Univocità referendaria e voto finale: intorno a un equivoco
Uno dei maggiori equivoci intorno al voto del 4 dicembre riguarda il suo significato.
Si dice che non è giusto chiamare il popolo ad esprimersi su di una riforma che riguarda un numero importante di articoli della Costituzione perché il cittadino elettore potrebbe essere d’accordo su alcune di queste modifiche e contrario ad altre, con la conseguenza che chi vorrebbe dire Si alla modifica del Senato e No alla clausola di supremazia per le leggi statali è costretto ad accettare un compromesso.
Si dice che questo compromesso non è coerente con la logica referendaria che impone un quesito rispetto al quale sia possibile una risposta univoca: Si o No, senza Se e senza Ma.
Si ricorda la giurisprudenza costituzionale sull’art. 75, Cost. e, in particolare, il suo sviluppo a partire da Corte cost. 16/78.
Sono affermazioni acutamente strumentali.
Il referendum dell’art. 75, Cost. è un correttivo della forma di governo parlamentare e serve a verificare se una norma espressione di una chiara scelta politica sia coerente con la volontà degli elettori.
In questo referendum è necessario che il quesito riguardi una disposizione la quale deve esprimere un contenuto normativo derivato dalla scelta politica a fondamento della iniziativa referendaria.
Di conseguenza, la Corte costituzionale verifica l’ammissibilità del quesito referendario anche alla luce della sua univocità.
Il referendum dell’art. 138, Cost. è un integrativo della forma di governo parlamentare e serve a verificare che una determinata modifica (o integrazione) della Costituzione sia coerente con la volontà degli elettori.
Agli elettori viene chiesto di ripetere l’ultima operazione svolta dai parlamentari in sede di approvazione del disegno di legge costituzionale: il voto finale che segue (art. 72, terzo comma, Cost.) al voto articolo per articolo.
In occasione del voto sui singoli articoli, il Parlamento discute degli emendamenti a ciascuno di essi e il risultato finale è molto diverso da quello di partenza: il disegno di legge ha iniziato il suo esame parlamentare con un testo e lo ha finito con un altro.
Di conseguenza, i parlamentari devono esprimere non solo un voto articolo per articolo, ma anche un voto finale: ciascun articolo viene votato attraverso un insieme di votazioni in cui i membri del Parlamento devono essere messi in grado di esprimere una volontà univoca. E’ uno dei compiti principali del Presidente di assemblea che distribuisce il voto sugli emendamenti ordinandoli per contenuti omogenei e precludendo la votazione degli emendamenti il cui contenuto è già stato discusso. I membri del Parlamento conducono la loro lotta su ciascun articolo, su ciascun emendamento, su ogni subemendamento votando più e più volte. Alla fine di questo percorso nessuno di loro è pienamente soddisfatto: il testo finale rispetta per una parte i desideri dell’una parte politica e per un’altra parte le sue sconfitte. Per questa ragione, è necessaria una votazione finale, nella quale non c’è più un contenuto univoco, ci sono tutte le norme che compongono il disegno di legge che è stato approvato, tutte le vittorie e tutte le sconfitte. La decisione dei singoli membri del Parlamento in sede di votazione finale non è un Si o un No con riferimento a un contenuto normativo essenziale, è un Meglio o un Peggio riguardo all’insieme di compromessi che è stato raggiunto in sede di votazione articolo per articolo.
Il voto nel referendum dell’art. 138, Cost. non è un voto articolo per articolo, come sarebbe nel caso del referendum di cui all’art. 75, Cost. E’ il voto finale su una riforma in cui non c’è un Tutto perfetto o un Tutto da rifare, ma un Meglio proseguire su questa strada o Meglio ripartire da capo.
E non è un caso che la Corte costituzionale non debba intervenire in alcun modo a giudicare dell’ammissibilità del referendum di cui all’art. 138, Cost.