Per la discussione sull’ILVA (Provocazioni in un caso che non ne ha bisogno)
Del caso ILVA sono piene le cronache. Coordinate giuridiche più precise si possono ricavare dalle pronunce giudiziarie (in particolare, quella del Tribunale di Taranto, in funzione di giudice del riesame, del 20 agosto 2012); dal decreto-legge n. 207 del 2012 e dagli atti del procedimento parlamentare per la sua conversione in legge, compresi i dossier del Servizio Studi della Camera (tutti reperibili nell’apposita scheda); dai primi commenti scientifici, in particolare quelli editi nel sito Diritto penale contemporaneo (ultimo in ordine di tempo l’accurato saggio di Giuseppe Arconzo, accanto al quale il sito riporta i collegamenti agli altri). Di seguito una scaletta di punti scritti non per asserire tesi (lo faremo, se mai, nel preannunciato hangout), né per riassumere i materiali (un appunto di sintesi potrà essere trasmesso a chi, tra i partecipanti all’hangout, lo desidererà), ma per provocare la discussione.
Ut nemo consecraret filium suum aut filiam per ignem Moloch
Il caso ha una drammaticità biblica. Sorvolando su aspetti più opachi, vi si fronteggiano il lavoro, fondamento della Repubblica, e la salute, oggetto dell’unico diritto individuale qualificato come fondamentale nella Costituzione. Per dare concretezza, basta rimandare al cd. studio SENTIERI, o agli effetti dell’inquinamento sulla popolazione tarantina descritti alle pp. 69-77 del provvedimento di riesame (e in particolare alla terrificante p. 73). Oltre la salute individuale, c’è l’ambiente: «valore», scrive Gian Luca Conti, «che sfugge ad una esatta traduzione in chiave normativa, un valore, appunto, incapace di trasformarsi in precetto, perché inscindibilmente collegato alle coordinate assiologiche di chi ha l’autorità di darne un’interpretazione vincolante per il caso concreto». Ma, in ciò, cosa distingue questo valore dagli altri implicati? Non condividono tutti la stessa vocazione totalizzante (“tirannica”) e la stessa consistenza indefinita? Non si realizzano tutti, sempre e necessariamente, attraverso la mediazione di chi ha l’autorità per provvedervi? In proposito, oltre a parlare di organi, procedure, forme e metodi, il diritto costituzionale ha qualcos’altro, di più sostanziale, da dire?
Emergenza, uguaglianza, giustizia
Certo di organi, procedure, forme e metodi, il diritto costituzionale deve parlare. E anche in questo il caso è peculiare. L’art. 3 del decreto-legge richiama la nuova AIA emanata, in sede di riesame, nell’ottobre 2012 (e non ritenuta abbastanza solerte dal GIP di Taranto): ma la richiama per darle vera e propria forza di legge, o solo per estenderle gli effetti derogatori previsti dall’art. 1? Certamente, per effetto diretto del decreto-legge (art. 3, comma 3), l’ILVA è stata rimessa nel possesso – ossia nella disponibilità materiale, legalmente riconosciuta – degli impianti sequestrati. Così facendo, il decreto non ha formalmente negato l’esistenza, la validità o l’efficacia del sequestro giudiziario, ma ne ha neutralizzato gli effetti confezionando all’ILVA un nuovo titolo per usare gli impianti. Viene quindi chiamata in causa l’eterna questione delle leggi-provvedimento: precisamente, di quelle sia provvedimentali, sia retroattive, i cui effetti interferiscono con un contenzioso in corso non solo sul piano sostanziale (la legge detta nuove norme che, ora per allora, il giudice deve applicare), ma anche su quello processuale (la legge entra direttamente nella competenza del giudice, sostituendosi a questo nel governare giudizi già iniziati ed effetti di provvedimenti giudiziari già adottati). Vero è che quello cautelare non è un giudicato in senso stretto; ma è vero anche che, nell’attuale situazione di fatto, in assenza del mutamento legislativo, nessuno avrebbe potuto obbligare l’autorità giudiziaria a modificare le decisioni assunte. Si può affermare che ci si trovava dinanzi alla soluzione di una controversia «individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall’ordinamento giuridico vigente», come tale garantita dal «fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato», vincolante anche per il legislatore? Con le parole citate, nel 2009, il Presidente della Repubblica spiegò la decisione di non emanare il decreto sul triste caso di Eluana Englaro. In cosa questo caso si distingueva dall’odierno, sotto il profilo considerato? O la differenza riguardava altri profili, che hanno messo in ombra la separazione dei poteri? La giurisprudenza costituzionale è comprensiva con leggi provvedimentali e retroattive, ma ha talora stigmatizzato quelle che dichiaravano l’estinzione di giudizi, o subordinavano a poteri discrezionali dell’amministrazione l’esecuzione di provvedimenti giudiziari, o addirittura interdicevano quest’ultima con riguardo a singoli casi, nominativamente individuati (v. per i riferimenti il saggio di Arconzo). Eppure la prassi ha conosciuto altri casi di norme di decreti-legge confezionate specificamente per incidere su contenziosi in corso e provvedimenti già adottati: es. durante l’emergenza rifiuti in Campania, si autorizzò la Protezione Civile a utilizzare aree e impianti anche sequestrati (d.l. n. 263 del 2006, art. 3, comma 2); il decreto-legge 28 aprile 2010, n. 62, prevedeva la sospensione in Campania delle demolizioni disposte da sentenze penali per case abusive, ma fu bloccato da una pregiudiziale di costituzionalità che invocava, tra l’altro, la separazione dei poteri e la tutela del giudicato, riportandosi anche alla lettera del Presidente della Repubblica citata sopra. I dossier dei servizi studi contengono e approfondiscono questi riferimenti; uno di essi, curiosamente, menziona pure il primo decreto cd. Berlusconi del 1984 (d.l. n. 694 del 1984), anch’esso fermato da pregiudiziali di costituzionalità. Può la politica togliere effetto a decisioni giudiziarie, più o meno definitive? Cosa cambierebbe, se la politica non toccasse direttamente queste decisioni, ma – con norme applicabili a singole fattispecie, o comunque precisamente sagomate sul loro figurino – sostanzialmente vincolasse i giudici a ritrattare? Certo, costoro avrebbero almeno la chance, prima di applicare le nuove norme, di metterne in dubbio la costituzionalità. Ma la giurisdizione è un valore in sé, o uno strumento per la tutela della legalità e dei diritti violati? Sarebbe poi così diverso se, lasciando formalmente intatto l’involucro giurisdizionale, o prima ancora che un giudizio sia iniziato, si mettesse mano ugualmente alla legge e ai diritti (li si manomettesse), dopo che sono stati violati? Come ha affermato un grande giurista americano, «[g]reat cases, like hard cases, make bad law. For great cases are called great, not by reason of their real importance in shaping the law of the future, but because of some accident of immediate overwhelming interest which appeals to the feelings and distorts the judgment» (opinione dissenziente di Oliver Wendell Holmes jr, in Northern Securities Co. v. United States, 193 U.S. 197 (1904)). Ma come ci si deve regolare dinanzi ai great cases: si tenta di ignorarne la greatness, o si prova a isolarli dagli altri, per non allargare la bad law? Nel caso odierno, sotto il profilo della separazione dei poteri, quanto pesano l’emergenza e la gravità degli interessi coinvolti? Giudicando sulle leggi retroattive, la Corte ha distinto il limite generale della ragionevolezza da quello specifico del rispetto della funzione giurisdizionale, in ordine alla decisione delle cause in corso. Emergenza e gravità certamente contano per il limite generale, ma possono anche ammorbidire quello specifico? O quest’ultimo, appunto perché specifico, è più rigido?
Legge, tecnica, amministrazione
Il decreto non ha un contenuto esclusivamente provvedimentale. Era così in una prima stesura, della quale danno conto anche i commenti scientifici. Ma poi si è deciso – e (come si vedrà) il Presidente della Repubblica ha particolarmente apprezzato – di premettere una disciplina di ordine generale (1-2). A proposito di questa disciplina, si possono porre (almeno) due interrogativi. In primo luogo, la sua presenza allevia realmente le questioni di uguaglianza e giustizia enunciate sopra? Alcuni commentatori danno risposta negativa: «[i]l testo definitivo del decreto-legge aggrava (…) la situazione, perché cerca goffamente di mascherare quello che l’atto effettivamente è. Il provvedimento per il caso concreto è ammantato da un involucro di disciplina generale che è del tutto trasparente» (R. Bin; in senso analogo v. A. Morelli). In secondo luogo, forse per la fretta con cui è stato confezionato, il “cappello” generale suscita preoccupazioni aggiuntive. Gli artt. 1-2 si possono applicare a qualsiasi stabilimento industriale, con almeno 200 dipendenti, che, svolgendo un’attività inquinante soggetta ad AIA, si sia trovato coinvolto in un riesame del provvedimento. Il procedimento di riesame, si ricorda, può essere avviato quando lo richiedono esigenze di tutela dell’ambiente o sicurezza, oppure in presenza di novità tecnologiche o normative (cfr. art. 29-octies, comma 4, cod. amb.). Al ricorrere di questi presupposti, il Governo (sono coinvolti il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’ambiente, in fasi distinte) si vede consegnare un potere discrezionale, ai limiti (o forse all’interno) della straordinarietà. Deve valutare se sussista una «assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione»: valutazione non certo meramente tecnica, ma politico-amministrativa. Se la valutazione è positiva, il Governo (il Ministro) sostanzialmente ha carta bianca nello stabilire deroghe alla legislazione ambientale: non sono previste particolari condizioni procedimentali; la deroga può durare a lungo, fino a 36 mesi; il provvedimento di riesame dell’AIA deve bensì stabilire prescrizioni, procedure e termini per «assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili»; ma ha ampio margine nello scegliere tempi e modi dell’adeguamento, che può anche essere molto graduale e diluito nell’arco dei tre anni. Emblematico un esempio fatto da Arconzo: riguardo a una delle fonti di inquinamento (parchi minerari), mentre il sequestro avrebbe comportato misure immediate (per la copertura), l’AIA prevede un progetto da presentare entro sei mesi e da ultimare entro 36. Conviene ricordare che le norme preesistenti (il cit. art. 29-octiescod. amb.: comma 5) già consentivano, in caso di riesame dell’AIA, temporanee deroghe ai limiti di emissione, o ai parametri e alle misure tecniche equivalenti, a condizione che un piano di ammodernamento approvato dall’autorità determinasse una riduzione dell’inquinamento e assicurasse il rispetto dei limiti (parametri ecc.) entro sei mesi. Evidentemente, si sono volute deroghe più ampie e prolungate. In conclusione, la domanda è se la normativa astratta introdotta con il decreto, come premessa e presupposto degli interventi provvedimentali, non sia troppo elastica e generica per soddisfare le esigenze di legalità, di delimitazione della discrezionalità amministrativa e tecnica, di protezione degli interessi ambientali e sanitari.
Sa majesté séant en son lit de justice
Bilanciamenti difficili dovrebbero portare a soluzioni sofferte, discutibili e discusse, in teoria. In pratica, invece, è l’unanimismo ad avere sinora contrassegnato l’emanazione del decreto-legge e l’iter della sua conversione – almeno all’interno dei palazzi e delle istituzioni. Il Presidente della Repubblica non si è limitato a emanare l’atto, lasciando avvolte nel silenzio le perplessità e i tormenti che legittimamente si possono avere sulla sua costituzionalità. Rispondendo a una cittadina, il Capo dello Stato così scrive: «nel luglio scorso auspicai che si procedesse “rapidamente ed efficacemente” agli “interventi spettanti all’impresa e alle iniziative del governo nazionale e degli enti locali che risultino indispensabili per un pieno adeguamento alle direttive europee e alle norme per la protezione dell’ambiente e la tutela della salute dei cittadini”. Credo di essere stato coerente con quella impostazione: dopo più di quattro mesi senza alcuna soluzione al grave problema – un lasso di tempo che va ad aggiungersi all’annoso cumulo di ritardi, omissioni ed inadempienze – ho emanato il decreto legge sottopostomi dal governo contenente “disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”. Disposizioni quindi, si badi bene, non dettate per la sola ILVA di Taranto. Tutti i valori indicati nel decreto – salute, ambiente, lavoro – sono richiamati dalla Costituzione, e sono tutti beni primari da tutelare nell’ordinamento democratico, bilanciandoli tra loro nel miglior modo possibile». Si noti la formula: «ho emanato il decreto legge sottopostomi dal governo». In questa formula – se le si volesse dare un senso pregnante, nel contesto, supponendo la scelta delle parole calibrata con cura anche in sfumature e sottintesi – si potrebbe leggere qualcosa più del mero riscontro non negativo di un’altrui decisione: vi si potrebbe leggere una condivisione in prima persona del bilanciamento operato, con riserve residue solo sulla successiva attuazione, che si prevede difficile. Commentando il caso, Angioletta Sperti ha affermato che il rifiuto da parte del Presidente della Repubblica di emanare un decreto-legge è un’extrema ratio da riservare al caso in cui dall’entrata in vigore del decreto possa derivare una violazione grave della Costituzione e degli equilibri tra i poteri dello Stato; e che, per questo, nel caso odierno, il Presidente bene ha fatto a lasciare i problemi di costituzionalità all’esame delle Camere ed, eventualmente, a una propria più penetrante valutazione al momento della promulgazione della legge di conversione. Anche senza entrare nel merito di queste tesi in generale, c’è da chiedersi se l’atteggiamento tenuto in concreto dal Capo dello Stato corrisponda al descritto atteggiamento di prudente sospensione del giudizio, o non piuttosto a un esplicito endorsement, nel quale non sono nascoste la difficoltà e drammaticità del caso, ma nemmeno si avanza, o si riscontra, il minimo dubbio sulla validità delle soluzioni escogitate dal Governo. In Parlamento, alcuni rilievi critici sono giunti dalle sedi consultive, come il Comitato per la legislazione o la Commissione Giustizia. Ma, nelle commissioni competenti per il merito, nessuno di questi suggerimenti è stato accolto. Salvo errore di chi scrive, in un singolare clima di concordia, nonostante le discussioni accese e anche di tono costituzionale, sembrano essere stati votati, e approvati, solo gli emendamenti su cui erano stati espressi pareri favorevoli dal relatore e dal Governo. Altri emendamenti, compresi alcuni ferocemente soppressivi, o radicalmente modificativi, di punti qualificanti del decreto, non sono stati posti in votazione: i loro autori hanno docilmente seguito l’invito a ritirarli. Nell’aula della Camera, il Governo – cui ancora pochi giorni fa era stata, anche se non formalmente, revocata la fiducia dal partito di maggioranza relativa – ha posto sul disegno di legge di conversione del decreto la fiducia, e l’ha ottenuta – anche dal partito di maggioranza relativa – con 421 voti a favore, 71 contro e 24 astenuti. Cosa dice tutto questo sul sistema istituzionale repubblicano e sulla fase storica che sta attraversando? Cosa dice sul Presidente della Repubblica, sui suoi poteri e sul suo rapporto con il circuito dell’indirizzo politico? Cosa sul ruolo del Parlamento e dei parlamentari, sul rapporto e sulla questione di fiducia? Chi, in questo clima di eccezionale concordia su scelte tragiche, i cittadini dovrebbero ritenere accountableper il contenuto del decreto-legge? Quale influenza questo clima può avere sul circuito delle garanzie giurisdizionali chiamate a misurarsi con l’applicazione del decreto e con la sua costituzionalità?
Troppo a sud dell’Europa?
La materia ambientale è ampiamente dominata da atti normativi dell’Unione europea; la disciplina sull’AIA è attuativa della direttiva 2008/1/CE. Ad esempio, il termine di sei mesi concesso dal codice dell’ambiente per attuare l’AIA riesaminata sembrava in linea con l’art. 9, par. 6, secondo periodo, della direttiva, a norma del quale «[l]’autorizzazione può parimenti stabilire deroghe temporanee ai requisiti (…) ove un piano di ammodernamento approvato dall’autorità competente garantisca il rispetto di detti requisiti entro un termine di sei mesi, e se il progetto permette di ridurre l’inquinamento». Il decreto-legge n. 207 del 2012 è compatibile con questa e con le altre norme applicabili dell’UE? L’analisi tecnico-normativa allegata al disegno di legge di conversione, allorché si sofferma su tali questioni, si limita a osservare che è anticipato dal 2016 al 2012 l’adeguamento dell’ILVA alle nuove migliori pratiche (BAT, best available practices) codificate nel febbraio scorso per il settore siderurgico dalla Commissione europea (decisione 2012/135/UE). In più occasioni, si è fatto riferimento anche alla futura strategia dell’UE per la competitività dello stesso settore: ma, al momento, questa strategia ancora non esiste. Se il decreto-legge non fosse compatibile con il diritto dell’UE, come dovrebbe essere risolta l’antinomia?
Sussidiarietà sanitaria
Governo, giudici e gestori dell’impresa non sono gli unici protagonisti istituzionali della vicenda. Oltre a loro – e naturalmente ai cittadini coinvolti – il decreto-legge chiama in causa anche altre figure. Le autorità sanitarie e ambientali regionali sono coinvolte nella valutazione del danni sanitario (VDS), che si prevede possa derivare dall’attuazione del decreto-legge (non a caso, nel testo approvato, sono attenuati per l’ASL di Taranto alcuni vincoli derivanti dal piano di rientro della Puglia dal deficit sanitario). Le norme sulla VDS sono state introdotte, durante l’esame nelle commissioni parlamentari, a imitazione di quanto previsto dalla legge della Regione Puglia 24 luglio 2012, n. 21. Questa legge ha previsto in relazione a varie aree inquinate, o categorie di aree inquinate, compresa quella di Taranto, la predetta valutazione al dichiarato fine di «prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi e per il territorio regionale» (art. 1, comma 1). Se gli appositi rapporti periodici evidenziano criticità, la legge regionale obbliga le imprese interessate a ridurre emissioni o scarichi inquinanti, correndo altrimenti il rischio di vedere sospesa l’autorizzazione all’esercizio. Sono anche previsti obblighi di monitoraggio delle emissioni atmosferiche e degli scarichi in corpi idrici. La legge è già stata attuata con regolamento 3 ottobre 2012, n. 24, che precisa l’ambito, i dati di riferimento e i metodi per la VDS. Recentemente, la stampa ha dato notizia di impugnazioni rivolte contro il regolamento da varie grandi aziende titolari di impianti industriali in Puglia. Nell’esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 207, si è abbozzato un tentativo di immettere nel decreto stesso norme simili a quelle pugliesi. In particolare, l’emendamento 1.29 (Realacci e altri) aveva inizialmente una formulazione vicina allo spirito della legge regionale: prevedeva regole più stringenti per il monitoraggio e, soprattutto, un vero e proprio obbligo di intervenire sulle criticità anche riducendo le emissioni, entro precise scadenze temporali (vincolanti anche per il Ministero). Invitato dal relatore e dal Governo ad accettare una nuova formulazione, corrispondente al testo poi approvato, il primo firmatario ha osservato che «nel decreto-legge in esame mancano praticamente del tutto quelle misure dirette a salvaguardare la salute dei cittadini di Taranto, a partire da uno scrupoloso screening della popolazione, che sono fortemente attese sul territorio e che sono indispensabili per ristabilire il fondamentale circuito di fiducia fra i cittadini e le istituzioni». Tuttavia, lo stesso on. Realacci ha accolto la nuova formulazione, pur esprimendo il suo rammarico perché essa «indebolisce eccessivamente la portata dell’emendamento». Tra i protagonisti della vicenda c’è poi – per ora solo in prospettiva – il Garante (battezzato proprio così, con la G maiuscola): nominato su deliberazione del Governo (con decreto del Presidente della Repubblica, tra persone di «indiscussa indipendenza competenza ed esperienza»); deputato a vigilare sull’attuazione del decreto-legge e a riferire al Governo eventuali criticità, proponendo «le idonee misure, ivi compresa l’eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria anche in considerazione degli articoli 41 e 43 della Costituzione» (a questo, e a un cenno nel preambolo, si riducono i riferimenti all’art. 43, certo insufficienti a fondare poteri ablativi). Pur avendo come proprio referente essenzialmente il Governo, il Garante può avvalersi dell’ISS, dell’ISPRA e delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente, ascoltare le rappresentanze dei lavoratori, acquisire informazioni dall’azienda e dalle amministrazioni e persino indire pubbliche consultazioni (comunque senza oneri a carico della finanza pubblica). Questa situazione normativa corrisponde ai confini delle competenze legislative e amministrative di Stato e Regione? Il coinvolgimento di quest’ultima è costituzionalmente necessario? In quali termini? La partecipazione delle autorità ambientali, sanitarie ecc. alla gestione dell’emergenza è costituzionalmente doverosa, per la rilevanza di questioni di carattere scientifico, tecnico, medico ecc.? Se lo è, è stata assicurata in modo sufficiente? Come si spiega la presenza di un Garante, in un quadro in cui già sono presenti amministrazioni sanitarie e ambientali dotate di poteri di controllo e sanzione, oltre che di caratteristiche di competenza e imparzialità che dovrebbero soddisfare l’art. 97 Cost.?
Labirinti processuali
Attualmente, su richiesta dell’ILVA, i PM hanno concesso il dissequestro degli impianti, ma non dei prodotti realizzati medio tempore (da qui l’apposito emendamento 3.1 del Governo al testo originario del disegno di legge di conversione). Avrebbero potuto, o dovuto, rivolgersi invece alla Corte costituzionale, in via incidentale o per conflitto di attribuzioni (v. su questo, ancora, R. Bin)? Altrimenti, avrebbero potuto legittimamente negare la restituzione – rifiutandosi di applicare il decreto-legge – e costringere gli interessati a rivolgersi al giudice, affinché questi poi sollevasse la questione di costituzionalità in via incidentale? Tenuto conto delle particolarità della situazione processuale, quali sarebbero la sede e lo strumento più appropriati per portare il decreto-legge all’esame della Corte costituzionale? Individuata la via percorribile, è sicuro che essa consenta, non solo di investire la Corte, ma anche di fornire una tutela abbastanza rapida, eventualmente anche cautelare, in relazione alla gravità e all’urgenza degli interessi esposti a pregiudizio? La Regione Puglia potrebbe impugnare in via principale il decreto-legge e chiederne la sospensione? Quali potrebbero essere i risvolti processuali di eventuali antinomie con il diritto dell’UE?