Impeachment, Alto Tradimento, Conflitti interorganici e Appeasement
1 – Si scrive impeachment ma si legge alto tradimento o attentato alla Costituzione.
Per le forze politiche che avevano costruito il contratto di governo, il rifiuto del Capo dello Stato di nominare il ministro dell’economia proposto dal Presidente del Consiglio incaricato costituisce un alto tradimento o un attentato alla Costituzione: i reati propri del Presidente della Repubblica che ne consentono la messa in stato d’accusa.
Per le altre forze politiche, fermo il rammarico di non aver potuto vedere il contratto di governo alla prova del governo, il Presidente della Repubblica avrebbe perfettamente applicato la Costituzione, esercitando le proprie prerogative che comprenderebbero il veto sui ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato.
A Firenze, un folto gruppo di costituzionalisti, che comprendono anche molti dei maestri di chi scrive, ha sottoscritto un documento in cui, fra l’altro, si legge che il potere di nomina dei ministri richiede il concorso del Presidente del Consiglio incaricato, ma che qualora questo concorso non si realizzi spetta al Capo dello Stato, che se ne assume la piena responsabilità, l’ultima parola.
Sono opposti punti di vista, politici e costituzionali, che meritano di essere vagliati con una premessa di metodo: il compito del costituzionalista è studiare la Costituzione formale, la Costituzione per come è scritta, per comprendere la Costituzione materiale, la Costituzione per come opera nel concreto svilupparsi delle dinamiche economiche, politiche e sociali, cercando il giusto equilibrio fra le due.
Nel dialogo fra “black letter law” e “law in action”, il costituzionalista non deve affermare la prevalenza della prima sulla seconda perché altrimenti la Costituzione sarebbe norma morta, né può lasciarsi ammaliare dal fascino della seconda e perdere di vista il testo costituzionale, perché altrimenti la Costituzione sarebbe un libro dei sogni.
Deve cercare di conciliare Costituzione formale e Costituzione materiale, trovare l’equilibrio fra queste due realtà, senza pensare che l’una possa vivere senza l’altra e consapevoli che l’ultima parola in questo compito spetta alla Corte costituzionale.
Sulla base di queste premesse, si può guardare con serenità alla cronaca di questi giorni, senza pronunciare né un aprioristico Io sto con Mattarella, né darsi a un’altrettanto irragionevole chiamata delle piazze all’impeachment.
2 – Il documento dei costituzionalisti fiorentini, forse e malgrado la loro autorevolezza, non può essere considerata immune da critiche.
Si potrebbe ricordare che il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato è titolare di un organo costituzionale a se stante, sebbene transitorio, perché la scelta dell’incaricato e gli atti che questo pone in essere in collaborazione con il Capo dello Stato condizionano la formazione del governo.
Si deve aggiungere che i tre principi che giustificano l’incarico, e quindi definiscono i limiti e i compiti che spettano all’incaricato e le attribuzioni del Capo dello Stato, sono l’unità del Consiglio dei Ministri, la continuità del governo e il rapporto fiduciario fra il governo nel suo complesso e la maggioranza politica di entrambi i rami del Parlamento. Questi principi giustificano il conferimento di un incarico a chi dovrà essere (ma ancora non è) il Presidente del Consiglio come espediente consuetudinario per consentire l’esistenza contemporanea di due compagini governative, quella uscente perché priva del rapporto di fiducia e quella che non si è ancora formata perché non ha mai ricevuto la fiducia del Parlamento.
In questa fase, il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato deve compiere tutti gli atti necessari per far sì che il governo possa nascere nella sua interezza e quindi deve predisporre la lista dei ministri e il programma di governo sui quali chiederà la fiducia del Parlamento.
Dai tempi della presidenza Gronchi (1955 – 1962), il tema più delicato riguarda il rapporto fra il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato e la pretesa del Capo dello Stato di esercitare un potere di veto nella nomina dei ministri, depennando d’autorità coloro che non ritiene idonei a ricoprire il ruolo loro affidato.
Scrive Paladin, nel suo manuale di diritto costituzionale, di cui si è seguito sinora il pensiero: “l’idea che il Presidente del Consiglio incaricato rappresenti un semplice soggetto privato, strumentalizzabile dal Capo dello Stato non è stata condivisa dai successivi Presidenti [i Presidenti successivi a Gronchi] e non ha avuto molta fortuna né in sede politica né in sede dottrinale, neppure durante il settennato di Gronchi. Presentemente anzi può essere considerato pacifico che il Presidente della Repubblica non sia responsabile né del risultato finale che si determina con la votazione di fiducia da parte delle Camere, né della composizione della compagine ministeriale o della definizione del programma di governo” (L. Paladin, Diritto costituzionale, III ed., Padova, 1998, part. 387).
L’argomento decisivo in questo senso è l’art. 95, primo comma, Cost. per il quale il Presidente del Consiglio è responsabile sia per la determinazione che per l’attuazione dell’indirizzo politico governativo e questo non potrebbe essere se il Capo dello Stato si ingerisse nella formazione del programma di governo o nella individuazione dei ministri chiamati a darvi attuazione.
Per Paladin, la predisposizione della lista dei ministri costituisce una proposta vincolante (enfasi testuale) del Presidente del Consiglio dei Ministri al Capo dello Stato, che può rifiutarsi di procedere alle nomine solo nel caso “estremo di un soggetto palesemente privo dei requisiti giuridicamente richiesti per ricoprire l’ufficio”, ovvero dei diritti politici, perché il compito che spetta al Presidente della Repubblica è mettere in moto il processo di formazione del Governo “a prescindere da qualsiasi ulteriore ingerenza che possa condurre all’affermarsi di un indirizzo politico presidenziale” salvi gli ammonimenti e i consigli che il Presidente della Repubblica può sempre fornire all’incaricato, come si è visto.
Il manuale di Paladin può essere, forse, considerato datato, ma rappresenta l’onesto tentativo di un attento studioso di conciliare Costituzione formale e materiale, dando atto dell’evoluzione del sistema.
Sulla base di questo percorso logico, l’appello dei costituzionalisti fiorentini non può essere considerato immune da critiche perché non può essere considerato pacifico che nel caso in cui sorga un dissidio fra Capo dello Stato e Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato l’ultima parola spetti al Capo dello Stato.
3 – Lega e M5S gridano all’impeachment. Con più forza, il M5S ma anche la richiesta di elezioni anticipate che la Lega sta promuovendo assomiglia a una messa in stato d’accusa elettorale.
Non sembra affatto ragionevole considerare il comportamento del Capo dello Stato nel prisma dell’alto tradimento o dell’attentato alla Costituzione.
Si tratta di reati propri e che caratterizzano l’operato del Presidente della Repubblica quando l’esercizio delle sue attribuzioni si allontana dal modello costituzionale compiendo un abuso di potere capace di alterare il modello democratico e violando il dovere di fedeltà alla Costituzione imposto dall’art. 91, Cost.
Non è alto tradimento né attentato alla Costituzione interpretare il potere presidenziale di nomina dei ministri come potere di veto, lo sarebbe la pretesa di nominare i ministri in luogo del Presidente del Consiglio o sciogliere anticipatamente le Camere in presenza di una maggioranza di governo non voluta.
Nell’alto tradimento o nell’attentato alla Costituzione, vi è un colpo di Stato e la volontà di sostituire la forma di governo vigente con una diversa forma di governo al di fuori di qualsiasi procedimento di revisione costituzionale.
Il Capo dello Stato, sia pure discutibilmente, ha interpretato i propri poteri e ha ritenuto che gli stessi comprendessero la possibilità di dire l’ultima parola nella nomina dei ministri e questo potere, come dicono i giuristi fiorentini, può essere considerato da un costituzionalista ricompreso nelle sue attribuzioni.
4 – Il vero problema è diverso.
Nè Di Maio né Salvini né i giuristi fiorentini e chi scrive, ma neppure il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato, possono dire l’ultima parola sul giusto punto di equilibrio fra Costituzione materiale e Costituzione formale nella delicata questione su a chi spetti l’ultima parola nella formazione della lista dei ministri.
Questo compito spetta alla Corte costituzionale, che è chiamata a risolvere i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e questo è sicuramente un conflitto che ha un tono costituzionale (riguarda la corretta applicazione e interpretazione dell’art. 92, Cost.) e che riguarda organi costituzionali: il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato.
Questo conflitto sarebbe il sogno di qualsiasi costituzionalista, ma soprattutto direbbe, con il valore di una viva voce della Costituzione, se Mattarella poteva o meno opporsi alla nomina di Savona e questa parola verrebbe da parte del soggetto cui la Costituzione affida questo potere.
L’unico soggetto che avrebbe potuto sollevare questo conflitto era il Presidente del Consiglio incaricato, ma non lo ha fatto e rinunciando all’incarico ha fatto acquiescenza.
Chi scrive ovviamente non sa se l’acquiescenza è il risultato di una inconsapevole ignoranza da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato dei rimedi costituzionali con cui avrebbe potuto far valere le sue ragioni e non vuole credere che l’avvocato degli italiani abbia perso il termine per ricorrere. Sarebbe uno scenario da operetta.
Ma non vuole nemmeno sospettare che questo termine sia stato volutamente e spregiudicatamente ignorato per percorrere l’assai più facilmente spendibile sul piano elettorale strada dell’impeachment di piazza.