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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Ravanare 17

in profstanco / by Gian Luca Conti
02/11/2022

Chi comincia bene è già a metà dell’opera.

E’ il proverbio che viene in mente leggendo il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162.

La norma che, forse, dovrebbe essere oggetto di maggiore attenzione è quella che è stata messa a punto in vista della trattazione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo. Ma probabilmente il marchingegno messo in piedi per superare l’ergastolo ostativo – non si dà seguito al Fine pena mai nel caso in cui il condannato dimostri di non avere più niente a che fare con le ragioni che avevano giustificato la sua condanna, prova che forse non è molto semplice – serve solo a un aggiornamento della udienza pubblica fissata dalla Corte costituzionale all’8 novembre 2022.

La norma che, allora, vale la pena prendere in esame è l’art. 5 intitolato Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali, che introduce l’art. 434 bis, c.p. (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica), fra l’art. 434 (Crollo di costruzione e altri disastri dolosi) e l’art. 435 (Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti).

E’ una norma che nasce ad horas e che ha un intento chiaramente muscolare: ci sono stati dei ragazzi che hanno avuto l’ardire di organizzare un rave party per Halloween e il Governo non è restato con le mani in mano.

Questa norma punisce chiunque organizza o partecipa a un raduno di oltre cinquanta persone in un terreno o un fabbricato di proprietà altrui senza il consenso del proprietario se ci può essere un pericolo per la salute, l’incolumità o l’ordine pubblico.

La pena è compresa fra un minimo edittale di 3 anni e un massimo di 6 anni e come misura accessoria si prevede la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

Il primo problema è perché una norma speciale rispetto all’art. 633, c.p. che punisce l’invasione di terreni o edifici con la pena da uno a tre anni e da due a quattro anni se il fatto è commesso da più di cinque persone o da persona palesemente armata. Ce n’è bisogno se il fatto che viene commesso determina un pericolo per la salute, l’incolumità o l’ordine pubblico? Forse sì, può essere ragionevole.

Ma non è ragionevole se il fatto che determina il reato è l’organizzazione di un “raduno”, perché un raduno è esercizio della libertà (costituzionale) di riunione e l’esercizio di una libertà costituzionale non può costituire l’aggravante di un reato. Suona proprio male. Terribilmente male.

Il secondo problema è la nozione di ordine pubblico.

E’ facile dire che in Costituzione non c’è. E’ facile dire che è figlia di un testo unico di pubblica sicurezza che i Costituenti aborrivano per averne fatto le spese. E’ triste aggiungere che si tratta di una nozione utilizzata sempre più spesso dal legislatore e che questo accade perché la nostra società ha voglia di ordine pubblico. Più voglia di ordine pubblico che di libertà costituzionali.

Il terzo problema è la forma utilizzata per costruire il reato: un decreto legge. Dei ragazzi organizzano un rave e il Governo lo considera un motivo sufficiente a giustificare un decreto legge. I decreti legge sono atti che hanno la forza di legge per effetto di una situazione di eccezionale urgenza che non tollera ritardi per essere affrontata. Il raduno di Modena, sgomberato la mattina successiva, o quello del Salviatino, poco più di un pubblico schiamazzo, non sembrano raggiungere questa soglia.

Ma soprattutto se succede qualcosa che il Governo considera disdicevole, il Governo può ricorrere al decreto legge per vietarlo? Sembra molto forte e soprattutto molto in contrasto con il divieto di norme penali eccezionali.

Sono tutte considerazioni ovvie per un costituzionalista e sicuramente un penalista ne potrebbe aggiungere altrettante, ancora più forti.

Il punto, però, è che più che essere il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, sembra il 31 ottobre 1922, n. 162…

Le libertà al tempo del coronavirus

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/04/2020

Sono forti le assonanze fra il coronavirus e la disciplina sui vaccini obbligatori posta dal d.l. 73/2017: a prima vista, appare uno stesso fenomeno: la Repubblica, attraverso la legge e la sua esatta applicazione da parte del Governo, deve proteggere i cittadini dal rischio per la loro salute che un comportamento libertario di altri cittadini potrebbe causare. Di conseguenza, la legge limita la libertà di coloro che potrebbero causare un danno potenzialmente grave e irreparabile agli altri.

Ma la straordinaria pervasività della pandemia in corso ha condotto a misure particolarmente eccezionali perché dapprima il d.l. 6/2020 e successivamente il d.l. 19/2020 hanno individuato una serie estremamente ampia di limitazioni alla libertà personale autorizzando il Presidente del Consiglio dei Ministri a definire in concreto, attraverso atti amministrativi generali, i provvedimenti restrittivi della libertà personale dell’intera popolazione e il Presidente del Consiglio dei Ministri (d.d.P.C.M. 22 marzo 2020 e 1 aprile 2020) ha addirittura in parte delegato questo potere di ordinanza al Ministro per lo Sviluppo Economico (d.m. 25 marzo 2020).

Il Parlamento è restato sullo sfondo, limitando il proprio intervento alla conversione in legge del d.l. 6/2020 (legge 13/2020) e autorizzando il ricorso all’indebitamento secondo quanto previsto dall’art. 6, quinto comma, legge 243/2012 (la relazione è stata trasmessa alla Presidenza della Camera il 5 marzo 2020 e posta all’ordine del giorno della seduta dell’11 marzo 2020) per effetto del verificarsi di una situazione a carattere eccezionale.

In altre parole, la limitazione delle libertà personali autorizzata dal Governo con i suoi decreti legge e dallo stesso Governo affidata agli atti amministrativi generali del Presidente del Consiglio dei Ministri non è stata oggetto di una vera discussione parlamentare: il paese non ha sentito bisogno del Parlamento ma del Governo per rispondere alla paura di un morbo terribile e spaventoso.

Di qui, sono possibili due osservazioni, non da costituzionalista, ma da cittadino privato di una porzione significativa delle proprie libertà fondamentali.

La prima riguarda gli effetti del principio di precauzione sulla forma di Governo e sulla forma di Stato. Il principio di precauzione, inteso come il motore del diritto della paura, secondo la definizione di Sunstein, può essere letto come obbligo di adottare qualsiasi misura necessaria a evitare un rischio in assenza di una sicurezza scientifica circa l’estensione del rischio ovvero come possibilità di adottare misure non basate su di una evidenza scientifica univoca. In entrambi i casi è un principio di azione politica che serve nei casi in cui manchi la certezza circa l’esatta estensione di un rischio e quindi sulla effettiva necessità delle misure per contenerlo. La catena di decreti legge e atti amministrativi generali adottati rivela un preciso modo di intendere questo principio di azione politica: non è l’oggetto di una discussione parlamentare, del complesso equilibrio di una sede referente e della sua trasposizione nell’agone assembleare per mezzo delle relazioni di maggioranza e minoranze nonché del potere di emendamento (e di parere sugli emendamenti di iniziativa parlamentare) del Governo. E’ l’oggetto di una volontà politica che si fonda su di un giudizio scientifico.

In altre parole, il principio di precauzione giustifica una torsione della forma di Governo verso l’esecutivo e, in particolare, il suo vertice. E’ sicuramente una torsione autoritaria, che il popolo ha vissuto senza particolari critiche o mal di pancia, vuoi per effetto della crisi del metodo parlamentare, vuoi perché il potere dell’emergenza è sentito come volontà e non come discussione.

La seconda osservazione riguarda la legislazione dell’emergenza, nella legislazione dell’emergenza si rivela sempre una gerarchia di valori. La legislazione sul terrorismo è stata giustificata dall’interesse alla sicurezza dello Stato considerato come un valore supremo. In quel momento, la difesa delle istituzioni democratiche dal rischio generato dall’uso della paura come strumento di lotta politica ha giustificato misure straordinarie di limitazione delle libertà individuali dei cittadini sospettati di essere coinvolti nella lotta armata secondo la cd. logica del doppio binario.

Il valore evocato dal principio di precauzione e dalla lotta contro la pandemia in corso è completamente diverso: anche la difesa delle istituzioni democratiche (e quindi della centralità del Parlamento nella forma di Governo, ma anche del ruolo delle regioni nella forma di Stato) cede rispetto alla paura per la propria salute.

La società del benessere liquido ha prima di tutto paura della propria morte e questa paura giustifica qualsiasi sacrificio, del diritto al lavoro, della libertà personale, della libertà di domicilio, della libertà di circolazione, della libertà di riunione, delle libertà religiose, del diritto alla ricerca e alla frequentazione dei musei.

Questo, forse, spaventa più del coronavirus: una società che tiene di più alla propria vita che ai propri diritti fondamentali perché non è la società dei costituenti i quali conobbero il carcere di Villa Triste per avere il privilegio di scrivere la carta costituzionale e di iniziarla con la proclamazione delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili.

Che cosa è un diritto fondamentale (Cassino, 10-11 giugno 2016)?

in Senza categoria / by Gian Luca Conti
11/06/2016

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I diritti fondamentali vivono in due diverse dimensioni. Da una parte, sono diritti all’autonomia, pretese alla non interferenza nell’autonomia dell’individuo. Dall’altra parte, sono strumenti con cui lo Stato concorre allo sviluppo della personalità dell’individuo. Gli uni si declinano negativamente, gli altri si realizzano positivamente. O meglio consistono di prestazioni e interventi in cui la persona non è autosufficiente.

Forse questa, semplificando molto, è la distanza fra la dimensione negativa e la dimensione positiva dei diritti fondamentali: nella dimensione negativa, ciascuno ha bisogno solo di essere lasciato in pace perché la sua felicità – la realizzazione della sua persona – dipende solo da lui. Nella dimensione positiva, invece, l’individuo non è autosufficiente e ha bisogno di essere aiutato per realizzare la sua persona.

La libertà di domicilio vive della dimensione negativa perché la sua garanzia consiste solamente del consentire a ogni individuo di proiettare la propria personalità nello spazio senza subire il condizionamento della soggezione a possibili e improvvise intrusioni.

Il diritto alla salute vive della dimensione positiva perché la pretesa dell’individuo è il soccorso dello Stato per fare fronte a uno stato di bisogno: la malattia.

Le due dimensioni però sono strettamente collegate perché tutte le situazioni soggettive che si sono tradizionalmente considerate come libertà negative, in realtà diventano effettive solo nella misura in cui l’individuo non considera lo Stato come il gendarme della sua autosufficienza e lo Stato cerca di costruire il contesto dell’autosufficienza individuale perché la stessa sia effettivamente il luogo di realizzazione dell’individuo come persona.

Lo stesso ragionamento vale anche per le libertà positive: il bisogno del soccorso statale dialoga con il principio di autodeterminazione individuale ed è asservito a questo. Si ha diritto alle cure che si sono chieste, non a quelle che si ha paura di ricevere. Si ha diritto all’istruzione che genera cittadini consapevoli dei propri diritti, non a quella che trasforma i bambini in balilla di un futuro strano.

La matrice unitaria delle due dimensioni discende forse dal fatto che la Costituzione è una e che ha un senso solo se viene attuata nel suo complesso, traducendo i valori normativi che porta in direzioni di senso per la realtà in cui vive.

E’ bello parlare così, è anche confortante.

Ma è un ragionare d’altri tempi, perché il ragionare dell’oggi ha a che fare con una realtà che è completamente cambiata dal 1948. Allora i proprietari della realtà, coloro che possono condizionare in qualche modo le libertà – positive e negative – degli individui erano sottoposti al controllo della sovranità statale e quindi all’autorità dei valori costituzionali. Oggi, i proprietari della realtà in cui vivono i cittadini globali e in cui vivono le libertà individuali dei cittadini globali – i signori della rete – sfuggono alla sovranità dei singoli Stati, esistono in un ordinamento che assomiglia molto a quello del mare, quando il mare era mare aperto e l’unico diritto era quello dei corsari.

Di fronte a questi signori, che operano come antichi feudatari, ciascuno pressocchè assolutamente sovrano nell’ambito della propria contea, gli Stati assomigliano alla dissoluzione dell’impero romano e i diritti fondamentali, forse, più che dei ragionamenti dei discorsi di giuristi del ventesimo secolo, hanno bisogno delle lotte dei cittadini del XXI secolo.

La doppia dimensione dei diritti fondamentali

Valutare la costituzionalità (A proposito di Daspo e arresto in fragranza differito)

in News / by Gian Luca Conti
23/11/2012

Il ministro degli interni, Cancellieri, nel question time di ieri al Senato ha diffuso la notizia che il Governo sarebbe favorevole ad una stretta nelle misure di prevenzione che si possono applicare in occasione di manifestazioni, anche a carattere studentesco, politico o sindacale.

Il tema delle misure di prevenzione è uno dei più dolorosamente sensibili conosciuti dal nostro ordinamento costituzionale e lo è sin da Corte cost. 2 e 11/1956

La stretta riguarderebbe l’applicazione di due istituti tipici del diritto sportivo della violenza: l’arresto in fragranza differita, per cui è possibile arrestare in fragranza anche dopo la commissione del reato, ed il divieto di accesso alle manifestazioni sportive (cd. Daspo).
Su entrambi i punti il ministro degli interni non ha nascosto di nutrire dei dubbi circa la compatibilità costituzionale dell’applicazione di questi istituti a manifestazioni che hanno carattere politico e che quindi si avvicinano molto al nucleo forte delle libertà intese in senso democratico come strumenti di partecipazione.
Se la democrazia non soffre particolarmente nel momento in cui il capo dei tifosi di una squadra di calcio viene ingiustamente allontanato dalle manifestazioni sportive, potrebbe essere intollerabile che il capo di un movimento politico controdemocratico non possa essere alla guida del suo movimento per ragioni di ordine pubblico non costituzionalmente ragionevoli.
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