Il modello Stanhome e l’ipertrofia nelle candidature alle elezioni comunali
Votare e vendere prodotti per la casa
Apparentemente il modello di vendita della Stanhome non ha molto a che fare con le elezioni locali, nemmeno nei comuni con più di quindicimila abitanti. Ma è un modello di vendita che funziona: si convince una casalinga che potrebbe mettere da parte qualche soldo e vincere qualche premio se riesce a vendere dei prodotti di buona qualità alle amiche e la casalinga, di solito, ci riesce. Una cosa è vendere tre bottiglie di detersivo alle amiche, una cosa vendere un pancale di detersivi ai clienti di un supermercato.
Le elezioni locali, almeno a Firenze e almeno negli ultimi anni, funzionano più o meno nello stesso modo.
L’ipertrofia delle candidature
Il punto di partenza del ragionamento è il numero dei candidati.
Nel 2019, i candidati a un seggio da consigliere comunale che sostengono Nardella, il candidato sindaco uscente espressione del PD, sono esattamente centonovanta, quelli che sostengono Ubaldo Bocci, il candidato sindaco espressione del centro destra, sono centosessantotto.
Entrambi gli schieramenti, se vincessero, difficilmente possono superare il sessanta per cento dei voti validi: dal 1995, non è mai accaduto, di talché avrebbero diritto a 24 seggi su complessivi 36.
Il rapporto fra candidati e seggi è quindi di 190/24 e 168/24, nel caso di vittoria, e decisamente inferiore nel caso di sconfitta. Questo secondo dato non è di semplice conteggio perché dipende dal comportamento elettorale delle altre liste che partecipano alla competizione. Nel 2014, la lista delle sinistre più radicali ebbe tre consiglieri, come pure quella del Movimento 5 Stelle; la lista di Forza Italia e Lega, quattro consiglieri mentre le liste civiche che sostenevano la Scaletti e la lista di destra che proponeva Totaro andarono in consiglio comunale con i rispettivi candidati alla carica di Sindaco.
Perché candidare chi non ha speranze di essere eletto?
Il punto intermedio del ragionamento è perché si deve candidare qualcuno che non ha nessuna speranza di essere eletto?
Una delle risposte potrebbe essere data dal rapporto fra le preferenze e i voti ottenuti dalle liste che non riescono ad ottenere dei consiglieri.
Nelle elezioni del 2014, ma anche in quelle del 2009, quando il candidato era Renzi, le preferenze ottenute dai candidati delle liste che non ottengono seggi sono molto vicine come numeri alla cifra elettorale complessiva della lista.
Può significare che con queste liste il candidato sindaco ottiene dei voti (i voti che sono attirati personalmente dai candidati della lista) che altrimenti non otterrebbe. Sono voti che andrebbero ad altre candidature o che addirittura si potrebbero perdere nelle astensioni.
Il punto di arrivo del ragionamento è perché taluno si candida se non ha nessuna speranza di essere eletto?
Una prima risposta è che, forse, nessuno si candiderebbe se pensasse di non essere eletto. Ma si può immaginare che qualcuno commetta degli errori di valutazioni, non che questi errori di valutazione siano commessi da più di centocinquanta persone, ciascuna delle quali abbastanza intelligente e carina da essere conosciuta in città e perciò scelta per essere candidata da coloro che per mestiere si interrogano sugli umori degli elettori.
Questo modello ipertrofico di candidatura rappresenta una costante della storia elettorale di Firenze dal 1995. Nel 1995, le candidature per Primicerio furono non meno di 153 per 27 seggi; nel 1999 (prima candidatura di Domenici): non meno di 143 candidati per 28 seggi; nel 2004 (seconda candidatura di Domenici e secondo turno per effetto della presentazione di una lista forte a sinistra), 264 candidati per 28 seggi; Renzi, nel 2009, ha candidato 172 persone per 28 seggi mentre Nardella nel 2014 si è fatto trainare da 234 candidati al Consiglio comunale.
Una seconda risposta, allora, è che il candidato sindaco non seleziona solo coloro che andranno a far parte del Consiglio comunale e che da lì sosterranno il suo programma politico. Seleziona anche i suoi “grandi elettori”, coloro che con la loro presenza in lista assicurano al candidato sindaco un certo sostegno da parte dell’elettorato.
In altre parole, questi candidati silenziosi e silenziosamente destinati a perdere le elezioni, nella realtà sono politicamente decisivi e rappresentano l’emergere degli interessi che hanno sostenuto una determinata candidatura e che sono quindi destinati ad essere valorizzati da chi, grazie al sostegno ottenuto, riesce a superare la competizione.
Eludere il divieto di liste ipertrofiche aumentando le liste fisiologiche non è leale
Sono due le osservazioni che si possono fare al termine di questo ragionamento.
La prima è che nella purezza del modello della elezione diretta del Sindaco l’uomo forte è il Sindaco. Nardella, nel 2014, ha ottenuto ben 111.049 voti mentre il candidato consigliere più votato della sua coalizione (Caterina Biti) ha visto 1664 preferenze.
Chi ha la fiducia di oltre centomila cittadini, circa un terzo dell’elettorato, conta davvero molto di più di chi ha la fiducia di poco più di 1.500 cittadini.
Tuttavia, il candidato che resta fuori ma che ha fatto un sacrificio pur di portare al voto parenti ed amici rischia di essere politicamente molto importante e, in un certo senso, di condizionare le politiche del Sindaco minandone il plusvalore di legittimazione democratico determinato dal voto diretto.
La seconda osservazione riguarda il ruolo del partito politico.
Il Movimento 5 Stelle lavora come un partito politico. Nelle elezioni del 2014, la lista che ha partecipato alle elezioni al Consiglio comunale di Firenze ha ottenuto oltre diciassettemila voti, ma i suoi candidati non più di mille preferenze fra tutti. Se avesse vinto le elezioni, il suo candidato sindaco avrebbe goduto di tutta l’autorità che viene concessa dal voto diretto degli elettori, senza poter essere influenzato più di tanto da nessuno dei suoi consiglieri, eletti solo grazie al traino del candidato sindaco.
I primi santini usciti nella campagna elettorale del 2019, ancora non troppo calda, sono divisi in due parti: nella prima, il candidato parla di se stesso e spiega perché si dovrebbe votare uno come lui/lei (sono sempre stato dalla parte dei più poveri / sono innamorato della scuola / mi piace andare in bicicletta, etc.), mentre nella seconda si dice assolutamente d’accordo con il candidato sindaco che sostiene.
Questi candidati sono persone, non membri di un movimento politico che cerca di portare avanti una propria idea di futuro: c’è un grande disordine nelle due o tre (senza dimenticare Punto e a capo di Graziano Cioni) coalizioni che si fronteggiano. Sono allegre macchine da guerra in cui 190 candidati, da una parte, e 168, dall’altra, fanno sostanzialmente ammuina senza una precisa strategia politica, senza la capacità di sintesi e di fare futuro che era il proprio dei partiti politici.
Il rimedio
Entrambe queste osservazioni orientano verso una riforma della legge 81/1993, o meglio un piccolo aggiustamento che ne impedisca gli effetti degenerativi che si potrebbero sviluppare se questo meccanismo fosse mantenuto: limitare il numero delle liste che possono sostenere un candidato sindaco e non solo il numero di coloro che possono far parte di una lista.
Il limite di cui all’art. 73, primo comma, legge 81/1993 – Le liste per l’elezione del consiglio comunale devono comprendere un numero di candidati non superiore al numero dei consiglieri da eleggere e non inferiore ai due terzi – si giustifica per fare in modo che ciascuna lista debba essere composta di un numero di persone che davvero ambisce al seggio per il quale compete. Questo limite, però, è vanificato dalla assenza di un limite al numero delle liste che possono sostenere un candidato sindaco.
Questa riforma appare necessaria anche sul piano della ragionevolezza costituzionale della disciplina per le elezioni locali. La disproporzionalità fra candidati e seggi, infatti, suona come un vizio, non meno grave di quelle che la Corte costituzionale ha sanzionato con le sue note sentenze elettorali.
Il modello Stanhome va benissimo per vendere prodotti per la casa. Meno per promuovere i valori della rappresentanza politica. La Stanhome ricompensa le sue venditrici con un premio che può essere un viaggio, un buono o un piccolo regalo. Il sindaco che viene eletto dovrà fare lo stesso e questo potrebbe non essere sempre lineare.