Riforma del regolamento del Senato e scenari post-elettorali
1 – L’estremo dono della XVII Legislatura è stato la riforma del regolamento del Senato, una riforma importante e resa possibile dal contributo decisivo di Calderoli, come ha avuto modo di riconoscere Napolitano.
La riforma ha riguardato:
- la possibilità di creare nuovi gruppi parlamentari: è possibile solo per i partiti e i movimenti politici che hanno partecipato alle elezioni ed una volta che si è aderito a un gruppo può essere molto difficile abbandonarlo;
- l’abbandono della regola per cui l’astensione vale come voto contrario: l’astensione sarà, come alla Camera, computata ai fini del numero legale ma non della maggioranza da raggiungere per ottenere il passaggio di una determinata deliberazione;
- il decisivo aumento del lavoro in Commissione, piuttosto che in Aula, con il riconoscimento che il luogo in cui si lavora davvero è la sede riservata piuttosto che quella pubblica.
Come tutti i doni di fine Legislatura e, soprattutto i doni di fine Legislatura portati da un Calderoli travestito da Babbo Natale, questa riforma merita di essere guardata con attenzione, quando le vacanze sono finite, ovvero alla luce dei risultati elettorali.
2 – I risultati elettorali mostrano una rappresentanza frammentata in non meno di tre macro aree, solo una delle quali appare compatta, e cinque gruppi.
Al Senato, si ha:
M5S 110
Forza Italia 61
Lega 58
Partito democratico 52
Fratelli d’Italia 18
Misto e autonomie [ancora da capire, ma complessivamente 19]
Maggioranza: 160
3 – Il primo aspetto su cui vale la pena fermare l’attenzione è il fatto che non possono nascere nuovi gruppi parlamentari al Senato, nella 18° Legislatura ulteriori rispetto ai simboli che hanno partecipato alle elezioni.
L’art. 1 della riforma introduce il principio in base al quale ciascun Gruppo, ferma la soglia minima di dieci senatori, deve essere espressione di un partito o movimento politico “che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno”.
La norma ha come fondamento una visione restrittiva del libero mandato parlamentare che si conferma nelle previsioni per cui coloro che abbandonano il proprio gruppo decadono dalle cariche di Vicepresidente e segretario, nonché da quelle eventualmente ricoperte negli uffici di presidenza delle Commissioni.
Questo complesso sistema fa sì che:
- solo i partiti che hanno partecipato alle ultime elezioni e hanno ottenuto non meno di dieci senatori possono formare un gruppo parlamentare;
- una volta formato il gruppo parlamentare, chi ne fa parte potrebbe avere dei forti disincentivi se dovesse decidere di cambiare i termini della propria appartenenza politica, perché dovrebbe essere considerato decaduto dal ruolo svolto negli uffici.
La norma si giustifica storicamente con la necessità di evitare scissioni come quelle che hanno dato vita ad Ala, generata da Forza Italia allo scopo di consentire la nascita del governo Renzi, senza generare crisi di identità troppo forti negli elettori del centrodestra.
Forse, però, questa norma serve essenzialmente a mantenere ferma l’identità dei gruppi parlamentari malgrado le diverse anime politiche che vivono nei partiti politici e che l’esito della competizione politica potrebbe avere esasperato.
Sembra una disposizione che dice alla parte del PD che potrebbe non desiderare restare unita dopo la debacle del 4 marzo: se volete uscire dal gruppo, vi potete accomodare nel gruppo misto, insieme a Grasso, Carlo Martelli, Mario Monti e Maurizio Buccarella…
Funziona però anche nei confronti del movimento 5 stelle, perché sconsiglia fortemente la secessione di coloro che potrebbero non essere soddisfatti delle alleanze che stanno maturando da una parte o che potrebbero maturare dall’altra.
E lo stesso vale sia per i gruppi di Forza Italia e della Lega.
Questa modifica del regolamento del Senato semplifica e riduce fortemente la dialettica politica, perché concentra il potere negoziale nei capigruppo, di cui aumenta la capacità di tenuta e di comando sui membri del proprio gruppo.
4 – Il secondo cambiamento riguarda le regole per il computo degli astenuti.
L’art. 64, terzo comma, Cost. ha sempre costituito un punto di equilibrio diverso alla Camera, dove gli astenuti concorrono al computo per il numero legale, ma non anche a determinare la maggioranza e al Senato, dove gli astenuti contavano sia ai fini del numero legale che ai fini del computo della maggioranza.
Questa differenza è caduta con la riforma del regolamento del Senato che si sta commentando: sia alla Camera che al Senato gli astenuti contano per la formazione del numero legale ma non anche per il computo della maggioranza.
Nella 17° Legislatura, il movimento 5 stelle ha spesso richiesto la verifica del numero legale e si può immaginare che il PD all’opposizione faccia propria questa tattica chiedendo continuamente la verifica del numero legale, che perciò non dovrà mancare.
Tuttavia la presenza ai fini del numero legale non vale anche come presenza ai fini del computo della maggioranza necessaria per deliberare, sicché una forza politica “responsabile” potrebbe non far mancare il numero legale ma astenersi successivamente e questo cambia significativamente gli scenari che si possono aprire.
Nella tabella che segue si incollano le maggioranze necessarie nel caso in cui uno dei gruppi parlamentari che si formeranno decida di operare “responsabilmente” garantendo la propria presenza ai fini del numero legale e successivamente astenendosi:
Totale | 318 |
Maggioranza | 160 |
Maggioranza meno FI | 129 |
Maggioranza meno Lega | 131 |
Maggioranza meno PD | 133 |
E’ evidente che una maggioranza di 160 è difficile da raggiungere senza un accordo stabile, ma è evidente anche che una maggioranza compresa tra 129 e 133 è molto piace semplice da raggiungere e soprattutto da mantenere.
La novità regolamentare sembra, in altre parole, muovere verso una centralità dell’astensione, consentita dall’omogeneizzazione del computo dei voti sia al Senato che alla Camera.
5 – La terza mutazione riguarda il lavoro in Commissione.
Predieri, nei parlamenti del consociativismo, censurò l’erompere delle leggine, consentito dal fatto che ciò che non era possibile nel pubblico dell’Assemblea, era ragionevole nel segreto delle Commissioni.
Forse la citazione è troppo alta.
Però dopo il fallimento della seconda repubblica e dei suoi contratti con gli italiani, la terza repubblica potrebbe riscoprire la centralità del Parlamento e la centralità del Parlamento non è la centralità della sede pubblica assembleare ma la ricerca del compromesso reso possibile dalla penombra delle commissioni.