Verso l’ultra destra (crisi e ferragosto)
L’equivoco di ferragosto
La crisi a Ferragosto è un cazzotto nello stomaco della coscienza della nazione.
La causa è, ancora una volta, la riforma della Costituzione. La riduzione del numero dei parlamentari avrebbe dovuto essere votata a settembre. Se fosse passata, avrebbe moltiplicato il consenso delle forze di maggioranza per effetto della riduzione dei seggi a disposizione delle minoranze. Questo effetto è stato fortemente voluto da Salvini.
Tuttavia, Salvini non aveva probabilmente compreso che la riforma della Costituzione non sarebbe entrata in vigore a settembre, ma aveva bisogno di una serie di adempimenti a carattere tecnico che avrebbero preso più di un anno. Ha ritenuto che un anno fosse una notte troppo lunga da far passare e ha deciso di chiudere quel singolare accordo di coalizione, fondato su un ancor più singolare contratto di governo, che ha rappresentato un esperimento diabolico nella storia repubblicana.
In altre parole, la crisi di governo nasce come un cazzotto ma è un calcolo politico che nasce dalla cialtroneria con cui anche questa maggioranza si è avvicinata alla riforma della Costituzione.
Salvini sa parlare al ventre ferragostano della Repubblica
Eppure è una crisi pericolosa perché Salvini sa parlare al ventre della nazione e ha scelto il periodo giusto per farlo. La nostra è una nazione che di ferragosto mostra la sua vera natura, non la giacca e i mocassini con cui Moro andava al mare ma il torso nudo sguaiato delle spiagge di questi giorni caldi e assolati in cui le città sembrano respirare, libere finalmente dei loro abitanti che le vivono come virus in un corpo infetto.
E’ pericolosa perché Salvini ha chiesto “pieni poteri”. Una formula che è piaciuta molto alle opposizioni di sinistra perché è stato l’argomento con cui Renzi e la sua riforma costituzionale sono naufragati nella tempesta del 4 dicembre 2016.
Ma è terribilmente ingenuo pensare che anche Salvini sarà soffocato dalla retorica dell’uomo solo al comando, dall’idea che gli italiani siano inevitabilmente allergici e politicamente riottosi verso gli uomini politici che si propongono come capaci di risolvere i problemi della nazione grazie al loro carisma.
Non è così perché la retorica di Salvini è molto più sottile di quanto il suo eterno presente non faccia credere. Salvini sa rispondere ad almeno due grandi paure. La paura degli stranieri, quella idea che gli stranieri sono accolti come il figliol prodigo del vangelo e in questo modo portano via le risorse che sarebbero spettate al figlio fedele. Questa paura non può essere evitata, ha bisogno di risposte e la brusca retorica salviniana riesce a darle.
Dall’altra parte, gran parte della nazione ha paura del futuro. Non è affatto convinta che i benefici della globalizzazione e di una fiscalità di stampo eurounitario possano garantire un futuro migliore. Chi paga le tasse e con esse i contributi previdenziali si chiede se avrà una pensione e teme che non sarà la stessa che ha pagato ai propri genitori.
La sinistra non mangia cocomeri
Salvini risponde mentre la sinistra di Renzi e Zingaretti appare divisa su un futuro esclusivamente parlamentare, in cui il primo sa che la maggioranza delle truppe parlamentari del PD gli è fedele perché era lui il segretario quando sono state definite le liste, mentre il secondo preferisce elezioni anticipate per esattamente la stessa ragione.
E questa non è politica, come non è politica la crisi del movimento 5 stelle che cerca disperatamente in Conte il leader di una non facile ritirata strategica, offrendo al povero Di Maio l’irrisorio titolo di Imperatore dell’Isola d’Elba.
Mattarella osserva, lasciando trapelare che sarebbe arrivato il momento di tornare alle urne, e, sicuramente, è solo Mattarella che può sciogliere anticipatamente il Parlamento perché la pretesa del Presidente del Consiglio di parlamentarizzare la crisi, fa sì che una volta accertato il venire meno della fiducia in Parlamento, il percorso del Capo dello Stato sia obbligato, attenua l’idea che lo scioglimento anticipato delle Camere sia un potere che Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio dei Ministri esercitano su di un piano di sostanziale parità.
Il vero significato della crisi di governo in Parlamento, in questo momento storico, è diverso perché se un governo cade in Parlamento, questo significa che un diverso governo possa anche nascere in Parlamento, indipendentemente dai partiti politici e per effetto dell’art. 67, Cost.
Se non fosse ferragosto
Perché se la crisi di Ferragosto fosse avvenuta in un diverso momento dell’anno, avremmo avuto più tempo di discuterne, di capire che questa crisi non è una crisi di governo è una crisi di sistema perché il sistema costituzionale si fonda sui partiti politici e i partiti politici non esistono più. Si sono logorati e sono progressivamente scomparsi. La Lega è il partito politico più vecchio fra quelli che esprimono un gruppo parlamentare ed è stato il primo partito politico ostentamente postcostituzionale.
Se è così, questa crisi di governo potrebbe aprire a un diverso tipo di governo tecnico. Non un governo tecnico che gode di una maggioranza parlamentare espressa dai partiti politici attraverso i propri gruppi parlamentari, ma un governo che gode della fiducia del Parlamento perché la maggioranza dei parlamentari ne condivide le scelte o, più prosaicamente, non ha il coraggio di presentarsi alle urne il 27 ottobre.
Non accadrà perché i partiti politici sono più duri a morire dell’Antico Regime, ma quello che questa crisi ricorda a uno studioso delle forme di governo è la necessità di rileggere il tessuto costituzionale a partire dalla mutazione dei partiti politici.