Le esternazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri
Conte, nella sua conferenza stampa di venerdì 11 marzo, ha richiamato le opposizioni a un maggiore senso di responsabilità.
Più propriamente si è rivolto alla Lega di Salvini e ai Fratelli d’Italia della Meloni osservando che il loro comportamento era inappropriato rispetto all’emergenza che stava affrontando.
Nella sostanza, ha chiesto di lasciar lavorare chi lavora.
Il senso del ragionamento è abbastanza chiaro: l’emergenza deve essere fronteggiata con ogni mezzo e chi sta affrontando l’emergenza nell’interesse del popolo ha la facoltà di rivolgersi al popolo per condannare chi lo critica.
Il vero nodo, sul piano costituzionale, è più complesso e riguarda l’essenza del circuito Governo – Parlamento.
L’essenza di questo rapporto è la fiducia, con cui ciascuna Camera approva, con scrutinio palese e per appello nominale, le dichiarazioni programmatiche del Governo, ovvero la sfiducia, con cui una Camera, approva, sempre per scrutinio palese e con appello nominale, una mozione di sfiducia sottoscritta da non meno di un decimo dei suoi membri e nella quale deve essere spiegato il perché della richiesta al Governo di lasciare il proprio incarico.
La Costituzione, in altre parole, vuole che la responsabilità politica del Governo sia discussa in Parlamento, e concentrare nel Parlamento (le cui difficoltà a riunirsi non sono agevolate dalla assenza di previsioni esplicite circa la libertà di circolazione dei suoi membri nei complessi d.P.C.M. con cui viene regolato il lockdown) questa discussione significa evitare che la stessa possa svolgersi nell’arena della pubblica opinione ed imporre la necessità della mediazione attraverso la rappresentanza politica.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri nel momento in cui si rivolge direttamente al corpo elettorale, nel corso di una conferenza stampa, per rispondere alle critiche della pubblica opinione, si colloca all’esterno di questo circuito.
Ma questo, tutto sommato, non è innaturale: il circuito della rappresentanza politica si svolge al di fuori delle sedi parlamentari dal 1948.
Il vero nodo della questione è un altro.
Il tono del Presidente del Consiglio dei Ministri, forse, non è sembrato il tono dell’indirizzo politico di maggioranza che chiede di aderire alla propria visione dell’interesse pubblico. E’ sembrato piuttosto quello del Presidente della Repubblica (il quale, infatti, ha ricevuto con imbarazzato silenzio le protese di Salvini quando questi lo ha chiamato per gli auguri di Pasqua), che richiama i partiti politici a una maggiore serenità nell’interesse della coesione nazionale.
Il Presidente della Repubblica, però, impronta le proprie esternazioni sulla irresponsabilità. E’ il fatto che la nostra Costituzione porta dentro di sé le tracce della definizione del Capo dello Stato come persona sacra e inviolabile propria dello Statuto Albertino giustifica il collegamento del potere di messaggio alla irresponsabilità del Capo dello Stato e lo colloca all’interno di una funzione di alta garanzia e controllo, ma anche di integrazione e stimolo.
Nel momento in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri, questo Presidente onnipotente che decide delle libertà quotidiane dei cittadini sulla base del principio di precauzione, si rivolge al popolo con un messaggio che assomiglia molto a quello del Presidente della Repubblica di cui condivide il tono di garanzia, cerca l’irresponsabilità.
Se Segni, Leone, Cossiga e Napolitano ci hanno insegnato a temere un Presidente della Repubblica che si avvicina al polo del Governo, non vorrei che Conte ci insegnasse a temere un Presidente del Consiglio dei Ministri che si appoggia su di una emergenza per avvicinarsi al polo del Presidente della Repubblica.
In altre parole, se di solito, è pericoloso un Capo dello Stato che si avvicina al Governo, senza essere responsabile, in una situazione di emergenza può essere molto più pericoloso un Capo del Governo che si atteggia a Presidente di una repubblica presidenziale.
E, purtroppo, questo dipende molto da un Parlamento che si riunisce solo per lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni e la conversione dei decreti legge, smarrendo gran parte della propria ragion d’essere nella discussione del voto a distanza.