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Lezione dopo le elezioni

in News / by Gian Luca Conti
26/02/2013

Lunedì e martedì, per fortuna: sospensione didattica. Ma domani, lezione.

Difficile fare lezione di diritto costituzionale generale a degli studenti del primo anno domani.

Toccherebbe alla storia costituzionale, al passaggio dal fascismo alla Costituente.

Il punto di vista che ho scelto quest’anno è di utilizzare la storia costituzionale per individuare le anomalie che caratterizzano il nostro sistema considerato come quella macchina che riesce a funzionare bene malgrado tutto indichi che non può funzionare, secondo l’interpretazione di Joseph La Palombara.

Ma domani, forse, non è di questo che si può parlare.

Domani tocca spiegare che cosa è successo con queste elezioni e far finta di averlo capito.

La prima cosa che, forse, ci si deve ripetere è che la maggioranza elettorale ottenuta alla Camera dei Deputati non determina alcun obbligo a carico del Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica potrà individuare come candidato Presidente del Consiglio dei Ministri chi ritiene opportuno all’esito delle consultazioni. Ma le consultazioni, oggi, acquistano un significato sostanziale, vanno molto oltre la mera formalità di un incontro chiamato a condividere scelte già fatte (dal corpo elettorale, dai partiti politici, dal Capo dello Stato…) che le ha caratterizzate durante la seconda repubblica. Saranno consultazioni vere, consultazioni nelle quali il Capo dello Stato dovrà scendere a compromessi con le forze politiche costringendole a compromessi con se stesse.

La seconda cosa è che queste elezioni segnano una rottura con il sistema istituzionale della seconda repubblica. Il sistema istituzionale della seconda repubblica era improntato sulla governabilità e la governabilità sino alla torsione elettorale avvenuta con la legge 270/2005. La governabilità nel precedente modello era perseguita attraverso la designazione del capo della coalizione, di talché lo schieramento vincente riceveva un premio di maggioranza che tendenzialmente avrebbe potuto garantire la governabilità. Questo modello viene superato con la legge 270/2005, perché al senato il premio di maggioranza è distribuito su base regionale e quindi la somma dei premi di maggioranza può non condurre ad una maggioranza stabile in entrambe le camere. Il superamento del modello ha una ripercussione importante sulla forma di governo: perché il presidente del consiglio quando viene designato dalle urne assomiglia molto ad un imperatore eletto dal popolo, mentre se è indicato dal Capo dello Stato e deve ricevere la fiducia dal parlamento il modello torna ad essere parlamentare. Ma, oggi, il parlamento è indebolito da oltre il cinquanta per cento degli elettori che hanno dimostrato di non credere nell’attuale modello. Un parlamento di questo genere può essere centrale?

La terza cosa è che il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere. Ha prestato giuramento il 15 maggio 2007, sicché lo scioglimento anticipato delle Camere è precluso sin dal 15 gennaio 2013. Questo fa sì che non si possa tornare alle elezioni prima che questo parlamento non abbia individuato un nuovo Capo dello Stato, ovvero che se si crea una situazione nella quale non si riesce ad individuare un Capo del Governo e non si riesce ad individuare neppure un Capo dello Stato, e non appare una situazione del tutto improbabile, Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica possono vivere in prorogatio all’infinito: il primo governerebbe senza la fiducia del parlamento ed il secondo vedrebbe i propri poteri fortemente ridimensionati dalla mancanza di una legittimazione elettorale, che sarebbe sostituita da una prorogatio della cui ammissibilità è lecito dubitare (Mortati). E’ una situazione che il Belgio ha vissuto di recente, ma lì il Capo dello Stato si chiama re e le cose sono un pochino diverse. Ma in un caso di questo genere il voto di fiducia non avrebbe più senso e quindi il governo dovrebbe governare senza il principale strumento che ha a disposizione per imporre al parlamento le proprie scelte.

La quarta cosa è che se il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere, i suoi poteri di persuasione nelle consultazioni sono molto attenuati, perché non dispone della possibilità di minacciare i capi dei gruppi parlamentari con un ritorno alle urne che potrebbe non essere altrettanto vantaggioso della tornata che li ha eletti. Sono consultazioni con un re travicello, che può dire molto poco ai partiti politici, i quali sono costretti a cercare accordi fra di loro, su tavoli oscuri, del genere che spaventa i mercati.

La quinta cosa riguarda la formazione delle Camere. Non appena istituite, ciascuna delle Camere deve eleggere il proprio presidente e l’ufficio di presidenza e devono essere formati gli altri organi che le compongono. Un tempo, nella prima repubblica, il presidente della camera era un membro dell’opposizione stimato dai partiti di maggioranza. Nella seconda repubblica, tendenzialmente, le coalizioni vittoriose hanno cercato di occupare questo seggio, da cui dipende essenzialmente la calendarizzazione dei lavori. In questo scenario, chi deve occupare questi seggi, se non si sa chi sarà maggioranza e chi sarà opposizione?

La sesta cosa riguarda il significato costituzionale del voto del 24/25 marzo 2013. E’ facile dire che si è trattato di un voto incostituzionale. E’ stato un voto incostituzionale perché ha premiato un partito antisistema e molti sono stati gli astenuti, al punto che la maggioranza degli elettori o non ha partecipato al voto o ha rivolto le proprie preferenze al movimento che più di tutti gli altri si propone una revisione radicale della Costituzione materiale. Ma non si può dire: un voto in democrazia non è mai incostituzionale perché è il risultato dell’esercizio dei diritti politici da parte dei cittadini. Quello che indica un voto che premia chi osteggia la Costituzione materiale è che la Costituzione materiale è diventata incostituzionale perché non rispetta più la volontà popolare e quindi, verrebbe da dire, deve essere cambiata.

Più o meno quello che è accaduto nella Quarta repubblica francese, come ha ricordato ieri Ceccanti sull’Huffington Post, la cui crisi elettorale ha dato vita alla Quinta repubblica per merito di alcuni politici responsabili e di un generale che sapeva essere uomo di Stato.

Ma, santo cielo, non è così. Quello che i cittadini hanno inteso abbattere non è un sistema costituzionale, che peraltro neppure conoscono, ma la sua occupazione da parte di politici che hanno perso il collegamento con la società civile. Sarebbe bello se questo problema potesse essere risolto con una riforma costituzionale, con il passaggio alla terza repubblica o alla quarta. Ma non è così e dirlo, forse, è davvero spostare l’attenzione dalle stelle al dito che ce le insegna.

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