Come mi chiamo? (La Corte e i cognomi)
Notoriamente la Corte costituzionale ha sempre ragione.
Anzi: la Corte costituzionale è una metafora della vita e non vi è evento della vita di un individuo che non possa essere risolto ricorrendo alla sua giurisprudenza.
La dottrina della Corte per molti costituzionalisti è l’equivalente del Talmud per un rabbino ortodosso.
Anche se, ovviamente, non hanno mai letto il Talmud. O, si potrebbe dire, non hanno letto neppure il Talmud.
L’ultima sentenza della Corte costituzionale di cui è stata data notizia a mezzo comunicato stampa è piuttosto divertente.
La Corte è stata investita della questione di legittimità costituzionale delle norme che impediscono ai genitori, se d’accordo, di dare al proprio figlio il cognome della madre anziché del padre e, giustamente, l’ha dichiarata costituzionalmente illegittima.
La conseguenza naturale sul piano additivo avrebbe dovuto essere che da qui in avanti i genitori possono scegliere se dare al proprio figlio il cognome dell’uno o dell’altro o di entrambi e che in assenza di questa scelta vale la previsione codicistica argomentata dall’art. 262, c.c. (sul punto, Corte cost. 282/2016).
La Corte, però, è andata più in là e ha stabilito che secondo gli artt. 2, 3 e 117, Cost., ciascuno dei genitori può, con l’accordo dell’altro, dare il proprio cognome al figlio e che in mancanza di una scelta di questo genere il figlio deve avere entrambi i cognomi. In quest’ultimo caso, però, i genitori devono trovare un accordo circa l’ordine nel quale i due cognomi devono comparire nei documenti. In assenza di accordo, specifica il comunicato stampa, si deve interpellare il giudice tutelare il quale deciderà (in base a quali criteri?) quale sia il cognome che risponde maggiormente all’interesse del minore.
E’ una sentenza singolare sotto diversi aspetti.
Il primo è l’affermazione forte che secondo la Costituzione si ha necessariamente diritto al doppio cognome e che è, perciò, incostituzionale che i figli prendano il nome del padre. E’ ragionevole: l’art. 262, c.c. fa corpo con l’art. 143 bis, c.c. e, in fondo, questa norma si fonda sull’idea che il marito sia pater familias. Ma non è per niente pratico.
Due o tre inconvenienti banali.
Il primo lo si è già accennato: non è facile decidere in che ordine si devono trovare i cognomi. Rossi Bianchi o Bianchi Rossi? La scelta non può essere suggerita una volta per tutte dalla Corte perché in questo modo privilegerebbe le ragioni della tradizione o quelle dell’innovazione. Di conseguenza, deve essere adottata volta per volta. Ma i due genitori non potrebbero essere d’accordo e allora si dovranno rivolgere al giudice tutelare il quale, onestamente, non si vede come potrebbe decidere oggettivamente se sia meglio la prima o la seconda alternativa senza dare ragione all’uno o all’altro.
Il secondo riguarda il caso in cui ci siano più figli nati dallo stesso matrimonio. Si devono chiamare tutti nello stesso modo o si può chiamare il primo Leonardo Rossi e il secondo Pietro Bianchi mentre il terzo potrebbe essere Letizia Rossi Bianchi con un quarto da battezzare Irene Bianchi Rossi?
Molto corretto sul piano arcobaleno ma un pochino scomodo da condividere e da gestire.
Peraltro se c’è Leonardo Rossi, ci può essere anche Leonardo Bianchi nella stessa famiglia? Forse si potrebbe fare, anche se suona strano.
Il terzo riguarda i figli di terza generazione: dal matrimonio fra Letizia Rossi Bianchi e Pietro Neri Rosi, dovrebbe nascere Artemio Rossi Bianchi Neri Rosi, praticamente se uno non vuole che il figlio si chiami Don Chico Felipe Cayetano Lopez Martinez y Gonzales, il sodale di Zagor che si è usato per illustrare questo post, prima o poi dovrà modificare il proprio cognome e dire Letizia è Rossi e che Pietro è Neri sicché Artemio è Rossi Neri. Ma quale cognome si sacrifica e perché? E se i genitori non sono d’accordo, anche in questo caso, si deve chiamare il giudice tutelare?
Il quarto ha a che vedere con l’enigmatica questione dei rapporti esauriti. Le sentenze della Corte costituzionale sono “retroattive” con l’unico limite dei rapporti esauriti, perché l’autorità della Costituzione non può trovare un limite nelle norme sulla efficacia nel tempo delle leggi.
Quando è esaurito il diritto del bambino a avere i cognomi di entrambi i genitori? Nel momento in cui viene iscritto all’anagrafe o quando quel bambino cessa di essere iscritto all’anagrafe dei vivi e passa in quello dei morti?
Forse vale la seconda e questo significa che tutti da qui in avanti possiamo reclamare il cognome della nostra mamma insieme a quello di nostro padre ma anche in sostituzione di quello.
Altra questione non del tutto semplice da risolvere.
Sicuramente la Corte costituzionale nella sentenza che sta scrivendo risolverà ciascuna di queste questioni.
Di fatto, però, la Corte ha dimostrato una esatta consapevolezza del concetto di famiglia sposandone una concezione evolutiva che probabilmente merita di essere condivisa. Ma questa interpretazione evolutiva del concetto di famiglia è qualcosa che la Corte può decidere o è una questione politica che le dovrebbe essere preclusa?
Per chi scrive, vale la seconda opzione.
Ma è una opzione recessiva: la Corte scrive sempre di più alla maniera del Talmud e come è la Bibbia la fonte primaria delle norme che attribuiscono ai figli il cognome del marito (1 Corinzi 7), così adesso è la Corte che decide il contrario.
Però, almeno, ai tempi della Bibbia, su queste cose ci si pensava un po’ di più.