Le nuove autonomie di Veneto e Lombardia dopo il referendum
Sono passati ormai cinque mesi da quando i cittadini di Veneto e Lombardia hanno dato il proprio via libera ai negoziati tra la Regione e il governo per ottenere nuove forme di autonomia. La norma costituzionale posta a base dell’iniziativa è il terzo comma dell’art. 116, dove si stabilisce che: “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. La disposizione era stata richiamata dal quesito lombardo, mentre non ve n’era traccia in quello veneto: una circostanza questa che, insieme ad alcune dichiarazioni del governatore Luca Zaia, aveva fatto nascere il sospetto che, la Regione, almeno nelle intenzioni, volesse spingersi ben aldilà di quanto stabilito dalla Carta.
Di certo c’è che il Veneto ha attribuito maggior importanza, non solo politica, al referendum dello scorso 22 ottobre di quanto abbia fatto la Lombardia. Lo si nota anche da due particolari: uno è l’istituzione, nel sito della Regione, di un portale dove sono raccolte tutte le notizie dei media, le leggi regionali, le delibere di Giunta e Consiglio e altri documenti riguardanti il procedimento; l’altro, di carattere più istituzionale, è il fatto che il giorno dopo il voto la Giunta regionale ha immediatamente deliberato l’avvio della procedura e preso i primi provvedimenti. Tra questi rientra la creazione di una “Consulta del Veneto per l’autonomia, organismo permanente composto dalle rappresentanze regionali delle Autonomie locali (ANCI-UPI-UNCEM), delle categorie economiche e produttive del territorio, delle forze sindacali e del Terzo Settore, dal mondo dell’Università e della Ricerca, nonché da altri organismi espressione di interessi diffusi a livello regionale in modo da garantirne la più ampia rappresentatività”. Tale Consulta dovrà affiancare una delegazione trattante, che verrà nominata successivamente. La Lombardia non ha alcuna delibera corrispondente.
La tempestività del provvedimento e la ricerca del più ampio coinvolgimento della comunità segnalano l’importanza di questo processo per la Regione e per i suoi cittadini.
Le due Regioni (e insieme a loro anche l’Emilia Romagna, che già da prima aveva iniziato un suo percorso verso l’autonomia) hanno siglato a Roma, alla fine di febbraio, un Accordo preliminare con il Governo italiano. Sarebbe superfluo in questa sede ripercorrere le tappe che hanno portato a questa firma. Molto più interessante è vedere che cosa prevedono i testi, che sono identici per tutt’e tre le Regioni (a cambiare come vedremo sono gli allegati, e solo in parte). La prima disposizione interessante è quella dell’art 2, che prevede una durata prestabilita dell’Intesa (dieci anni). Durante questo tempo Stato e Regione hanno la possibilità di modificarla di comune accordo qualora “si verifichino condizioni di fatto o di diritto che ne giustifichino la revisione”. Il secondo comma poi stabilisce che “due anni prima della scadenza dell’Intesa, Stato e Regione avviano la verifica dei risultati fino a quel momento raggiunti, al fine di procedere al rinnovo, all’eventuale rinegoziazione o alla cessazione definitiva dell’Intesa”. Tale novità sembra positiva: oltre alla possibilità di correggere eventuali errori tecnici o sostanziali, consente anche di adattare l’accordo alle necessità contingenti, che portano ora ad accentrare il potere ora a devolverlo alle Regioni.
Ai sensi dell’art. 6 le materie oggetto delle Intese sono quelle previste dagli allegati, “parte integrante e sostanziale del medesimo accordo”: si tratta di istruzione, salute, politiche sul lavoro e della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, con una aggiunta finale sui rapporti con l’Unione Europea. A eccezione della tutela dell’ambiente, che rientra tra le competenze esclusive statali, articolo 117 comma 2 lettera s), le altre materie rientrano tutte nella competenza concorrente (terzo comma del medesimo articolo).
Per quanto riguarda la tutela dell’ambiente,
occorre ricordare che la normativa regionale può apportare norme più severe per la salvaguardia dell’ecosistema (ma neanche tali da compromettere la concorrenza tra le imprese) ma non può in nessun caso derogare in peggio quanto previsto a livello europeo o statale. E infatti gli accordi delle tre Regioni attribuiscono nuove funzioni abbastanza generiche in questa materia. Tra l’altro l’attribuzione più significativa introdotta sia nell’accordo con il Veneto sia in quello con la Lombardia, cioè la facoltà di prendere provvedimenti di prevenzione e ripristino dei siti ambientali, riguarda esplicitamente solo le zone che non sono di interesse nazionale, e restano comunque fermi gli obblighi dell’operatore. In altre parole gli accordi, richiamando gli articoli 304, 305 e 306 del Codice dell’Ambiente (D.lgs 152/06), ammettono che nei soli casi (per la verità abbastanza limitati) in cui un’area non sia di interesse nazionale, Veneto e Lombardia possono sostituirsi all’operatore ambientale, dovendo comunque avvertire il Ministro dell’ambiente. Quest’ultimo poi, nel caso di inerzia, potrebbe comunque esercitare le funzioni di prevenzione e ripristino. Si capisce abbastanza facilmente quanto sia minimo lo spazio d’intervento per le due Regioni.
Anche le altre novità in materia non sembrano poi così rivoluzionarie:
si va infatti dalla gestione dei finanziamenti statali destinati alla bonifica dei siti di interesse (anche questa non libera ma da svolgersi tramite accordi con il Governo), agli “indirizzi agli ambiti territoriali” per la raccolta differenziata, previsti dall’accordo con il Veneto; dalla “sottoscrizione di accordi con altre Regioni per consentire l’ingresso nel proprio territorio dei rifiuti”, non differenziati, destinati agli impianti di smaltimento previsti nel territorio regionale (secondo quanto prevede l’accordo con la Lombardia), all’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento (funzione quest’ultima attribuita al Veneto dall’accordo).
Un po’ più ampie sono le funzioni che si vede attribuite l’Emilia Romagna, con possibilità di programmazione triennale in numerose aree d’intervento in maniera ambientale (ad esempio per gli interventi di difesa del suolo e delle acque). In questo caso per capire la portata di queste novità occorrerà aspettare di vedere come le attività di programmazione saranno effettivamente esercitate.
Possibilità maggiori le offrirebbero le altre materie oggetto dell’Intesa. Trattandosi di materie di competenza concorrente, i margini sono teoricamente più ampi: le materie di cui al terzo comma del 117 sono infatti quelle su cui le Regioni possono maggiormente puntare per accrescere i propri spazi di autonomia, ma perché ciò si realizzi devono porre in modo chiaro e dettagliato le loro richieste. In effetti si deve ammettere che questi pre-accordi sono abbastanza dettagliati, perlomeno per quanto riguarda la tutela della salute. Le tre Regioni avranno maggior autonomia in materia di scuole di specializzazione, di gestione del personale sanitario e nel sistema di governance delle aziende sanitarie, fino a nuove potestà legislative e amministrative in materie di fondi integrativi. In quest’ambito sembrano quindi allargarsi le funzioni dell’ente regionale.
Infine, non molto rilevanti sono le novità in materia di lavoro e istruzione.
L’iter dunque prosegue e sarà interessante vedere se questo accordo preliminare verrà seguito o se sarà del tutto o in parte superato. Certamente, non appena il procedimento si sarà definitivamente concluso, potremo interrogarci sulla riuscita dell’operazione, oltre che sulla sua reale utilità.