Il segreto della camera di consiglio (Un galantuomo)
Chi scrive è diventato professore universitario dopo avere conosciuto Paolo Grossi.
Sono state le lezioni di Paolo Grossi, la sua attenta lucidità, che lo hanno convinto.
Sono le lezioni di Paolo Grossi che cerca di rincorrere per i suoi studenti.
Paolo Grossi può avere molti difetti.
Ma è sicuramente un galantuomo.
Un uomo d’altri tempi.
Un uomo che sa coltivare il diritto con quella passione che faceva disegnare le colline ai monaci medioevali, sui cui usi giuridici ha molto studiato e attentamente scritto.
L’intelligenza di Paolo Grossi è nella sua scuola, che, molto laicamente, ha impegnato nello studio delle dottrine giuspubbliciste, piuttosto che appiattirla sui suoi interessi primariamente orientati al diritto privato e alle teorie della proprietà.
E’ lui il giudice costituzionale di cui si parla nelle cronache di oggi.
Il giudice che avrebbe fatto pendere il piatto della bilancia per la incostituzionalità del Lodo Alfano.
E’ lui che Berlusconi citava quando indicava con sapida ignoranza 11 giudici di nomina presidenziale (anziché 5), e quindi comunisti.
Grossi può essere molte cose, ma immaginarlo comunista è davvero impossibile.
Il problema, però, è un altro.
La notizia che Grossi era indeciso è una notizia che appartiene al segreto della camera di consiglio della Corte costituzionale.
Il segreto della camera di consiglio fa sì che le sentenze della Corte costituzionale escano da un Collegio e siano l’immagine della Costituzione: la Costituzione non può tollerare voci discordanti e le sentenze integrano il testo costituzionale perché gli danno voce e forza normativa.
Far emergere i rumors della Corte significa indebolirla spaventosamente.
Questo è intollerabile.
Come è intollerabile immaginare una Corte di destra o di sinistra o citare, così Feltri, la provenienza dei giudici come sintomo della loro coloritura politica: i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti sono nominati a vita proprio per sganciarli da qualsiasi mandato di carattere politico.
La stessa cosa è per i nostri giudici costituzionali, che durano in carica nove anni, ovvero più di una magistratura, ma anche di un mandato presidenziale, e non sono rieleggibili.
E’ un contesto che non accetta, che non dovrebbe accettare, pettegolezzi da camera di consiglio.
L’unica cosa che importa è che cosa la Corte ha deciso e se la sua motivazione può reggere il confronto con l’opinione pubblica da cui deriva la legittimazione delle sentenze.
Il resto sono chiacchiere.
Di pessimo gusto.
Perchè trasformano la Consulta in una salone di bellezza di periferia.

Oggi, è attesa la sentenza sul cd. Lodo Alfano.
L’attuale ministro per l’istruzione, l’università e la ricerca scientifica ha ammonito gli insegnanti a tenersi lontani dalla politica.
Berlusconi ha citato in giudizio L’Unità e La Repubblica, ritenendo l’esposizione delle sue presunte frequentazioni femminili lesiva della propria dignità.
DI SANTA RAGIONE è il titolo del Manifesto di oggi.
Tre notizie di questi giorni sono legate da un filo rosso: la commercializzazione della pillola abortiva RU486, che ha suscitato le proteste del Vaticano; la sentenza della Law Lords del 31 luglio 2009 sul caso Debbie Purdy, che ha stabilito che non vi è alcuna ragione di procedere contro un marito che assiste la moglie che – malata incurabile – ha liberamente scelto di morire; con ordinanza iscritta al registro della Corte costituzionale al n. 177/2009, il Tribunale di Venezia ha dubitato della legittimità costituzionale delle norme che vietano il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Il cd. Lodo Bernardo è un emendamento al dl anticrisi che stabilisce: Le procure regionali della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001 numero 97.
Napolitano ha promulgato la legge sulla sicurezza.







