Lacune laiche
Tre notizie di questi giorni sono legate da un filo rosso: la commercializzazione della pillola abortiva RU486, che ha suscitato le proteste del Vaticano; la sentenza della Law Lords del 31 luglio 2009 sul caso Debbie Purdy, che ha stabilito che non vi è alcuna ragione di procedere contro un marito che assiste la moglie che – malata incurabile – ha liberamente scelto di morire; con ordinanza iscritta al registro della Corte costituzionale al n. 177/2009, il Tribunale di Venezia ha dubitato della legittimità costituzionale delle norme che vietano il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Tutte queste vicende pongono lo stesso problema: in che misura il diritto, e soprattutto il diritto costituzionale, può intervenire nelle scelte fondamentali di una persona?
Non può farlo per ragioni etiche.
La struttura del diritto è la stessa struttura del linguaggio.
Il diritto è una grammatica che consente il dialogo fra persone che possono avere posizioni etiche molto diverse.
Vi è nel diritto, nelle singole norme che lo compongono, una struttura assiologica che è molto simile al "giudizio" inconsapevole delle norme linguistiche: un giudizio di giustizia che si aggancia al bisogno di comunicare con le altre persone e che parla per consuetudini irrazionali.
Una persona non ha bisogno di riflettere per trovare la giusta consecuzione fra i verbi: i verbi suonano bene o suonano male per ragioni che nella loro esatta formulazione grammatica sono spesso ignorate da chi parla.
Così è delle norme giuridiche.
Quando le norme giuridiche si collegano ad istanze etiche, la proposizione cogente che ne risulta perde questo connotato: diventa un qualcosa che può suonare bene a taluni, ma che suona inevitabilmente male per altri.
In questi casi, si smarrisce la radice naturale di ogni norma: è proibito perché l’esercizio di questa libertà turba il principio di eguaglianza.
Così, nell’aborto, vi sono dele scelte consolidate dalla legge 194 del 1978. La sostanza di queste scelte non cambia a seconda del meccanismo scelto per provocare l’interruzione della gravidanza. La scelta del meccanismo è solo un problema farmacologico e utilizzarla per riaprire il dibattito sulla liceità dell’aborto è solo un artificio retorico.
Intimamente scorretto.
Nel suicidio medicalmente assistito, che è cosa assai diversa dalla interruzione di cure necessarie per il mantenimento in vita, il problema è se lo Stato può costringere a vivere e se ha un interesse a considerare socialmente pericolosa la persona che decide di non poter non accompagnare la propria moglie che ha deciso di porre fine alla propria vita e che non vorrebbe restare sola in quel momento.
Nel matrimonio fra persone dello stesso sesso, il punto, il vero punto, è in che misura due persone che decidono di unirsi in matrimonio, anche se omosessuali, possono essere di pregiudizio per la società? Che cosa leva la consacrazione giuridica nella forma del contratto nuziale del loro affetto agli altri cittadini? Che diritto hanno gli altri cittadini di violare il principio di eguaglianza per ragioni di carattere esclusivamente genetico?
Naturalmente, questa è la sostanza giuridica delle scelte.
La sostanza etica pone interrogativi molto diversi.
Ma quella appartiene a ciascuno.
Non allo Stato.