Principio di precauzione e segreto di Stato
La scrivania del ministro per la salute è chiusa molto bene ma chi ha avuto modo di avvicinarsi non ha potuto evitare di avvertire l’odore acre, di zolfo e putrefazione, che traspare.
E’ l’odore del segreto di Stato, un odore pungente che, di solito, si avverte quando ci si avvicina al terrorismo, alla mafia, al voto di scambio, agli anni più bui della Repubblica che lo ha regolato compiutamente durante gli anni di piombo (legge 801/1977) e ha ripreso la materia (legge 124/2007) per gestire le lottizzazioni di villa Certosa.
Il problema, sul piano storico, è semplice: il ministro per la salute e il Governo presieduto da Conte avrebbero tenuto segreto il rapporto con cui alcuni scienziati indagavano, fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, gli scenari connessi alla diffusione della pandemia in corso.
Secondo questo rapporto, sarebbero stati ipotizzabili tre scenari, uno dei quali assolutamente catastrofico parlava di una malattia che avrebbe causato fra le seicentomila e le ottocentomila vittime.
Per questa ragione, il Governo avrebbe adottato delle misure assai stringenti con i provvedimenti che conosciamo, i quali, se, da una parte, hanno determinato un danno incalcolabile per la ricchezza della nazione, dall’altra parte, avrebbero salvato centinaia di migliaia di vite umane e sarebbero perciò perfettamente giustificate.
L’affare pone due distinte questioni e suggerisce un rimedio.
La prima questione che pone riguarda il principio di precauzione in rapporto al segreto di Stato. In che misura, questo principio può tollerare che le conoscenze che hanno giustificato il ricorso a misure straordinarie e indifferibili adottate per mezzo di ordinanze libere appoggiate esclusivamente sulla responsabilità del Capo del Governo possano essere segretate e, quindi, conosciute solo ex post?
Il principio di precauzione è, di per sé, un principio che riguarda l’essenza del discorso democratico e il suo rapporto con la scienza. Se la scienza non è certa di un pregiudizio potenzialmente grave e irreparabile per la salute pubblica o l’ambiente, la sfera politica può adottare queste misure sostituendo una legittimazione scientifica con una decisione democratica.
Questo principio postula la possibilità di un discorso pubblico e pienamente informato sulla natura del pericolo che si intende fronteggiare e sui vantaggi e gli svantaggi connessi all’intervento pubblico correttivo che si intende adottare.
Un tanto non accade se la natura del pericolo e le sue caratteristiche sono mantenute segrete dal Governo che le rivela solo quando il pericolo appare superato per giustificare le misure che ha preso e che hanno ridotto la nazione sul lastrico.
La discussione sulla natura del pericolo ha un senso se precede le misure che vengono adottate perché è una discussione sui limiti che il potere intende introdurre a carico delle libertà e che giustifica con la minaccia di un pericolo grave per un interesse che considera gerarchicamente superiore alle libertà che sacrifica.
Una volta che le misure sono state adottate, l’esistenza del dossier serve a giustificare questi limiti, non riguarda più la sostanza della limitazione ma la responsabilità collegiale del Governo (art. 95, secondo comma, Cost.) e individuale del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 95, primo comma, Cost.).
Soprattutto, però, se si afferma il principio secondo cui quando vi è un rischio per la salute o per l’ambiente di natura tale da poter scatenare il panico, il Governo può tenere nascosta la natura di questo rischio al paese (e anche al Parlamento) adottando le misure che ritiene opportune per fronteggiarlo, si ha una pericolosa torsione in senso autoritario della forma di Governo.
La seconda questione è che i problemi che si sono evidenziati, soprattutto il bisogno di bilanciare l’interesse alla sicurezza dello Stato che rende opportuno mantenere segrete e confidenziali certe informazioni in mano al Governo, e il bisogno di democrazia per cui ciascuna limitazione delle libertà individuali deve provenire dal Parlamento, sono stati oggetto di una disciplina puntuale da parte della legge 124/2007, che prevede:
(i) la competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, non del Ministro della Salute, a disporre il segreto di Stato (art. 39, quarto comma);
(ii) l’obbligo del Presidente del Consiglio dei Ministri a dare notizia dell’apposizione del segreto di Stato al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica e il diritto del Copasir di confermare o meno l’apposizione del segreto, dopo averne discusso, se il caso lo ritiene, in una seduta segreta;
(iii) il diritto del Copasir di deferire la questione alle Camere che, a loro volta, ne possono discutere in seduta segreta.
Questi principi si trasformano in domande:
(a) perché il segreto è stato apposto dal ministro per la salute e non dal Presidente del Consiglio dei Ministri?
(b) perché dell’apposizione del segreto non è stato informato il Copasir?
(c) il Governo può sottrarre alla conoscenza del Parlamento delle informazioni che riguardano l’introduzione di limiti alle libertà fondamentali dei cittadini senza informare quantomeno il Copasir di quello che sta accadendo?
E, soprattutto, se è vero che rivelando adesso l’esistenza di un dossier segreto, il ministro per la salute confessa di aver mancato agli obblighi che si sono elencati, perché lo ha fatto?
Qui, l’odore che proviene dalla scrivania ministeriale si fa acre e pungente perché in un paese abituato a intendere il non detto molto più del detto, ci si può chiedere come mai sia così necessario presentarsi come salvatori della patria e non è difficile immaginare che, passato questo periodo di giustificato timore, inizieranno le critiche al Governo, perché la ripresa non sarà né facile né immediata e dovremo ripensare alle basi stesse del nostro sistema economico.
Ma, sotto questo aspetto, le guerre come problema di storia costituzionale finiscono sempre con una inchiesta parlamentare e, anche in questo caso, sembra che questo dovrebbe essere il futuro sviluppo di una vicenda che, guardata con un po’ di attenzione, sembra molto meno brillante di quanto non la si voglia far apparire.