Il 67 di Renzi e la fiduciarizzazione della dialettica interna ai partiti politici ma anche sulla autonomia del Parlamento nella programmazione dei lavori parlamentari
1 – Letta si presenterà alle Camere per ottenere la fiducia il prossimo 11 dicembre.
Lo hanno deciso lo stesso Letta e Napolitano in una udienza privata che si è tenuta ieri sera al Quirinale sulla base di una precisa richiesta di Renzi, che aveva sollecitato lo svolgimento di questo dibattito dopo lo svolgimento delle primarie del Partito democratico.
Dai giornali, si capisce che Napolitano aveva sollecitato Letta a presentarsi alle Camere dopo l’abbandono della maggioranza da parte dei gruppi parlamentari di Forza Italia e la nascita del nuovo centrodestra.
Il precedente che viene in mente è quello di Prodi, che si presentò alle Camere per la fiducia dopo l’abbandono della maggioranza da parte di Mastella.
In quella occasione, il Presidente del Consiglio dei Ministri ritenne necessario un passaggio parlamentare per ottenere la fiducia sulla nuova maggioranza, perché la composizione della stessa era diversa da quella già oggetto di fiducia da parte del Parlamento.
Sotto questo aspetto, si conferma la natura intuitus personae del patto di fiducia, che deve essere rinnovato ogni volta che la sua struttura politica si rinnova e, sul piano della tattica politica, la funzione di ricompattamento della maggioranza che è tipica delle questioni di fiducia.
Dinanzi all’abbandono del sostegno del centrodestra di Berlusconi che si è trasfigurato in un gruppo parlamentare autonomo e al sorgere del nuovo centrodestra di Alfano è necessario verificare l’esistenza del rapporto fiduciario, sul piano strutturale perché è cambiata la maggioranza e sul piano funzionale per rendere evidente al Paese quale sarà il nuovo corso delle politiche nazionali.
Più complesso è il rapporto fra il voto di fiducia e l’elezione del nuovo segretario del principale partito della maggioranza di governo. Ha un sapore molto democristiano, perché ricorda il modello doroteo in cui era il congresso che, anche per effetto del dogma della incompatibilità fra Presidente del Consiglio dei Ministri e segretario del partito competente, fino al primo governo Spadolini, a designare il Capo del governo, poteva con la nomina del segretario determinare il sorgere di una crisi extraparlamentare, tutta interna alla dialettica di quel partito.
Quella crisi però era extraparlamentare non solo sul piano delle forme istituzionali, ma anche sul piano della sostanza costituzionale, poiché la dialettica interna al partito di maggioranza relativa non poteva trasformarsi in una mozione dal momento che l’art. 67, Cost. pone una soluzione di continuità fra le singole appartenenze politiche e il voto dei membri del Parlamento.
Questa barriera veniva letta anche come una sorta di self restraint fra il dibattito interno ai partiti politici e il loro comportamento parlamentare, di talché non si aveva logicamente alcun eco parlamentare dell’esito del congresso in cui il centro doroteo decideva la fine di un governo Fanfani, ma Fanfani si limitava a dimettersi.
Al contrario, oggi vi è la pretesa di Renzi di pesare su Letta.
La legittima pretesa di Renzi a far sì che i membri del Parlamento che aderiscono al Partito democratico siano portatori dell’indirizzo politico deciso da questo partito.
Un tanto non deve stupire: vi è un legame fra partito politico e gruppo parlamentare, anche se, forse, oggi la riforma del finanziamento dei partiti politici ha invertito il senso dell’affermazione per cui i gruppi parlamentari sono la proiezione dei partiti politici nell’assemblea legislativa, e questo legame opera condizionando il governo, quando i gruppi parlamentari sono parte della coalizione di maggioranza e i partiti politici di cui sono espressione maturano un diverso orientamento.
Quello che stupisce è la posizione di Letta, che chiede e ottiene la discussione della questione di fiducia dopo l’elezione del nuovo segretario del suo partito.
Significa che la questione di fiducia ha assunto un tono politicamente collegato a una vicenda interna al Partito democratico e, di conseguenza, serve a compattare la maggioranza all’interno di questo Partito, ovvero non una maggioranza di governo, ma una maggioranza di partito.
In altre parole, si ha una parlamentarizzazione delle dialettiche di partito, che le esplode a livello di dibattito parlamentare, con un passaggio molto significativo, perché mai così esplicito, per quanto le esperienze dei governi Prodi abbiano in qualche misura anticipato questo movimento ordinamentale, dalla fiducia / sfiducia extraparlamentare, che si basava sulla estraneità dei movimenti interni ai partiti rispetto alla trasparenza imposta dal pubblico dibattito tipico della fiducia, alla fiduciarizzazione, se così si può dire, della dialettica interna ai partiti politici.
Non sfugge la diversa posizione di Napolitano che avrebbe voluto il dibattito sulla fiducia al governo Letta come conseguenza del solo mutamento parlamentare della maggioranza anticipando questo momento rispetto alle primarie del Partito democratiche, che avrebbero così mantenuto la loro natura extraparlamentare.
2 – L’altro aspetto che merita qualche minima osservazione è l’autonomia parlamentare nella organizzazione dei propri lavori.
Notoriamente, la fissazione del calendario dei lavori parlamentari è una prerogativa dei due rami del Parlamento.
Egualmente, si è soliti insegnare che la calendarizzazione della questione di fiducia è un’attribuzione del Parlamento, che è vincolato dal termine dilatorio di cui all’art. 94, ultimo comma, ma che è assolutamente libero di fissarne la discussione nel momento che ritiene più opportuno, con l’unico limite della contestualità della discussione nei due rami del Parlamento, come chiarito nel parere della Giunta per il regolamento del Senato del 16 ottobre 1980.
In altre parole, è ciascun ramo del Parlamento che decide della propria agenda e questa attribuzione viene esercitata dalla Conferenza dei capigruppo, sulla quale il governo esercita la propria influenza per il tramite del ministro per i rapporti con il Parlamento.
In questo caso, l’attribuzione è stata esercitata dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Capo dello Stato che hanno fissato per il giorno 11 dicembre 2013 la discussione di una mozione che nel momento in cui è stata calendarizzata ancora non esisteva, poiché, ad oggi, la mozione esiste solo nei giornali mentre dal sito della Presidenza della Repubblica si sa soltanto che ieri 2 dicembre il Capo dello Stato ha incontrato il Presidente del Consiglio.
Non è solo una questione formale: decidere il momento in cui aprire un dibattito sulla fiducia, come si osserva normalmente a proposito della questione di sfiducia, determina il sacrificio della programmazione naturale dei lavori parlamentari, che, in questo caso, vede prevista, alla Camera, la seconda lettura della manovra finanziaria e del disegno di legge costituzionale cui è affidata la revisione della seconda parte della Costituzione.
Soprattutto, però, in questo caso, la decisione sul calendario è l’affermazione di un principio importante sul piano dei rapporti fra partiti politici, governo e Parlamento poiché rappresenta, come si è cercato di dimostrare, la decisione di parlamentarizzare la dialettica interna a un partito e, forse, una decisione di questa portata non spettava al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Capo dello Stato, ma al Parlamento.