183 costituzionalisti
L’appello dei 183
183 costituzionalisti, fra i quali anche chi scrive, hanno firmato un appello agli elettori contro la riduzione del numero dei parlamentari.
Il senso di questo appello per chi scrive è evitare un grande malinteso: tagliare il numero dei parlamentari non risolverà i problemi della democrazia italian style.
Nello stesso tempo, però, occorre anche ammettere che se il numero dei parlamentari dovesse essere effettivamente ridotto la democrazia rappresentativa italiana non soffrirebbe più di tanto.
Il vero problema, la quadratura del circolo, nel linguaggio di uno dei più attenti studiosi del diritto elettorale (Giovanni Schepis), non riguarda il numero dei parlamentari ma il ruolo del Parlamento nel sistema politico e la soluzione di questo problema sta nella legittimazione del Parlamento dinanzi alla società civile che manca e manca per ragioni storiche almeno a far data dal 1992 e da quel terribile commiato delle istituzioni rappresentative che fu il discorso di Craxi alla Camera del 3 luglio 1992:
nella vita democratica di una nazione non c’è nulla di peggio del vuoto politico
La quadratura di questo circolo non sta sicuramente nel numero dei parlamentari: 630 deputati e 315 senatori vivono lo stesso vuoto politico di 400 deputati e 200 senatori.
Cinque argomenti non troppo convincenti
L’appello che chi scrive ha sottoscritto si fonda su 5 argomenti, nessuno dei quali, però, forse, coglie completamente nel segno.
Per il primo argomento, la riforma svilirebbe il ruolo del Parlamento e ne ridurrebbe la rappresentatività senza offrire alcun vantaggio né sul piano della efficienza né su quello del risparmio dei costi.
Il ruolo del Parlamento è del tutto indipendente dal numero dei suoi componenti e la rappresentatività dei suoi componenti non dipende dal loro numero bensì dal meccanismo di selezione e, più in particolare, dal collegamento fra questo meccanismo di selezione e la società civile.
Qui sta il vuoto politico di cui parlava Craxi 38 anni fa, un vuoto politico che non si è riusciti in alcun modo a colmare.
Per il secondo argomento, la riforma presupporrebbe che la rappresentanza nazionale possa essere assorbita dalla rappresentanza di altri organi elettivi (Parlamento europeo, consigli regionali e consigli comunali).
Ad avviso di chi scrive, il collegamento fra l’assorbimento della rappresentanza nazionale nella rappresentanza di altri organi elettivi e la riduzione del numero dei parlamentari non è particolarmente evidente.
La nostra Costituzione elettorale si fonda su un complesso insieme di organi elettivi (Parlamento, Parlamento europeo, consigli regionali, consigli comunali), ciascuno caratterizzato da un diverso sistema elettorale e ciascuno dei quali si rinnova indipendentemente dagli altri in funzione solo della propria durata.
Un tanto fa sì che ciascun organo elettivo sia costantemente messo alla prova da una diversa elezione che riguarda gli stessi cittadini che hanno deciso la sua composizione.
E’ un tratto caratterizzante la democrazia italian style, un modo di interpretare l’art. 1 della Costituzione nel suo combinarsi con gli artt. 56 e 57 e, probabilmente, vi è una implicita saggezza del modello.
Il terzo argomento afferma che la riduzione del numero dei parlamentari riduce in maniera sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di interi territori.
Questo, però, non dipende dalla riduzione del numero dei parlamentari ma dalla spregiudicatamente rapida approvazione di una legge elettorale (la legge 51/2019) che, operando su di un piano esclusivamente aritmetico, ha semplicemente adeguato l’attuale sistema elettorale al diverso numero dei seggi da eleggere.
In realtà, la legge 51/2019 è molto probabilmente illogica e irragionevole, non foss’altro perché crea una irragionevole disparità fra i territori, o meglio: ne pone le premesse, ma soprattutto perché mischia in maniera assolutamente casuale i rapporti fra eletti con metodo proporzionale ed eletti con metodo maggioritario nei diversi territori, creando un sistema elettorale che si modifica a seconda del territorio in cui si applica distorcendo la rappresentanza.
Ma anche questo non dipende dal numero dei parlamentari. Il numero dei parlamentari invece ha un forte effetto su quello che si può definire come il valore marginale della rappresentanza politica perché, soprattutto in un sistema sostanzialmente proporzionale con una correzione in senso maggioritario che rischia di essere casuale e perciò schizofrenica, 1/200 è molto diverso da 1/315, il che aumenta a dismisura il rischio di una deriva in senso trasformistico del sistema, come Celotto ha sottolineato con acutezza e acume.
Il quarto argomento è che la riforma aggraverebbe i problemi del bicameralismo perfetto. I problemi del bicameralismo perfetto (due camere che ripetono le stesse identiche funzioni e perciò degenerano in un monocameralismo di fatto, come ha dimostrato Erik Longo, in un saggio di cui è difficile dire male) non dipendono dal numero dei parlamentari ma dal numero delle Camere, come è evidente. Il numero dei parlamentari, al contrario, potrebbe sollecitare delle riforme che potrebbero migliorare il funzionamento del bicameralismo attraverso la istituzione di organismi bicamerali.
Il quinto argomento è che la riforma sarebbe ispirata da una logica punitiva nei confronti dei parlamentari confondendo la qualità dei rappresentanti con il ruolo stesso della funzione rappresentativa ed è un argomento molto sottile ma anche profondamente ambivalente. Infatti ci si dovrebbe chiedere se il Parlamento del vuoto politico meriti di svolgere la funzione rappresentativa che la Costituzione gli assegna e temo che gran parte degli elettori risponderebbero come chi scrive a questa domanda.
Due argomenti sostanziali
Se nessuno degli argomenti dell’appello che chi scrive ha sottoscritto lo convincono allora perché aderirvi pubblicamente anziché continuare a scrivere, sempre più sporadicamente, su queste pagine?
Per due ragioni che, forse, l’appello non ha valorizzato come avrebbe potuto.
La prima è di carattere storico: la nostra democrazia si è fondata a lungo su di una conventio ad excludendum. La conseguenza del blocco nei confronti del partito comunista e del progressivo indebolimento della democrazia cristiana meravigliosamente illustrato da Follini, è stata la concentrazione della dialettica politica sulle nomine anziché sugli orizzonti ideologici, una concentrazione che non ha impedito movimenti di grande respiro come il compromesso storico, la solidarietà nazionale, l’Ulivo e, in un certo senso, anche la Forza Italia raccontata da Cicchitto ma che ha portato il paese sempre più lontano dalla politica e dai suoi orizzonti ideali.
Se si vuole restituire dignità al Parlamento, è necessario ritrovare una dialettica politica composta di orizzonti ideali e capace di trovare in Parlamento punti di incontro alti.
La riforma aumentando il valore marginale del singolo parlamentare e, nello stesso tempo, ignorando il problema dei suoi cleavage politici e ideali, ma anche più banalmente territoriali, conduce potenzialmente a governi che si creano in Parlamento cercando il dialogo direttamente con i singoli parlamentari ai quali si potrà ben promettere qualcosa per ottenere il loro voto e, se del caso, un cambio di casacca.
E’ il modello della italietta di Giolitti che generò talmente tanta nausea nel paese da concorrere alla disgrazia fascista.
Sotto questo aspetto, a convinto avviso di chi scrive, la riforma ha una vocazione maggioritaria, magari secondo il modello attualmente in vigore per i Comuni con una popolazione superiore a 15.000 abitanti piuttosto che secondo il modello del cd. Mattarellum, ma sicuramente maggioritaria perché la nostra democrazia difficilmente potrebbe tollerare l’instabilità politica collegata alla riduzione del numero dei parlamentari e alla loro designazione con il cd. Rosatellum pasticciato da Perilli.
La seconda ragione è che il referendum costituzionale pone ai cittadini una domanda solo in apparenza semplice e che suona più o meno se preferiscono le patate fritte con l’olio di semi o con l’olio di ricino.
Nella realtà, la riduzione del numero dei parlamentari ha un necessario seguito sia a livello di legislazione elettorale, per le ragioni che si sono viste e che per ora non sembrano adeguatamente considerate dalla commissione affari costituzionali della Camera, sia a livello di regolamenti parlamentari.
Non basta dire che si riducono i parlamentari se non ci si ferma a ragionare su come le Camere potranno concretamente lavorare, come saranno programmati i loro lavori, come saranno articolate in gruppi e commissioni permanenti, come si cercherà di rimediare al monocameralismo di fatto che ha da tempo sostituito il bicameralismo perfetto, come si computeranno missioni e congedi per assicurare il numero legale, etc.
Si tratta, insomma, di una riforma che potrà cogliere nel segno solo se le forze politiche vi daranno un adeguato seguito e ci si deve chiedere è ragionevole chiedere se si preferiscono le patate fritte con l’olio di semi o con l’olio di ricino senza aggiungere che comunque ci si è dimenticati sia di comprare le patate che di lavare la padella.
Referendum e mestiere del costituzionalista
Il referendum costituzionale del 20 – 21 settembre è un referendum disonesto perché prende in giro i cittadini sul significato del loro voto.
Forse era questo che come costituzionalisti avremmo dovuto spiegare, senza scendere nel merito della questione: sono i cittadini che devono scegliere che cosa preferiscono, ma segnalando che la domanda era posta male perché elude furbescamente le questioni reali.
Su questo saremmo stati, forse, più forti perché quando un costituzionalista scende in politica, e tutti siamo tentati di farlo prima o poi, la sua scienza perde di valore per chi lo ascolta.