Come un gatto sull’Aurelia: Conte, Presidente del Consiglio
1 – Conte Presidente del Consiglio è durato quanto un gatto sull’Aurelia.
Il Capo dello Stato, ieri che era il 27 maggio 2018, per la prima volta in settanta anni di repubblica, ha dichiarato di esercitare un potere di veto sulla lista dei ministri presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato ha restituito il mandato.
Non è la prima volta che il Presidente della Repubblica interviene sulla lista dei ministri ma è la prima volta che lo fa esplicitamente enunciando un potere presidenziale di veto che non era mai stato affermato esplicitamente e questo potere di veto evoca lo Statuto Albertino, quando i ministri erano ministri del Re, prima che del Regno e le discussioni fra Vittorio Emanuele II e i suoi primi ministri potevano essere assai accese.
Egualmente, il Presidente della Repubblica ha innovato la prassi per cui, in questi casi, è il suo segretario generale che legge un comunicato stampa in cui si dichiara che l’incaricato ha rinunciato al mandato, ed è apparso in prima persona a sottolineare l’importanza del suo gesto.
Il Capo dello Stato ha affermato il proprio ruolo di indirizzo politico costituzionale esercitando il veto sul ministro dell’economia proposto dal Presidente del Consiglio incaricato per ragioni che riguardano la posizione dell’Italia nei confronti dei mercati e il suo debito pubblico.
Nella sostanza, ha affermato che le politiche economiche e finanziarie non appartengono all’indirizzo politico di maggioranza, ma sono il risultato di precisi vincoli costituzionali a cui non è possibile sottrarsi.
La decisione è coerente con la posizione del patto di stabilità e crescita nella Costituzione: la modifica, approvata con un plebiscito parlamentare nel 2012, dell’art. 81, Cost. pone il principio di pareggio di bilancio fra i valori costituzionali e non è impossibile sostenere che questo principio riceva autorità dall’art. 11, Cost. e sia perciò funzionale alla costruzione di un ordinamento internazionale fondato sulla pace mettendo insieme Spinelli e Delors.
2 – I precedenti sono noti e non hanno bisogno di essere ricordati se non per sottolinearne la differenza rispetto al caso Savona.
Nel 1979, Cossiga era stato incaricato da Pertini di formare un governo sostanzialmente tecnico che costituì la prima prova del pentapartito. La democrazia cristiana oscillava fra l’area volta al Partito Comunista e quella che si rivolgeva al Partito Socialista, che erano antagoniste.
Pertini rifiutò il nome di Clelio Darida, fanfaniano, per il ministero della Difesa. Darida non sapeva nulla di difesa e Pertini voleva una Difesa forte perché sul tavolo c’erano le trattative con gli Stati Uniti per i missili da installare a Comiso.
Non ci sono comunicati stampa a documentare il veto di Pertini che fu esercitato come forma di moral suasion nei confronti di un premier incaricato di formare un governo del Presidente.
Nel 1994, Scalfaro rifiutò, sempre informalmente, il nome di Previti per la Giustizia e a Previti fu assegnato il dicastero della Difesa. In questo caso, la personalità di Previti e il suo ruolo molto attivo di avvocato del Presidente del Consiglio, capace di guidarne le cause verso vittorie non sempre limpide, furono il fondamento del rifiuto presidenziale che Berlusconi accettò di buon grado.
Nel 2001, Ciampi ha rifiutato il nome di Maroni per la Giustizia che era stato proposto da Berlusconi ed era fortemente voluto da Bossi. Maroni era sotto inchiesta per resistenza a pubblico ufficiale. Nominare ministro della Giustizia una persona che aveva resistito alla giustizia cercando di impedire una perquisizione non suonava bene al Capo dello Stato.
Nel 2014, Renzi ha proposto a Napolitano Gratteri come ministro della Giustizia e Napolitano lo ha respinto perché, secondo una regola non scritta, ma sempre rispettata, un magistrato in servizio non può diventare guardasigilli.
In nessuno di questi casi, tranne forse quello di Darida, il veto presidenziale è stato posto per questioni che riguardavano l’azione di governo e le scelte che avrebbe dovuto compiere, ma hanno sempre riguardato il prestigio del governo e il Capo dello Stato ha espresso la sua opinione al Presidente incaricato che l’ha fatta propria.
Così non è stato nel caso Savona e se il veto presidenziale trova il proprio fondamento nelle posizioni espresse da Savona e sul loro impatto sulla solvibilità della nazione, il Capo dello Stato è stato costretto a esprimerlo formalmente a causa del comportamento di Conte che non si è adeguato alla posizione del Presidente della Repubblica e ha preferito rispettare puntualmente le indicazioni ricevute da Salvini e Di Maio.
La vera novità riguarda l’insuccesso della moral suasion esercitata dal Capo dello Stato che è stato costretto dal Presidente incaricato a uscire allo scoperto.
3 – Sul piano delle forme costituzionali, il Capo dello Stato ha rivendicato il ruolo di rappresentante della nazione, in grado di delineare il contenuto dell’accordo di coalizione, dando allo stesso gli obiettivi in grado di soddisfare gli interessi della Repubblica in uno scenario nel quale questo accordo era stato sottoscritto ed elaborato dalle forze politiche completamente al di fuori degli scenari elettorali.
Il contratto di governo ha rappresentato una battaglia fra Capo dello Stato e forze politiche sul diritto di costruire la piattaforma politica del voto di fiducia. Con il contratto di governo, Lega e M5S hanno sostanzialmente cercato di svuotare le prerogative presidenziali e tentato di azzerare le consuetudini elaborate in centosettanta anni di storia parlamentare.
La battaglia del contratto di governo era stata vinta dalle forze politiche quando Mattarella ha incaricato Conte ma la guerra sembra essere stata persa nel momento in cui Mattarella ha rifiutato di firmare la nomina di Savona come ministro dell’economia, affermando il principio per cui in materia economica le scelte di maggioranza devono essere compatibili con gli interessi del paese.
Un capo dello Stato si capisce per quello che non dice e Mattarella non ha detto ma ha affermato che un premier non in grado di recepire gli indirizzi presidenziali perché condizionato dalle forze politiche che lo sostengono non è in grado di svolgere le funzioni di Presidente del Consiglio.
4 – Le forme costituzionali significano poco di fronte alla sostanza politica delle forze che cercano di contenere e guidare.
La sostanza politica è che Salvini si è imposto a Di Maio, che ha fatto un passo indietro rispetto alla designazione di Conte, rifiutandosi di fare a sua volta un passo indietro nella designazione di Savona.
Se Di Maio è stato disposto a un passo indietro, significa che il M5S non ha nessun interesse ad andare verso delle elezioni anticipate. Deve pagare i suoi debiti elettorali e se non li paga prima delle elezioni, rischia un tracollo alla prossima consultazione.
Se Salvini si è rifiutato di fare un passo indietro, significa che la Lega ha interesse ad andare verso le elezioni anticipate. Non ha debiti da pagare e una consultazione in cui si presenta come alfiere di una battaglia per l’identità monetaria nazionale è uno scenario perfetto per il suo leader.
Il vero problema, che è un problema politico ma rischia di essere anche un problema sociale, è che gli unici che non hanno bisogno di una consultazione elettorale che saprebbe di referendum sull’Euro sono gli italiani.
Si può, però, sperare che Mattarella abbia tenuto conto di tutto questo nell’incaricare Cottarelli e che Cottarelli sia in grado di formare un governo trovando l’appoggio di tutti coloro che non hanno interesse alle elezioni anticipate, ovvero dell’intero arco costituzionale ad eccezione della Lega di Salvini.