Il forno del cocomero
Dove eravamo rimasti?
Mentre il Presidente della repubblica sta ricevendo la Presidente del Senato, qualche piccola osservazione sulla evoluzione della crisi di Ferragosto, la crisi del cocomero, diventa inevitabile per una coscienza costituzionalmente irrequieta.
La crisi del cocomero è nata dalla irrequieta volontà di potere del ministro degli interni che ha chiesto pieni poteri e si è ridotto a twittare “Onore e libertà valgono più di 1.000 ministeri. Non si molla mai”.
Il Presidente del Consiglio, in Parlamento, con il discorso del cocomero ha solennemente dileggiato il ministro degli interni davanti all’intero paese, con uno share da partita della nazionale.
Sono iniziate le consultazioni e il capo politico del M5S è sembrato aprirsi ad un accordo con il PD, anche se lo ha fatto in termini talmente ondivaghi da suscitare un certo nervosismo nel Quirinale.
Dove siamo
Nel corso del finesettimana, il leit motiv del M5S è stato gestito da Di Battista, secondo lo schema del potere contrattuale. Il M5S avrebbe conseguito un enorme potere contrattuale perché senza di lui non sarebbe possibile nessuna maggioranza.
Sul piano tattico e a una prima lettura, si è trattata di un’affermazione che ha lasciato perplessi: chi ha potere contrattuale, di solito, non lo dice per evitare di perderlo. Ma questa è una questione di buongusto. La questione di sostanza è che un potere contrattuale fondato sulla propria indispensabilità per proseguire la legislatura non conta molto se tutti sono consapevoli che una fine anticipata della legislatura sarebbe tragica prima di tutto per chi afferma di essere indispensabile.
E’ come un marito che dice alla moglie Se io voglio, divorzio, dimenticando che il divorzio lo lascia senza casa e con lo stipendio dimezzato dagli alimenti che deve alla numerosa famiglia. La moglie potrebbe anche lasciarlo andare per la sua strada e al marito non resterebbe che fare il ritornante sperando che nel frattempo la moglie non abbia trovato qualcuno di più simpatico e, soprattutto, meno idiota.
A Salvini è andata esattamente in questi termini e, a prima vista, la mossa di Di Battista sembrava spericolatamente indirizzata nella stessa direzione: un proclama strafottente, onirico e irrealizzabile che si trasforma in un boomerang.
Di Maio, però, ha compreso l’essenza della posizione di Di Battista e l’ha trasformata con un realismo politico davvero fuori del comune.
Dove stiamo andando
La strategia del Conte premier a ogni costo, quella strategia per cui ogni accordo con il PD di Zingaretti e Renzi è comunque condizionata al fatto che il Presidente del Consiglio dei Ministri resti Conte, infatti, diventa comprensibile se si pensa che Conte è stato capace di essere il premier dell’alleanza fra Lega e M5S, un’alleanza che sarebbe stata impossibile se i due partiti fossero stati fedeli alle proprie campagne elettorali, e, adesso, potrebbe essere il garante di un’alleanza fra PD e M5S, che è altrettanto innaturale ed è resa ancora più innaturale dalla esperienza curriculare del suo garante.
Questo, forse, è il punto.
Conte sembra uno dei pochi uomini nel nostro paese capace di guidare con altrettanto imperscrutabile aplomb due alleanze così diverse. Capace di difendere il decreto sicurezza e la politica dei porti chiusi per quattordici mesi e cambiare completamente rotta subito dopo. Non è una impresa semplice. Assomiglia a quelle persone che si accorgono di essere diversamente orientate dopo essersi sposate e avere formato una famiglia ma senza quell’imbarazzato travaglio.
Se è così, la fissazione di Di Maio per Conte, la strana perla dell’ultimo governo, diventa una posizione molto più razionale di quello che può sembrare all’esterno perché rappresenta la definitiva estremizzazione della strategia enunciata da Di Battista.
Fare un governo con un Presidente del Consiglio dei Ministri così abile da avere guidato fino a pochi giorni prima un governo di orientamento esattamente opposto e contrario è accettare l’idea che la propria posizione sia quella di chi sta sostituendo precariamente chi lo ha preceduto e che potrebbe essere sostituito con altrettanta facilità.
La consacrazione del potere contrattuale del M5S, però, potrebbe non essere una scelta vincente né sul piano strategico né su quello tattico. Di sicuro, non lo è sul piano costituzionale perché sposta completamente la tensione dell’accordo di governo e della fiducia sul mercato delle nomine e dei ministeri. Esattamente il contrario di quello che si potrebbe sperare se si cerca una politica seria.