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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Le libertà al tempo del coronavirus

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/04/2020

Sono forti le assonanze fra il coronavirus e la disciplina sui vaccini obbligatori posta dal d.l. 73/2017: a prima vista, appare uno stesso fenomeno: la Repubblica, attraverso la legge e la sua esatta applicazione da parte del Governo, deve proteggere i cittadini dal rischio per la loro salute che un comportamento libertario di altri cittadini potrebbe causare. Di conseguenza, la legge limita la libertà di coloro che potrebbero causare un danno potenzialmente grave e irreparabile agli altri.

Ma la straordinaria pervasività della pandemia in corso ha condotto a misure particolarmente eccezionali perché dapprima il d.l. 6/2020 e successivamente il d.l. 19/2020 hanno individuato una serie estremamente ampia di limitazioni alla libertà personale autorizzando il Presidente del Consiglio dei Ministri a definire in concreto, attraverso atti amministrativi generali, i provvedimenti restrittivi della libertà personale dell’intera popolazione e il Presidente del Consiglio dei Ministri (d.d.P.C.M. 22 marzo 2020 e 1 aprile 2020) ha addirittura in parte delegato questo potere di ordinanza al Ministro per lo Sviluppo Economico (d.m. 25 marzo 2020).

Il Parlamento è restato sullo sfondo, limitando il proprio intervento alla conversione in legge del d.l. 6/2020 (legge 13/2020) e autorizzando il ricorso all’indebitamento secondo quanto previsto dall’art. 6, quinto comma, legge 243/2012 (la relazione è stata trasmessa alla Presidenza della Camera il 5 marzo 2020 e posta all’ordine del giorno della seduta dell’11 marzo 2020) per effetto del verificarsi di una situazione a carattere eccezionale.

In altre parole, la limitazione delle libertà personali autorizzata dal Governo con i suoi decreti legge e dallo stesso Governo affidata agli atti amministrativi generali del Presidente del Consiglio dei Ministri non è stata oggetto di una vera discussione parlamentare: il paese non ha sentito bisogno del Parlamento ma del Governo per rispondere alla paura di un morbo terribile e spaventoso.

Di qui, sono possibili due osservazioni, non da costituzionalista, ma da cittadino privato di una porzione significativa delle proprie libertà fondamentali.

La prima riguarda gli effetti del principio di precauzione sulla forma di Governo e sulla forma di Stato. Il principio di precauzione, inteso come il motore del diritto della paura, secondo la definizione di Sunstein, può essere letto come obbligo di adottare qualsiasi misura necessaria a evitare un rischio in assenza di una sicurezza scientifica circa l’estensione del rischio ovvero come possibilità di adottare misure non basate su di una evidenza scientifica univoca. In entrambi i casi è un principio di azione politica che serve nei casi in cui manchi la certezza circa l’esatta estensione di un rischio e quindi sulla effettiva necessità delle misure per contenerlo. La catena di decreti legge e atti amministrativi generali adottati rivela un preciso modo di intendere questo principio di azione politica: non è l’oggetto di una discussione parlamentare, del complesso equilibrio di una sede referente e della sua trasposizione nell’agone assembleare per mezzo delle relazioni di maggioranza e minoranze nonché del potere di emendamento (e di parere sugli emendamenti di iniziativa parlamentare) del Governo. E’ l’oggetto di una volontà politica che si fonda su di un giudizio scientifico.

In altre parole, il principio di precauzione giustifica una torsione della forma di Governo verso l’esecutivo e, in particolare, il suo vertice. E’ sicuramente una torsione autoritaria, che il popolo ha vissuto senza particolari critiche o mal di pancia, vuoi per effetto della crisi del metodo parlamentare, vuoi perché il potere dell’emergenza è sentito come volontà e non come discussione.

La seconda osservazione riguarda la legislazione dell’emergenza, nella legislazione dell’emergenza si rivela sempre una gerarchia di valori. La legislazione sul terrorismo è stata giustificata dall’interesse alla sicurezza dello Stato considerato come un valore supremo. In quel momento, la difesa delle istituzioni democratiche dal rischio generato dall’uso della paura come strumento di lotta politica ha giustificato misure straordinarie di limitazione delle libertà individuali dei cittadini sospettati di essere coinvolti nella lotta armata secondo la cd. logica del doppio binario.

Il valore evocato dal principio di precauzione e dalla lotta contro la pandemia in corso è completamente diverso: anche la difesa delle istituzioni democratiche (e quindi della centralità del Parlamento nella forma di Governo, ma anche del ruolo delle regioni nella forma di Stato) cede rispetto alla paura per la propria salute.

La società del benessere liquido ha prima di tutto paura della propria morte e questa paura giustifica qualsiasi sacrificio, del diritto al lavoro, della libertà personale, della libertà di domicilio, della libertà di circolazione, della libertà di riunione, delle libertà religiose, del diritto alla ricerca e alla frequentazione dei musei.

Questo, forse, spaventa più del coronavirus: una società che tiene di più alla propria vita che ai propri diritti fondamentali perché non è la società dei costituenti i quali conobbero il carcere di Villa Triste per avere il privilegio di scrivere la carta costituzionale e di iniziarla con la proclamazione delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili.

Il comunicato di Pirro

in profstanco / by Gian Luca Conti
12/01/2019

Il comunicato con cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dai parlamentari del PD, dal senatore Andrea Marcucci in proprio e quale capogruppo, annuncia una vittoria di Pirro.

La Corte costituzionale si è pronunciata per l’inammissibilità ma ha affermato che i parlamentari possono agire a tutela delle proprie prerogative.

Si è già provato a spiegare perché questo conflitto consiste è l’ultima resa del Parlamento dinanzi all’ultima fortezza.

Due sono le cose che si possono aggiungere. Read more →

L’ultima resa (a proposito di un conflitto presentato dal Gruppo PD del Senato)

in profstanco / by Gian Luca Conti
31/12/2018

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1 – L’ultima resa, come si conviene a una guerra d’altri tempi, è di un parterre de roi.

Ha il sapore di una resa il ricorso per conflitto di attribuzioni presentato dal gruppo parlamentare del PD al Senato con l’assistenza di alcuni fra i maggiori costituzionalisti del Paese (Caravita, Cecchetti, De Vergottini, Falcon, Lucarelli, Onida e la Randazzo), molti dei quali non collegati al PD da nessuna affinità politica.

Si chiede alla Corte di annullare la legge di bilancio perché approvata per mezzo di un maxi emendamento che, quando è stato discusso, era stato presentato da poco più di sette ore, non era sostanzialmente stato esaminato in Commissione e pensare che i Senatori abbiano avuto il tempo e il modo di comprenderne il contenuto è esercizio di spericolato ottimismo.

Lo si chiede con forza perché questa volta la prevaricazione delle prerogative parlamentari è stata particolarmente evidente.

Ma è costretto a chiederlo alla Corte costituzionale ammettendo quindi che gli organi chiamati a tutelare le prerogative parlamentari, ovvero, in questo caso, la Presidenza del Senato e la giunta del regolamento, non sono in grado di farlo.

Il ricorso per conflitto, in altre parole, ha come presupposto l’incapacità dell’autonomia del Parlamento di salvaguardare l’indipendenza e la funzionalità del sistema della rappresentanza.

Questo significa arrendersi perché la Corte non è solo un ultima fortezza. E’ soprattutto un istituto che opera come garanzia per le istituzioni che non hanno la capacità di trovare spazio nel sistema con la legittimazione che deriva dalla loro capacità di autonomia.

Il bisogno di giustizia costituzione nasce nel momento in cui una istituzione non riesce a giustificare la propria esistenza e cerca nella giurisprudenza costituzionale lo spazio per difendersi dalle aggressioni degli altri poteri.

E’ un’ammissione di debolezza e nello stesso tempo la ricerca nella giurisprudenza della Corte di quello che si dovrebbe riuscire a ottenere con l’autorevolezza della propria autonomia.

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La manovra finanziaria si apre al rispetto delle prerogative parlamentari: verso una nuova centralità della Quinta Commissione?

in News / by Gian Luca Conti
26/11/2013

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1 – Il Senato si sta avviando a discutere e votare il disegno di legge di stabilità.

Lo deve fare oggi, che è il 26 novembre, perché domani dovrà discutere della decadenza di un senatore eletto nel Molise e non si sa che cosa accadrà dopo.

Questa è l’emergenza politica.

Sempre sul piano politico, Letta aveva presentato più volte la propria legge di stabilità come massimamente aperta al dialogo in sede parlamentare ed era stato oggetto di severe critiche da parte delle forze politiche e sociali che avrebbero voluto una minore apertura al dialogo e una maggiore capacità di imporsi.

Sul piano costituzionale, l’apertura al dialogo apparentemente è stata tutt’altro che reale.

Nei fatti, pare, che la tecnica del maxiemendamento, di cui è stato giustamente detto che rappresenta una sorta di gara a chi riesce a fare peggio dei governi precedenti, sia stata valorizzata oltre ogni ragionevole limite.

Ma questa è solo una impressione a prima lettura. Difatti, sembra possibile sostenere che questa volta il ricorso al voto di fiducia abbia in qualche misura inteso valorizzare le prerogative parlamentari e che il maxiemendamento del Governo Letta sia stato un passo indietro nella rincorsa al peggio che ha caratterizzato questa prassi nella precedente esperienza. Un passo verso il meno peggio, insomma.

Anche se non tutto è ancora perfetto, naturalmente. Read more →

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