L’acrobata costituzionale di Re Giorgio
E’ difficile parlare male di Giuliano Amato.
Sicuramente, Giuliano Amato è uno dei costituzionalisti che più ha studiato la Costituzione e maggiormente ha saputo fondere il proprio impegno scientifico con un altrettanto forte impegno politico.
In altre parole, è un costituzionalista che non ha solo studiato la Costituzione, come facciamo più o meno tutti, non ha solamente praticato la Costituzione nelle aule giudiziarie, come fanno alcuni di noi, è uno che ha usato le ideologie costituzionali come strumento di sintesi politica e questo lo hanno fatto davvero in pochi, trascorso il periodo della Costituente.
Di più, in tempi in cui si discute sempre più spesso di riforme costituzionali che potrebbero andare a toccare anche la Consulta, sembra essere un giudice particolarmente adatto, visto che alla riforma della Corte costituzionale ha dedicato uno dei suoi studi più spesso citati (G. Amato, F. Bassanini, La Corte costituzionale, un istituto da riformare?, in Pol. dir., 1972, 811 e ss.).
Ma la sua nomina a giudice della Corte costituzionale da parte del Capo dello Stato suscita alcune perplessità.
Non sono perplessità di diritto costituzionale: Giuliano Amato ha sicuramente i requisiti di cui all’art. 135, secondo comma, Cost. per poter essere nominato giudice costituzionale (è professore ordinario di una materia giuridica, il diritto costituzionale) e altrettanto sicuramente gode di una statura scientifica e di una reputazione presso l’opinione pubblica tali da assicurare il prestigio dell’organo.
Sono perplessità di opportunità costituzionale e riguardano essenzialmente il ruolo della Corte nel sistema e nell’attuale congiuntura politica, ma anche il contenuto delle nomine presidenziali.
E’ pacifico che il Presidente della Repubblica possa nominare i giudici costituzionali che ritiene più adatti allo svolgimento dell’incarico loro assegnato. Come è noto, Einaudi uscì vincitore dalla querelle con l’allora maggioranza di governo che avrebbe voluto caratterizzare l’atto di nomina presidenziale in senso governativo attraverso l’esplicita imposizione della controfirma e, da allora, non pare che alcun Presidente della Repubblica sia stato formalmente condizionato dall’esecutivo nella designazione dei cinque giudici che gli spetta di indicare.
Di conseguenza, si dice che il Presidente della Repubblica ascolta i bisogni della Corte costituzionale nella individuazione dei giudici che ne dovranno completare la competenza e che, comunque, esercita una funzione ampiamente discrezionale che, più dei giudici di nomina parlamentare, in cui è naturalmente forte il peso dei condizionamenti politici, e di quelli di nomina giurisdizionale, in cui è altrettanto forte il peso delle correnti politiche che percorrono la nostra magistratura, in questo caso conta la salvaguardia del prestigio della Costituzione.
In questo caso, probabilmente, questo non è accaduto.
Per due ordini di ragioni: la Corte costituzionale del settembre 2013 agli occhi dell’opinione pubblica è il giudice che dovrà decidere della incandidabilità di Berlusconi e tutto in questi giorni sembra ruotare intorno alle opposte esigenze di salvacondotti, decadenze, continuità del governo, etc.
Ovvero è un giudice di cui si deve assicurare più di sempre il prestigio che ha saputo conquistare con quella bella definizione di Viva vox constitutionis che da qualche anno ha iniziato ad apparire sempre più spesso, quasi fosse un anatema e uno scongiuro.
Il secondo ordine di ragioni sta nella storia politica di Amato, che non è mai stato un giurista neutrale, che è sempre stato un costituzionalista politico, nel senso più alto del termine, perché profondamente impegnato nella politica, sin dai tempi di Critica marxista, Mondo Operaio e da quel suo essere stato nello stesso tempo l’artefice del Craxismo più sguaiato e in un certo senso il suo carnefice.
Non ci si possono dimenticare i numerosi incarichi di governo, le leggi di cui è stato promotore e anima, il suo senso dello Stato e il suo impegno come membro di una precisa corrente politica.
In questo contesto, la nomina di Giuliano Amato ha il sapore di un messaggio contingente, un messaggio nel senso della continuità dell’esecutivo, un’assicurazione al centro destra che l’uomo di sinistra (si, di sinistra: Giuliano Amato partecipò alla fondazione del PSIUP e ha mantenuto il gusto della precarietà transitoria che fu tipico di quella esperienza) che è stato nominato giudice costituzionale potrebbe avere gli strumenti giuridici e la capacità tecnica di giustificare sottilmente l’incostituzionalità della legge Severino.
Ecco la Corte costituzionale non ha bisogno di questi esercizi, soprattutto non ne ha bisogno quando queste acrobazie costituzionali (l’espressione è di G. D’Orazio, in Giur. cost., 1977, I, 1401, a proposito della elezione parlamentare di Bucciarelli Ducci) sono compiute dal Presidente della Repubblica.
Abbiamo visto il Presidente della Repubblica inviare un forte messaggio alle parti politiche con la nomina dei senatori a vita nei giorni scorsi e, forse, non è stato un messaggio corretto: i senatori a vita sono il senato, sono chiamati a essere la memoria storica del senato e il senato, se deve essere qualcosa, deve essere ciò che resta nella storia della nazione, come disse Nitti in Assemblea costituente (senato vuol dire continuità e la continuità nel senato sono i senatori a vita).
Ora vediamo un messaggio, forse, di segno opposto, ma comunque sempre di natura politica, nella nomina di un giudice costituzionale e anche questo non può essere considerato corretto, perché si ha una sorta di inversione del disegno originario della destra democristiana, non è più il Governo che condiziona il Capo dello Stato attraverso la nomina dei giudici costituzionali, ma è il Capo dello Stato che condiziona l’azione politica complessiva (cerca di assicurare la stabilità dell’esecutivo, malgrado le oscillazioni delle assemblee parlamentari spinte sempre più su una faglia costituzionale dai loro leader politici) esercitando la medesima attribuzione.
Non è bello.
Per nulla, e torna in mente un vecchio Bartole (S. Bartole, Cursus honorum e Corte costituzionale, in Foro it., 1978, V, 89 e ss.) che avvertiva del pericolo delle acrobazie costituzionali, soprattutto quando a compierle non è un acrobata, che sa calcolare la sfida che pone alla legge di gravità, ma un sistema politico logoro che egualmente sfida la legge di gravità, ma senza sapere se riuscirà ad atterrare in piedi.
Amato è senz’altro un acrobata costituzionale, ma la sua elezione non sembra un’acrobazia.
Assomiglia parecchio a un capitombolo (costituzionale)…