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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Che tipo di Stato dobbiamo aspettarci (e da quale governo)

in profstanco / by Andrea Mugnaini
13/03/2018

“Adesso tocca al Presidente della Repubblica”. È questa la frase che da domenica sera chiunque, tra commentatori e politici di ogni schieramento va ripetendo senza sosta. E non si sa se sia una speranza, un timore o un modo per lavarsi la responsabilità di questa situazione. Se è vero che l’art. 92 della costituzione affida al Capo dello Stato il compito di nominare un presidente del consiglio che possa formare il governo, questa volta il compito è troppo complicato perché lo possa risolvere da solo. Lo sa bene lo stesso Mattarella, che ha da subito chiesto ai partiti di collaborare per trovare una maggioranza prima che si arrivi alla fase delle consultazioni (che da consuetudine costituzionale si apre subito dopo l’elezione dei presidenti delle due camere, e quindi in questo caso verso la fine di marzo). Lo spettro di nuove elezioni potrebbe non essere così distante, ma se si tornasse a votare con la stessa legge elettorale, è evidente che il risultato sarebbe sostanzialmente identico.

Resta quindi la domanda:

quale governo traghetterà il Paese alle prossime elezioni?

Il tracollo del Partito Democratico e di Forza Italia fa tramontare anche l’ipotesi di continuare con Gentiloni per i mesi necessari (si spera pochi) per cambiare il cosiddetto Rosatellum. Nella nostra storia repubblicana ci sono stati governi guidati da un partito minoritario (si pensi ai governi Spadolini e Craxi), ma questi avevano comunque dietro una maggioranza più o meno coesa in grado di sostenerli. Stavolta sembra molto difficile (per non dire impossibile) che Lega e Movimento 5 Stelle, che insieme hanno poco più del 50%, diano il proprio sostegno a un governo di fatto a guida PD; meno che mai poi lo darebbero ad un governo tecnico. A ciò va aggiunto che lo statuto del Movimento impone il vincolo di due mandati parlamentari e che alle prossime elezioni Di Maio non potrebbe ricandidarsi, e la sua rincorsa a Palazzo Chigi sarebbe quasi sicuramente conclusa. Ecco perché non è disposto ad appoggiare nessun governo se non il suo. La strategia più plausibile (stando ai media e agli opinionisti) potrebbe essere allora quella di affidare al leader dei pentastellati un mandato esplorativo, non previsto dalla costituzione ma che già in passato è stato sperimentato in situazioni simili.

Quali chance avrebbe questo governo?

In altre parole, qual è la forza politica che alla fine potrebbe correre in aiuto dei cinquestelle? Se si dimenticano i giochi politici e si guarda a quelli che erano i programmi elettorali (ammesso che sia ancora opportuno farlo) si scopre che è proprio la Lega la principale indiziata, non solo per i numeri. Si pensi infatti, per ciò che ci riguarda, alle politiche sociali dei due partiti, che incidono significativamente sulla forma di Stato. I punti di contatto sono moltissimi: il lavoro al centro, la cancellazione della legge Fornero, la riforma delle pensioni, la tutela della salute (il superamento della legge Lorenzin e quindi dell’obbligo vaccinale). Resta sicuramente la grossa differenza del reddito di cittadinanza, punto di forza del Movimento, che proprio non piace alla Lega perché visto come una forma di assistenzialismo. Un ipotetico governo formato da questi due schieramenti si troverebbe prima o poi a dover risolvere questa questione abbastanza spinosa.

Sembra molto simile anche la visione che i due partiti hanno sull’Unione Europea, anche se è oggettivamente difficile capire come la pensino realmente su questo punto, visto che da un atteggiamento di ostilità totale, sono passati a dichiarazioni più moderate, per poi tornare a rilanciare (almeno la Lega) l’uscita dall’euro subito dopo i primi exit poll. Sicuramente però entrambi puntano ad una maggiore autonomia italiana da Bruxelles su temi cruciali, quali quelli dell’immigrazione e la politica economica.

Difficilmente poi questa maggioranza sarebbe abbastanza forte da riuscire a realizzare riforme costituzionali riguardanti le istituzioni.

Eppure anche su questo c’è molta somiglianza tra i programmi. Oltre all’intenzione di ridurre il numero di parlamentari, che ritorna quasi ad ogni campagna elettorale, l’elemento sicuramente più interessante è l’introduzione del vincolo di mandato che sia Salvini sia M5S hanno inserito come uno dei punti cardine del loro programma di riforme. Un dato certamente non nuovo ma profondamente innovativo, che stravolgerebbe la logica dell’art. 67 della costituzione (e forse persino lo stesso concetto di rappresentanza). La norma costituzionale attribuisce infatti a ogni parlamentare il ruolo di rappresentante dell’intera Nazione, vietandogli di curare solo gli interessi del proprio elettorato: sono a nostro avviso abbastanza palesi i rischi di un Parlamento formato da individui che guardano soltanto ai bisogni della loro fazione, ma la Lega e i pentastellati vedono nell’introduzione del vincolo un modo per arginare il fenomeno del trasformismo parlamentare. Tale novità, stando al programma del Movimento 5 Stelle, sarebbe inoltre accompagnata alla modifica dei regolamenti parlamentari “in modo da far sì che i Gruppi parlamentari possano essere costituiti solo da forze politiche che si siano effettivamente presentate alle elezioni e abbiano ottenuto l’elezione di un numero di parlamentari sufficienti a formare un gruppo”. Inoltre intendono, stando al loro programma, penalizzare coloro che nel corso della legislatura lasciano il gruppo parlamentare al quale appartengono e quindi la forza politica con la quale sono stati eletti. Di che genere siano le sanzioni non si può sapere, visto che i centomila euro di multa che prevedono nel loro statuto appaiono difficilmente esigibili. Appare abbastanza curioso che molti degli eletti tra le liste grilline si siederanno fin da subito nel gruppo misto, perché espulsi ancora prima delle elezioni.

Infine una convergenza tra i due programmi si può vedere anche sulla volontà di rafforzare le autonomie locali e le regioni e di ridefinire il rapporto tra quest’ultime e lo Stato, da sempre punto fisso del partito di Salvini. Il modo di raggiungere questo decentramento è diverso: se per i cinquestelle basterebbe (almeno in una prima fase) orientare la legislazione statale in senso più rispettoso delle Regioni, per la coalizione di Berlusconi e gli altri occorre adottare un “modello di federalismo responsabile che armonizzi la maggiore autonomia prevista dal titolo V della Costituzione e già richiesta da alcune regioni in attuazione dell’articolo 116, portando a conclusione le trattative attualmente aperte tra Stato e Regioni”. Differenze che però sembrano facilmente superabili.

Il Partito Democratico, al di là delle parole del suo segretario a tempo, difficilmente potrebbe appoggiare un governo con queste premesse: la linea che li separa da queste posizioni è troppo netta. Completamente opposta a quella di M5S per quanto riguarda le riforme sociali, assolutamente incompatibile con quella leghista per quanto riguarda immigrazione e Europa. Il solo governo che il PD (ma anche Forza Italia) possano sostenere resta un ipotetico governo tecnico (o come viene chiamato, governo di scopo) per arrivare a rivotare tra breve con una nuova legge elettorale.

Insomma quella che il Capo dello Stato si trova davanti è forse la legislatura più anomala della storia della nostra repubblica. Ci uniamo allora anche noi nel dire che ora la parola passa a lui: la nostra è una speranza (e un augurio) che riesca a gestire tutto questo nel migliore dei modi.

Fermo il 119: la bufala del residuo fiscale

in profstanco / by Gian Luca Conti
20/10/2017

Il quesito referendario del Lombardo Veneto

1 – Domenica 22 ottobre, i cittadini della Lombardia e del Veneto saranno chiamati a rispondere su di un quesito referendario sostanzialmente unitario anche se diversamente formulato nelle due regioni.

In entrambi i casi, viene loro chiesto se vogliono che le regioni Lombardia e Veneto godano di maggiore autonomia secondo quanto previsto dall’art. 116, Cost. e nel rispetto dell’art. 119, Cost.

Questo è il testo del referendum proposto per la Lombardia:

Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?

Molto più stringato il quesito della Regione Veneto:

Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?

La Corte costituzionale, con la sentenza 118/2015, ha precisato che il quesito veneto si riferisce alle materie per cui è consentito alle regioni chiedere maggiore autonomia ai sensi dell’art. 116, Cost.:  il quesito referendario ripete testualmente l’espressione usata nell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione cosicché per la Corte deve intendersi che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi possano riguardare solo le «materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)».

Il significato del quesito

2 – Per comprendere il significato del quesito si devono comprendere le materie nelle quali è consentito a queste due regioni chiedere maggiore autonomia.

2.1 – Si tratta delle seguenti materie comprese nell’elenco di cui a 117, secondo comma, Cost. (materie in cui lo Stato è titolare di una funzione legislativa esclusiva):

  • 117, secondo comma, lett. l): giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa, limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace
  • 117, secondo comma, lett. n): norme generali sull’istruzione;
  • 117, secondo comma, lett. s): tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

La giustizia di pace riguarda poco più che i danni derivanti dalla circolazione stradale, le liti in materia di confini e le questioni condominiali.

Questa competenza non vale a modificare l’ordinamento processuale, ma unicamente l’organizzazione della giustizia (di pace) sul territorio del Lombardo Veneto, sicché le regioni potranno magari decidere di mettere un ufficio del giudice di Pace a Desio o a Bassano del Grappa, ma niente di più.

Le norme generali sull’istruzione sono quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge (Corte cost. 200/2009).

In questo ambito, non sembra che vi possa essere spazio per una diversa autonomia del Lombardo Veneto rispetto al restante territorio nazionale: l’esame di maturità, le licenze media ed elementare non possono che restare le stesse su tutto il territorio nazionale ed altrettanto vale per i diplomi di laurea, sia triennale che magistrale.

La lett. s) dell’art. 117, secondo comma, individua la materia (valore: Corte cost. 407/2002) della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

In questo caso, l’autonomia regionale può consistere unicamente della possibilità di stabilire misure più restrittive a tutela dell’ambiente, può prevedere che gli scarichi abbiano un contenuto inferiore di sostanze pericolose, ma non misure meno severe per effetto della giurisprudenza europea in materia di tutela dei beni ambientali.

In altre parole, la maggiore autonomia di cui all’art. 116, Cost. con riferimento alle lett. l), n) ed s) dell’art. 117, secondo comma, Cost. non significa praticamente nulla e, soprattutto, non comporta un aumento dei trasferimenti da parte dello Stato che sono collegati alle funzioni amministrative esercitate dalle regioni e non ai titoli astratti di competenza legislativa.

2.2 – Non è diverso se si guarda all’art. 117, terzo comma, Cost. che individua le materie in cui spetta alla legge dello Stato definire i principi generali e alle regioni decidere la normativa di dettaglio.

Si tratta:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
  • commercio con l’estero;
  • tutela e sicurezza del lavoro;
  • istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni;
  • ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  • tutela della salute;
  • alimentazione;
  • ordinamento sportivo;
  • protezione civile;
  • governo del territorio;
  • porti e aeroporti civili;
  • grandi reti di trasporto e di navigazione;
  • ordinamento della comunicazione;
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
  • previdenza complementare e integrativa;
  • coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  • valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  • casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
  • enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

In tutti questi casi, chiedere maggiore autonomia senza stabilire in che cosa consiste la maggiore autonomia che si chiede non significa nulla.

Ad esempio, in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia che cosa può chiedere una regione? Una diversa regolamentazione delle interconnessioni attive o una diversa disciplina dell’autorizzazione alla realizzazione di impianti fotovoltaici o una disciplina speciale per le concessioni ad uso idroelettrico? Sono tre cose diverse e se non si sa che cosa si chiede è molto difficile sapere se è opportuno chiederlo.

Differenziare il regionalismo

3 – I margini di differenziazione sono molto diversi fra le materie in cui è ammesso il regionalismo differenziato ai sensi di 116 e 117, secondo comma e quelle in cui questa facoltà è ammessa da 116 e 117, terzo comma.

Nel primo caso, non vi sono sostanzialmente margini per una maggiore autonomia, se non su un piano marginale.

Nel secondo caso, vi è la possibilità di concedere maggiore autonomia ma questa possibilità dipende dalle concrete richieste di una regione che intende adattare alla propria identità sociale e consistenza geografica una determinata competenza.

Non stabilire che cosa si chiede rende il referendum vuoto e, perciò, pericoloso.

Fermo il 119

4 – In nessun caso il regionalismo differenziato può modificare le modalità di ripartizione delle risorse fra Stato e autonomie previsto dall’art. 119, Cost.

Il modello dell’art. 119, Cost. non è generoso con le autonomie regionali perché fissa il principio per cui ciascuna regione è titolare delle risorse necessarie per lo svolgimento delle proprie attribuzioni e non di una parte delle risorse che sono prodotte da quelle regioni.

Questo principio genera inevitabilmente il cd. residuo fiscale, ovvero la differenza fra quanto una regione produce di gettito fiscale e quanto riceve dallo Stato.

Il significato vero del referendum Lombardo si legge nella deliberazione di Consiglio regionale 13 giugno 2017, n. X/1531, che è una mozione che impegna la Giunta regionale e per essa il suo presidente:

  • a istituire un Tavolo tecnico allo scopo di individuare il costo unitario e il costo complessivo dei
    servizi di fronte al pacchetto di materie negoziabili ex artt. 116 e 117 Cost., nell’ambito della
    trattativa con il Governo successiva al referendum;
  • a svolgere la trattativa successiva al referendum possibilmente insieme al Governatore del
    Veneto, Luca Zaia, impegnato in un analogo percorso referendario, con il deliberato obiettivo di
    rafforzare la forza d’impatto nella trattativa interistituzionale con il Governo, che si troverebbe di
    fronte i rappresentanti di oltre 15 milioni di abitanti, circa 80 miliardi di euro di residuo fiscale e
    circa il 35 per cento del PIL del Paese;
  • a convocare un Tavolo, dopo lo svolgimento del referendum, in seno alla Conferenza StatoRegioni
    e in accordo con il Governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, composto da tutte
    quelle Regioni che vantano un credito annuale nei confronti dello Stato centrale e che guidano la
    graduatoria del residuo fiscale, per costituire un “Fronte del Residuo Fiscale” e favorire il
    percorso ex art. 116, c. 3, Cost. anche per le altre Regioni virtuose;
  • a negoziare, all’indomani dell’esito positivo del referendum, contestualmente alle nuove
    competenze e alle risorse relative, anche l’autonomia fiscale così come riconosciuta alle Regioni a
    Statuto speciale, nel cui ambito sarebbe inserita la Lombardia all’indomani della conclusione
    positiva della trattativa con il Governo, applicando il sacrosanto principio, ormai non più
    trascurabile, che le risorse rimangano sui territori che le hanno generate.”

In altre parole, il referendum lombardo serve ad attivare una trattativa con lo Stato centrale in cui la maggiore autonomia di cui all’art. 116 maschera una richiesta di modifica dell’art. 119, Cost.

Un conflitto di attribuzioni mancato

5 – Si è ricordato che per la Corte costituzionale (118/2015), il referendum lombardo – veneto è ammissibile perché si svolte nell’ambito di quanto non vietato dall’art. 116.

Si è visto che il Consiglio regionale della Lombardia ha chiarito con una propria mozione che il significato del referendum è una richiesta di intervento che riguarda 119, Cost.

Il Governo avrebbe dovuto reagire severamente alla mozione approvata dal Consiglio regionale il 13 giugno 2017, proponendo un conflitto di attribuzioni e facendo valere il precedente della Corte costituzionale.

Non lo ha fatto e il suo silenzio merita di essere considerato colpevole.

Univocità referendaria e voto finale: intorno a un equivoco

in profstanco / by Gian Luca Conti
12/11/2016

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Uno dei maggiori equivoci intorno al voto del 4 dicembre riguarda il suo significato.

Si dice che non è giusto chiamare il popolo ad esprimersi su di una riforma che riguarda un numero importante di articoli della Costituzione perché il cittadino elettore potrebbe essere d’accordo su alcune di queste modifiche e contrario ad altre, con la conseguenza che chi vorrebbe dire Si alla modifica del Senato e No alla clausola di supremazia per le leggi statali è costretto ad accettare un compromesso.

Si dice che questo compromesso non è coerente con la logica referendaria che impone un quesito rispetto al quale sia possibile una risposta univoca: Si o No, senza Se e senza Ma.

Si ricorda la giurisprudenza costituzionale sull’art. 75, Cost. e, in particolare, il suo sviluppo a partire da Corte cost. 16/78.

Sono affermazioni acutamente strumentali.

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Applicare l’Italicum alle elezioni amministrative di Roma e Torino

in Senza categoria / by Gian Luca Conti
20/06/2016

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Anche in queste elezioni amministrative, la capacità propulsiva del Movimento 5 Stelle al secondo turno è formidabile.

Difficilmente, il Movimento 5 Stelle riesce a vincere al primo turno ma se riesce a ottenere il ballottaggio ha la forza elettorale di un terremoto per gli altri partiti.

Il ragionamento politico sembra abbastanza semplice: la politica del dopo Prima Repubblica si è fortemente orientata su schieramenti contrapposti. Il centro destra di Berlusconi e il centro sinistra di Prodi, Bersani, Renzi. Difficilmente l’elettore di uno dei due schieramenti accetta di votare per l’altro schieramento e, in caso di ballottaggio, vota per il Movimento 5 Stelle che è comunque “contro”. Read more →

Che cosa è un diritto fondamentale (Cassino, 10-11 giugno 2016)?

in Senza categoria / by Gian Luca Conti
11/06/2016

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I diritti fondamentali vivono in due diverse dimensioni. Da una parte, sono diritti all’autonomia, pretese alla non interferenza nell’autonomia dell’individuo. Dall’altra parte, sono strumenti con cui lo Stato concorre allo sviluppo della personalità dell’individuo. Gli uni si declinano negativamente, gli altri si realizzano positivamente. O meglio consistono di prestazioni e interventi in cui la persona non è autosufficiente.

Forse questa, semplificando molto, è la distanza fra la dimensione negativa e la dimensione positiva dei diritti fondamentali: nella dimensione negativa, ciascuno ha bisogno solo di essere lasciato in pace perché la sua felicità – la realizzazione della sua persona – dipende solo da lui. Nella dimensione positiva, invece, l’individuo non è autosufficiente e ha bisogno di essere aiutato per realizzare la sua persona.

La libertà di domicilio vive della dimensione negativa perché la sua garanzia consiste solamente del consentire a ogni individuo di proiettare la propria personalità nello spazio senza subire il condizionamento della soggezione a possibili e improvvise intrusioni.

Il diritto alla salute vive della dimensione positiva perché la pretesa dell’individuo è il soccorso dello Stato per fare fronte a uno stato di bisogno: la malattia.

Le due dimensioni però sono strettamente collegate perché tutte le situazioni soggettive che si sono tradizionalmente considerate come libertà negative, in realtà diventano effettive solo nella misura in cui l’individuo non considera lo Stato come il gendarme della sua autosufficienza e lo Stato cerca di costruire il contesto dell’autosufficienza individuale perché la stessa sia effettivamente il luogo di realizzazione dell’individuo come persona.

Lo stesso ragionamento vale anche per le libertà positive: il bisogno del soccorso statale dialoga con il principio di autodeterminazione individuale ed è asservito a questo. Si ha diritto alle cure che si sono chieste, non a quelle che si ha paura di ricevere. Si ha diritto all’istruzione che genera cittadini consapevoli dei propri diritti, non a quella che trasforma i bambini in balilla di un futuro strano.

La matrice unitaria delle due dimensioni discende forse dal fatto che la Costituzione è una e che ha un senso solo se viene attuata nel suo complesso, traducendo i valori normativi che porta in direzioni di senso per la realtà in cui vive.

E’ bello parlare così, è anche confortante.

Ma è un ragionare d’altri tempi, perché il ragionare dell’oggi ha a che fare con una realtà che è completamente cambiata dal 1948. Allora i proprietari della realtà, coloro che possono condizionare in qualche modo le libertà – positive e negative – degli individui erano sottoposti al controllo della sovranità statale e quindi all’autorità dei valori costituzionali. Oggi, i proprietari della realtà in cui vivono i cittadini globali e in cui vivono le libertà individuali dei cittadini globali – i signori della rete – sfuggono alla sovranità dei singoli Stati, esistono in un ordinamento che assomiglia molto a quello del mare, quando il mare era mare aperto e l’unico diritto era quello dei corsari.

Di fronte a questi signori, che operano come antichi feudatari, ciascuno pressocchè assolutamente sovrano nell’ambito della propria contea, gli Stati assomigliano alla dissoluzione dell’impero romano e i diritti fondamentali, forse, più che dei ragionamenti dei discorsi di giuristi del ventesimo secolo, hanno bisogno delle lotte dei cittadini del XXI secolo.

La doppia dimensione dei diritti fondamentali

Alcibiade vota al referendum costituzionale?

in profstanco / by Gian Luca Conti
07/06/2016

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La democrazia degli ateniesi è finita con Alcibiade, che, forse, non fu propriamente un despota accecato dalla fame di ricchezza. Alcibiade apparteneva a una delle più importanti famiglie ateniesi, quella degli Alcmeonidi, uno dei suoi antenati era il legislatore Clistene, che aveva scritto la Costituzione Ateniese del VI secolo. Read more →

Le ragioni del NI: il gregge referendario

in profstanco / by Gian Luca Conti
17/05/2016

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La democrazia è anche una questione ovina se il problema è – correttamente – fare in modo che un gregge diventi popolo e il gregge resta gregge se le occasioni di partecipare alla dimensione politica non valgono il suo tempo sia nel senso che è necessario troppo tempo per comprendere gli estremi della questione su cui viene interpellato ad referendum sia nel senso che il tempo che impiega per esercitare il proprio diritto politico è sproporzionato rispetto agli effetti che il cittadino ritiene possano derivare dalla sua manifestazione di volontà. Read more →

Le ragioni del “NI”

in News / by Gian Luca Conti
10/05/2016

Il ministro per i rapporti con il Parlamento dice che chi è contro la riforma della Costituzione proposta dal Governo esprime una posizione identica a quella dei Fratelli d’Italia.

Sarebbe facile rispondere che anche Mussolini prima di diventare fascista è stato socialista e che non per questo essere socialisti – soprattutto allora – è sbagliato.

In ogni caso, la riforma della Costituzione merita una riflessione seria e più pacata di quella che si legge sia da parte di chi ne è l’entusiasta promotore che da parte di chi fanaticamente l’avversa. Read more →

La crisi del Parlamento nelle regole sulla percezione del potere

in News / by Gian Luca Conti
18/01/2016

PRA 2015: Libertà religiosa e libertà di espressione in tempi di crisi

Seminario: La crisi del Parlamento nelle regole sulla percezione del potere – Venerdì, 5 febbraio 2016, ore 9.30 – Pisa, Palazzo alla Giornata, Sala dei Cherubini, Lungarno Pacinotti 43

Mattino: 9.30 Saluti del Direttore. Presentazione del seminario: F. Dal Canto, GL Conti.

10.00 I Sessione, presiede Emanuele Rossi

1) Alcune tendenze della rappresentanza politica nei parlamenti contemporanei (Nicola Lupo, professore di diritto delle assemblee elettive nella Luiss di Roma)

2) Il Parlamento nei suoi canali di comunicazione formali : la governance dei resoconti, del processo verbale, e del cerimoniale (Luigi Ciaurro, Direttore del Servizio prerogative, immunità e contenzioso del Senato della Repubblica)

3) La comunicazione informale del Parlamento fra vecchi e nuovi modelli: il giornalismo parlamentare, il sito internet del Parlamento, i diversi profili della proiezione del Parlamento nella rete (Giorgio Giovannetti, giornalista parlamentare)

4) Le regole sulla percezione del Parlamento del Parlamento e delle sue articolazioni (le assemblee, i Presidenti, le commissioni permanenti, i gruppi parlamentari, l’ufficio parlamentare di bilancio ecc) e gli organi che la gestiscono (Giovanni Rizzoni, Consigliere capo del Servizio relazioni internazionali della Camera dei deputati)

Pomeriggio: 14.30 II Sessione Presiede e conclude Paolo Caretti

5) Dall’architettura alla ux (user experience) del potere. I tools delle democrazie nell’età delle reti: Paolo Barberis (consigliere per l’innovazione del Presidente del Consiglio dei ministri) e Giuseppe Mincolelli (professore di disegno industriale presso il Dipartimento di architettura dell’università di Ferrara)

6) Le altre istituzioni: i mutamenti della Corte nel lavoro sulla sua percezione (le conferenze stampa, i seminari di studio, il sito internet) – Paolo Passaglia (Professore di diritto pubblico comparato nel Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa)

Interventi programmati: E. Albanesi, Divulgazione legislativa e layered approach nella struttura della legge; C. Bertolini, Percepire il Parlamento / riformare la pubblica amministrazione; F. Biondi Dal Monte, Il voto dei parlamentari tra forme di pubblicità e accountability; L. Buffoni, La (auto) rappresentazione dei rappresentanti: dall’aporia della rappresentanza non si esce; C. Bertolini, [tema da definire]; E. Longo, L’impatto di internet sul Parlamento dal punto di vista della funzione legislativa: problemi di comunicazione o di disseminazione?; Marco Lunardelli, La segretezza nel congresso degli Stati Uniti;  B. Malaisi, La percezione del Parlamento attraverso la conoscibilità del suo atto per eccellenza: la legge; Pietro Milazzo, Il Parlamento come pubblica amministrazione? Percorsi della trasparenza come valore democratico nel luogo della rappresentanza politica; Giuseppe Mobilio, Le commissioni parlamentari di inchiesta nell’epoca dei nuovi canali di pubblicazione e informazione; F. Pacini, La legge come strumento di comunicazione: brevi riflessioni dal caso della riforma (“a rate”) della sanità toscana; Massimo Rubechi, I pro e i contro dell’aumento della trasparenza dei lavori nelle commissioni permanenti

Maggioranze disproporzionali e aporie marine

in profstanco / by Gian Luca Conti
30/10/2015

1 – Le dimissioni di Marino da Sindaco e il successivo ritiro delle stesse consentono alcuni appunti sul sistema elettorale degli enti locali e sul modo in cui lo stesso concorre a definire la democrazia locale.

Il punto di partenza di questi appunti è che quando il Sindaco si dimette la clausola simul stabunt simul cadent che determina le contemporanee dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio si giustifica per effetto del premio di maggioranza e della disproporzionalità che lo stesso determina.

Il passaggio successivo del ragionamento si concentra sulle ragioni che giustificano a una maggioranza disproporzionale di revocare la propria fiducia al Sindaco e di determinare nuove elezioni. In questo caso, si vedrà che la disproporzionalità è solo apparente.

L’ultimo passaggio del discorso riguarda la legittimazione della maggioranza disproporzionale a determinare una nuova elezione per mezzo delle contemporanee dimissioni della maggioranza assoluta dei consiglieri comunali. In questo caso, si vedrà che la disproporzionalità è effettiva.

Il completamento del discorso consente di interrogarsi sul rispetto nel sistema che regola le elezioni locali dei principi costituzionali in materia di democrazia elettorale, così come gli stessi sono stati fissati da Corte cost. 1/2014. Read more →

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