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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Morire in Toscana o in Puglia? (Non si risolve il tribaco con una soluzione anapestica)

in profstanco / by Gian Luca Conti
07/02/2025

Il Consiglio regionale della Toscana sta per avviare la discussione in aula di un progetto di legge sul fine vita.

La questione suscita un ampio dibattito che, però, come tipicamente accade nelle questioni che hanno un tono religioso, mischia il culo con le quarant’ore.

Il primo punto da chiarire riguarda il sistema normativo attualmente in vigore per coloro che trovano insopportabile continuare a vivere a causa della loro situazione di salute.

Queste persone, ai sensi della legge 38/2010 e 219/2017, possono chiedere, purché siano in grado di esprimere una scelta libera e consapevole, di essere poste in uno stato di sedazione profonda e l’interruzione dei trattamenti medici che le mantengono in vita.

In particolare, l’art. 1, legge 219/2017 stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere somministrato senza il consenso informato del paziente e considera come trattamenti sanitari anche l’idratazione e l’alimentazione forzati. L’art. 2, legge 219, cit. impone ai medici di alleviare le sofferenze di coloro che hanno bisogno delle loro cure e, secondo comma, consente il ricorso alla sedazione profonda continua per i pazienti prossimi alla morte, vietando ogni trattamento, in questi casi, che non abbia come scopo l’il sollievo dalla sofferenza.

Di conseguenza, il nostro ordinamento giuridico conosce una forma di suicidio assistito perché consente al paziente di rifiutare l’alimentazione e l’idratazione forzati e di essere posto in sedazione profonda, ovvero impone ai medici di astenersi dal mantenere in vita artificialmente i pazienti che non acconsentano più a questi trattamenti sanitari.

Non consente, invece, al paziente che non voglia morire di fame e di sete in uno stato di profonda incoscienza di optare per una soluzione più rapida.

Su questo punto, è intervenuta (da sei anni) la Corte costituzionale con la sentenza 242/2019 nella quale si afferma che se il paziente vuole porre termine alla sua vita perché le sofferenze che deve patire gli sono intollerabili; non vi è alcuna speranza di miglioramento o guarigione, la sua volontà deve essere accertata da una struttura pubblica e vagliata da un comitato etico. Ove da questo scrutinio, che deve svolgersi in un tempo compatibile con lo stato di sofferenza del malato, la volontà espressa dal paziente risulti riferibile a una sua decisione liberamente assunta, colui che lo aiuta a porre termine alla propria esistenza non è punibile ai sensi dell’art. 580, c.p. (aiuto o istigazione al suicidio) che invece punisce coloro che portano alla morte persone non pienamente capaci di esprimere la propria volontà o che non versano in uno stato patologico irreversibile.

Questa la massima ufficiale della sentenza: È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., l’art. 580 cod. pen., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

Il secondo punto da chiarire riguarda il contenuto della proposta di legge di iniziativa popolare attualmente in discussione presso il Consiglio regionale della Toscana: la Regione Toscana non introduce il suicidio assistito, si limita a definire le modalità con cui il servizio sanitario della Regione Toscana potrà procedere alla verifica dell’esistenza delle condizioni che consentono il ricorso al suicidio assistito e le modalità di esecuzione di questo trattamento, nonché le modalità con cui si deve esprimere il comitato etico.

La questione merita di essere approfondita sotto due diversi aspetti. Da una parte, è un problema di riparto di competenze fra Stato e regioni: se lo Stato non interviene con una legge, le regioni possono regolare autonomamente le proprie attribuzioni in questa materia? Dall’altra parte, è un problema di dignità delle persone: se l’ordinamento giuridico mi consente di decidere liberamente di morire, nei limiti in cui questa terribile decisione può essere davvero libera e pienamente consapevole, posso decidere come morire o devo necessariamente morire di sete e fame nel sonno?

Il primo aspetto viene risolto da coloro che ostacolano la proposta di legge seguendo due argomenti principali. Per il primo, la materia del suicidio assistito sarebbe nella competenza esclusiva dello Stato perché riguarda l’ordinamento civile e penale e quindi alle regioni sarebbe interdetto qualsiasi forma di intervento. Per il secondo, non sarebbe ragionevole ipotizzare che solo una su 20 regioni possa regolare il suicidio assistito nell’inerzia delle altre.

Entrambi gli argomenti possono essere considerati non ragionevoli. La proposta di legge n. 5 attualmente in esame non definisce ciò che è penalmente lecito o illecito. Si limita a dare al servizio sanitario, che dipende pacificamente dalle regioni, le istruzioni necessarie per adempiere ai propri compiti e il compito di intervenire nell’accertamento delle condizioni che consentono il ricorso al suicidio assistito è assegnato al servizio sanitario dalla sentenza della Corte costituzionale 242/1019.

Molto più persuasivo in apparenza l’argomento per cui non sarebbe una e indivisibile la Repubblica in cui in una regione fosse possibile chiedere di morire serenamente nel proprio letto e nelle altre diciannove questo diritto fosse negato. E’ sicuramente vero ma è altrettanto vero per tutta l’assistenza sanitaria che non è sicuramente erogata secondo gli stessi livelli in tutte le regioni e l’argomento potrebbe essere tollerabile solo se non vi fossero cittadini costretti a percorrere diverse centinaia di chilometri per curare la tiroide, come sa chiunque prenda spesso il treno per Pisa.

Soprattutto, il suicidio assistito non è un trattamento sanitario. La Corte costituzionale non afferma l’esistenza di un diritto al suicidio assistito inteso come un livello essenziale delle prestazioni da erogare per garantire la libertà di cura del paziente. Molto più semplicemente afferma che non vi è disvalore nel comportamento di colui che presta il proprio ausilio a un malato incurabile che desidera porre termine alla propria sofferenza ricorrendo determinate condizioni che si sono ricordate. Sotto questo aspetto, la proposta di legge regionale guarda più che ai diritti del malato a un riparto di attribuzioni fra la magistratura e l’amministrazione, perché, sino al momento in cui la Corte costituzionale non vedrà la propria decisione attuata dal legislatore nazionale, è il magistrato che indaga sulla morte del malato incurabile che decide se vi sia spazio per l’azione penale o meno ma questo, da una parte, non è ragionevole perché il processo interviene solo quando oramai il bene tutelato è già stato sacrificato e, dall’altra parte, pone un forte discrimine fra cittadini perché non tutti si possono permettere un medico disposto a rischiare la propria fedina penale.

Il piano etico del suicidio assistito, invece, non è sul tavolo. E’ stato risolto dalla Corte costituzionale che ha riconosciuto il diritto di ogni cittadino a scegliere se completare nel proprio corpo la passione del Cristo o abbandonare questa vita di passaggio. Sul tavolo, c’è il diritto di decidere se morire consapevolmente o inconsapevolmente, il diritto di rifiutare di morire nel sonno e di preferire una morte che guarda negli occhi le persone che si amano.

Negare il diritto di morire è ragionevole solo se si considera la vita un bene indisponibile anche nel caso in cui si è irreparabilmente destinati a morire fra atroci sofferenze e la Corte costituzionale ha detto che non è così.

Negare il diritto di morire guardando negli occhi chi si ama, una volta che questo diritto viene affermato sulla base della Costituzione, ha un che di disumano.

Negarlo sulla base del riparto di attribuzioni fra Stato e regioni è artificioso e, dispiace scriverlo, vigliacco.

Come mi chiamo? (La Corte e i cognomi)

in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2022

Notoriamente la Corte costituzionale ha sempre ragione.

Anzi: la Corte costituzionale è una metafora della vita e non vi è evento della vita di un individuo che non possa essere risolto ricorrendo alla sua giurisprudenza.

La dottrina della Corte per molti costituzionalisti è l’equivalente del Talmud per un rabbino ortodosso.

Anche se, ovviamente, non hanno mai letto il Talmud. O, si potrebbe dire, non hanno letto neppure il Talmud.

L’ultima sentenza della Corte costituzionale di cui è stata data notizia a mezzo comunicato stampa è piuttosto divertente.

La Corte è stata investita della questione di legittimità costituzionale delle norme che impediscono ai genitori, se d’accordo, di dare al proprio figlio il cognome della madre anziché del padre e, giustamente, l’ha dichiarata costituzionalmente illegittima.

La conseguenza naturale sul piano additivo avrebbe dovuto essere che da qui in avanti i genitori possono scegliere se dare al proprio figlio il cognome dell’uno o dell’altro o di entrambi e che in assenza di questa scelta vale la previsione codicistica argomentata dall’art. 262, c.c. (sul punto, Corte cost. 282/2016).

La Corte, però, è andata più in là e ha stabilito che secondo gli artt. 2, 3 e 117, Cost., ciascuno dei genitori può, con l’accordo dell’altro, dare il proprio cognome al figlio e che in mancanza di una scelta di questo genere il figlio deve avere entrambi i cognomi. In quest’ultimo caso, però, i genitori devono trovare un accordo circa l’ordine nel quale i due cognomi devono comparire nei documenti. In assenza di accordo, specifica il comunicato stampa, si deve interpellare il giudice tutelare il quale deciderà (in base a quali criteri?) quale sia il cognome che risponde maggiormente all’interesse del minore. Read more →

Che cosa è un diritto fondamentale (Cassino, 10-11 giugno 2016)?

in Senza categoria / by Gian Luca Conti
11/06/2016

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I diritti fondamentali vivono in due diverse dimensioni. Da una parte, sono diritti all’autonomia, pretese alla non interferenza nell’autonomia dell’individuo. Dall’altra parte, sono strumenti con cui lo Stato concorre allo sviluppo della personalità dell’individuo. Gli uni si declinano negativamente, gli altri si realizzano positivamente. O meglio consistono di prestazioni e interventi in cui la persona non è autosufficiente.

Forse questa, semplificando molto, è la distanza fra la dimensione negativa e la dimensione positiva dei diritti fondamentali: nella dimensione negativa, ciascuno ha bisogno solo di essere lasciato in pace perché la sua felicità – la realizzazione della sua persona – dipende solo da lui. Nella dimensione positiva, invece, l’individuo non è autosufficiente e ha bisogno di essere aiutato per realizzare la sua persona.

La libertà di domicilio vive della dimensione negativa perché la sua garanzia consiste solamente del consentire a ogni individuo di proiettare la propria personalità nello spazio senza subire il condizionamento della soggezione a possibili e improvvise intrusioni.

Il diritto alla salute vive della dimensione positiva perché la pretesa dell’individuo è il soccorso dello Stato per fare fronte a uno stato di bisogno: la malattia.

Le due dimensioni però sono strettamente collegate perché tutte le situazioni soggettive che si sono tradizionalmente considerate come libertà negative, in realtà diventano effettive solo nella misura in cui l’individuo non considera lo Stato come il gendarme della sua autosufficienza e lo Stato cerca di costruire il contesto dell’autosufficienza individuale perché la stessa sia effettivamente il luogo di realizzazione dell’individuo come persona.

Lo stesso ragionamento vale anche per le libertà positive: il bisogno del soccorso statale dialoga con il principio di autodeterminazione individuale ed è asservito a questo. Si ha diritto alle cure che si sono chieste, non a quelle che si ha paura di ricevere. Si ha diritto all’istruzione che genera cittadini consapevoli dei propri diritti, non a quella che trasforma i bambini in balilla di un futuro strano.

La matrice unitaria delle due dimensioni discende forse dal fatto che la Costituzione è una e che ha un senso solo se viene attuata nel suo complesso, traducendo i valori normativi che porta in direzioni di senso per la realtà in cui vive.

E’ bello parlare così, è anche confortante.

Ma è un ragionare d’altri tempi, perché il ragionare dell’oggi ha a che fare con una realtà che è completamente cambiata dal 1948. Allora i proprietari della realtà, coloro che possono condizionare in qualche modo le libertà – positive e negative – degli individui erano sottoposti al controllo della sovranità statale e quindi all’autorità dei valori costituzionali. Oggi, i proprietari della realtà in cui vivono i cittadini globali e in cui vivono le libertà individuali dei cittadini globali – i signori della rete – sfuggono alla sovranità dei singoli Stati, esistono in un ordinamento che assomiglia molto a quello del mare, quando il mare era mare aperto e l’unico diritto era quello dei corsari.

Di fronte a questi signori, che operano come antichi feudatari, ciascuno pressocchè assolutamente sovrano nell’ambito della propria contea, gli Stati assomigliano alla dissoluzione dell’impero romano e i diritti fondamentali, forse, più che dei ragionamenti dei discorsi di giuristi del ventesimo secolo, hanno bisogno delle lotte dei cittadini del XXI secolo.

La doppia dimensione dei diritti fondamentali

Fraintendimenti ottuagenari (Rodotà e il terrorismo)

in News / by Gian Luca Conti
24/09/2013

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Much ado about nothing.

E’ questo che si deve dire della polemica fra Alfano e Rodotà sul terrorismo. Rodotà ha detto delle parole forse avventate, non perché non siano corrette, ma perché si prestavano a essere fraintese e Alfano le ha prontamente fraintese.

Ma la vera questione è un’altra ed è una questione che riguarda le interiora repubblicane: è ancora ragionevole la proroga sine die della legislazione di piombo? Si può ancora parlare di terrorismo in Italia?

E queste polemiche sembrano avere come unico scopo quello di allontanare da questa domanda, che invece ha un senso ed è un senso cruciale dal punto di vista della Costituzione, perché se l’emergenza giustifica delle torsioni costituzionali nel momento in cui esiste per evitare che la Costituzione diventi un patto suicida, il tollerare la sopravvivenza delle torsioni costituzionali al finire dell’emergenza assomiglia molto a un suicidio della Costituzione.

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La vita del “diritto alla vita” costituzionale è vita di relazione

in News / by Cassandra Battiato
09/07/2013

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Il mondo moderno si è imbattuto con una serie di cambiamenti.

Penso prima di tutto agli sconvolgimenti tecnologici degli ultimi venti anni ovvero agli I-pad, I-pod ad internet ed alle magnifiche magie informatiche.

E’ cambiata la comunicazione ed il linguaggio: dalle lettere ai tweet, dagli amici ai followers.

Ma il mondo moderno si è imbattuto anche in evoluzioni delle concezioni culturali e delle rivendicazioni individuali non di poco conto.

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Una diversa normalità non è normale ovunque e nello stesso modo (Commento a caldo su CEDU, 19 febbraio 2013)

in News / by Gian Luca Conti
20/02/2013

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (19 febbraio 2013, in X ed altri Vs Austria) ha stabilito che se uno dei due membri di una coppia di fatto eterosessuale può adottare il figlio naturale dell’altro membro, lo stesso diritto deve essere riconosciuto anche al membro di una coppia di fatto omosessuale che si trovi nella stessa situazione.

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