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Scosso Conte (il meriggiare delle consuetudini costituzionali)

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/02/2021

1 – L’unico esempio ragionevolmente certo di consuetudine costituzionale è stato fino alle dimissioni di Conte dal Governo e dall’incarico a Draghi la prassi delle consultazioni e il ruolo decisivo di gruppi parlamentari e partiti politici nella formazione della compagine di Governo.

Draghi ha mantenuto la prassi delle consultazioni, ma ne ha più che ridotto l’ambito. Servono al Presidente incaricato per verificare la possibilità di raccogliere più gruppi parlamentari intorno ai valori cardine dell’indirizzo politico.

Non servono per trasformare l’indirizzo politico in un mercato di incarichi più o meno significativi ma comunque importanti per giungere al voto di fiducia.

Si può dire che è già accaduto con il Governo Ciampi nel 1993 e un tanto conferma che nelle situazioni di emergenza le consuetudini costituzionali meriggiano.

In questo caso, sarebbe bello se tramontassero e, forse, la rielezione di Mattarella potrebbe favorire questo percorso di riavvicinamento al valore normativo più profondo della fiducia parlamentare, un valore che peraltro non ha avuto neppure al tempo di Cavour.

2 – Conte ha reagito male a questo disegno che mostra in tutto e per tutto la diversità di passo del Presidente incaricato: la crisi del Conte bis è diventata insolvenza in senso tecnico quando ha affrontato le richieste di Renzi sul piano degli incarichi e il suo progetto politico è fallito facendo diventare fluente l’inglese del Senatore toscano.

Il progetto politico di un’alleanza organica fra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico può sopravvivere a questo fallimento?

Potrebbe se diventasse altro da un gioco di poltrone, se diventasse accordo su valori e costruzione di una idea di indirizzo politico capace di saldare le funzioni di Governo e quelle amministrative in una visione chiara e percepibile come tale dall’opinione pubblica del futuro della nazione.

3 – Le cronache di ieri e oggi mostrano un Conte vittima di una classica congiura di palazzo.

Ieri, Conte era dato certo come candidato uninominale designato da PD e M5S a Siena in luogo di Padoan. Certo sino al momento in cui le segreterie regionali e provinciali del PD sono state costrette a far notare che non è elegante che il segretario nazionale decida chi deve rappresentare una collettività locale.

Conte, a quel punto, è stato costretto a rilasciare una dichiarazione all’Ansa, che fa un po’ Unione Sovietica, in cui ha affermato di non sapere nulla della sua candidatura senese, di non averla chiesta e che neppure gli era stata offerta.

Una dichiarazione assai piccata. Di quelle che di solito è meglio evitare, ma l’eleganza non si veste da buttafuori.

La verità è che le voci di palazzo Chigi hanno lasciato trapelare una manifesta ostilità di Conte a Draghi, l’affermazione da parte di Conte di avere oramai il M5S ai suoi piedi e l’intenzione ferma di far fallire l’appoggio a Draghi in Parlamento.

Le risposte sono state due, ben coordinate fra di loro.

Grillo è tornato immediatamente a Roma e ha aggiornato la consultazione su Rousseau.

Zingaretti ha fatto in modo che i suoi caporali facessero saltare la candidatura di Conte nel collegio di Siena.

Il messaggio è chiaro: non c’è spazio per Conte se Conte non accetta lo spazio che gli viene assegnato.

4 – E’ un contesto che, nel breve, mostra tutta la delicatezza del confronto su Rousseau. Conte si gioca tutto in quel frangente. Se la linea governativa dovesse passare, il suo spazio politico sarebbe dannatamente ridotto e rischierebbe di avviarsi verso una damnatio memoriae.

Ma è anche un contesto che mostra tutta la fragilità di un’alleanza organica fra PD e M5S: le alleanze politiche hanno bisogno di valori in comune e, in questo caso, è davvero difficile creare dei punti di intersezione fra due soggetti collettivi che muovono popoli dai tratti assai diversi.

La verità è che Conte ha ragione: se il M5S vuole recuperare il consenso del suo popolo, deve passare alla opposizione. Al Governo dovrebbe sedere con Berlusconi e Draghi, che non a casa si danno del Tu. All’opposizione starebbe con la Meloni che assomiglia a Casalino più di quanto i due non ammetterebbero neanche a Fra Salomone da Lucca, l’inquisitore che faceva parlare i morti.

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