliori. Renzi, i cui discorsi hanno dimostrato una lungimirante impazienza, non gode più di un serio seguito nel paese, Italia Viva non è riuscita a diventare un progetto politico capace di scaldare gli animi. Salvini e la Meloni giocano una partita molto complessa per la leadership del centro destra e Berlusconi appare capace di guidare i propri parlamentari molto più di quanto si poteva immaginare.

E’ un contesto che non fa immaginare semplice la nascita di un nuovo Governo.

3 – Il problema, però, da cui partire per trovare la soluzione è diverso.

Non ci si deve interrogare sulle forze in campo e sulla loro capacità di esprimere alleanze stabili.

Ci si deve interrogare, invece, sulle questioni che sono sul tavolo e che riguardano la capacità di spendere in vista del Recovery Plan e la capacità di elaborare una legislazione elettorale seria in vista delle nuove elezioni.

Il Recovery Plan esige una grande capacità di progettare e di innovare. Questi denari sono, da una parte, indispensabili per il futuro della Repubblica e, dall’altra parte, peseranno in termini di deficit sulle prossime generazioni che li dovranno rimborsare per lungo tempo.

Fra le poche costanti della nostra storia costituzionale c’è che un presidente del Consiglio che si candida alle prossime elezioni tende a investire le risorse che gli sono affidate in chiave elettorale. Lo fece Amato pensando di essere il candidato dell’Ulivo quando fu sostituito da Rutelli in un gioco di palazzo guidato da D’Alema, non lo farebbe Conte?

La legge elettorale è, dalla prima legislatura, il campo delle truffe e delle porcate, Conte nella disinvoltura un po’ rapsodica degli ultimi giorni era arrivato a promettere un proporzionale puro unito alla sfiducia costruttiva che, sul piano della ingegneria costituzionale, rappresenta una incognita piuttosto complicata da articolare.

D’altra parte, legge elettorale e manovre finanziarie hanno, secondo la logica costituzionale, bisogno di maggioranze stabili e, soprattutto, capaci di esprimere indirizzo politico nel senso che si è accennato all’inizio di questa riflessione e nessuno in questa terribile metà di legislatura sembra capace di esprimerlo.

Nè a destra né a sinistra e tantomeno al centro.

4 – Queste premesse conducono inevitabilmente a un Governo tecnico.

Il truello, il duello in cui i duellanti si sfidano e fronteggiano sapendo che ciascuno di essi non può uccidere senza essere probabilmente ucciso da qualcun altro, magari dal fuoco amico, si disinnesca se tutti lasciano le armi a terra e vanno nel Saloon.

In questo contesto, in cui nessuno è in grado di esprimere un indirizzo politico serio ed autorevole, l’unica soluzione vera sarebbe prendere atto che la situazione è di straordinaria necessità ed emergenza, impedire che taluno se ne possa approfittare per ragioni di bassa cucina, rivolgersi a una personalità di indiscussa serietà e autorevolezza capace di guidare un esecutivo formato esclusivamente da tecnici.

E’ lo scenario che sia Salvini sia Berlusconi hanno mostrato di ritenere accettabile. Probabilmente è anche lo scenario più ragionevole sia per Zingaretti che per il Movimento 5 Stelle perché è l’unico capace di allontanare una presenza che potrebbe essere terribilmente ingombrante negli anni a venire per entrambi.

Non è accettabile solo per Renzi e per Conte, che, in questo modo, perderebbero il potere che hanno guadagnato e, forse, non è un caso che proprio ieri abbiano ricominciato a parlarsi.

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