La fiducia sul disegno di legge di conversione del cd. Decreto Rave
La discussione parlamentare sul disegno di legge di conversione del cd. Decreto Rave è piuttosto animata.
Sono state respinte le pregiudiziali di costituzionalità e il Governo ha posto la questione di fiducia, il che significa che la conversione del Decreto Rave è una questione di gabinetto: se la Camera non facesse propria la decisione di considerare un reato l’organizzazione di raduni musicali illegali, il Governo cadrebbe.
Fa sorridere che i raduni musicali illegali siano una questione di gabinetto, ma è un dato su cui si deve riflettere.
La questione di gabinetto non sono tanto i raduni musicali illegali, che non credo siano poi così diffusi o frequenti da costituire un effettivo rischio per la sicurezza pubblica, quanto piuttosto la volontà di affrontare muscolarmente le questioni di sicurezza pubblica, di porre al centro dell’indirizzo politico di maggioranza l’ordine pubblico e, dal punto di vista di chi scrive, l’ordine pubblico non è il cleavage di una maggioranza sensibile ai bisogni del pluralismo.
Tuttavia il Decreto Rave non riguarda solo i raduni musicali illegali: il suo effetto più significativo è la decisione con cui la Corte costituzionale ha rinviato le questioni di legittimità costituzionale in materia di ergastolo ostativo alla Corte di cassazione per un nuovo giudizio sulla rilevanza.
L’ergastolo ostativo solleva numerosi dubbi di legittimità costituzionale: c’è qualcosa di terribile nelle disposizioni che considerano la mancata collaborazione con la giustizia una ragione per negare i benefici di legge al condannato che ha dimostrato concreti segni di ravvedimento. Di umanamente terribile, perché collaborare con la giustizia può significare condannare a morte i propri familiari o comunque dannarli e un condannato può essere pentito di quello che ha fatto anche se l’amore per la sua famiglia lo spinge a non collaborare con la giustizia.
Nel Decreto Rave la questione è risolta obbligando il condannato a dimostrare l’esistenza di elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata
collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile.
E’ una prova sostanzialmente impossibile: io posso dimostrare che frequento una determinata persona o un determinato ambiente ma non posso dimostrare che è impossibile che frequenti, anche indirettamente o tramite terzi, una determinata persona o un determinato ambiente.
Ed è una inversione della logica sottostante all’habeas corpus e per cui le accuse devono essere provate perché è impossibile dimostrare la propria innocenza, soprattutto se questa innocenza non riguarda un determinato fatto ma la frequentazione di un certo ambiente e non riguarda un fatto storico ma una possibilità futura.
Ma non basta perché il Decreto Rave estende la necessità dell’istruttoria all’intera cerchia (i familiari e tutte le persone alle quali il condannato è collegato, espressione piuttosto vaga) del condannato che deve dimostrare l’assenza di contatti con l’ambiente nel quale è maturato il suo profilo criminoso.
Qui, la questione di gabinetto non riguarda più la voglia di ordine pubblico ma qualcosa di sottilmente razzista e persino lombrosiano: la volontà politica di isolare per sempre coloro che hanno commesso determinati reati (quelli collegati alla mafia, al terrorismo, al traffico degli stupefacenti e di esseri umani, secondo la logica del doppio binario) dalla società civile.
Su tutto questo impatta la Costituzione, non solo nella parte in cui definisce i fini della pena (art. 27) o il principio della personalità della responsabilità penale (sempre l’art. 27), ma soprattutto nella parte in cui stabilisce il principio di eguaglianza come architrave sia della forma di Stato che di Governo.
E fa paura una questione di fiducia su una disposizione che presenta profili di incostituzionalità piuttosto palesi.
Ma fanno ancora più paura le minoranze che si arroccano sulla costituzionalità dei raduni musicali illegali, dove in fondo i principi costituzionali sono più generosi perché l’art. 17, Cost. non consente l’invasione arbitraria della proprietà di un terzo per il proprio divertimento, piuttosto che affrontare il tema – scomodo ma urgente – dei diritti di chi è condannato a non vedere mai terminare la propria pena.