Aristotele e la guerra in Ucraina
E’ facile seguire la Carlassarre sul valore assiologico dell’art. 11, Cost. (L. Carlassarre, L’art. 11, Cost. nella visione dei Costituenti, in Costituzionalismo, 2013). Quella disposizione, lo chiarisce Ruini (Assemblea seduta pomeridiana del 24
marzo 1947), esprime il proprio valore normativo nella caratterizzazione lessicale del divieto: rifiutare avrebbe significato soltanto non accettare, condannare avrebbe significato che l’illegittimità derivava da un ordine diverso e superiore a quello costituzionale, ripudiare, invece, è il verbo che nasce dalla necessità di allontanare chi ci ha tradito e la condanna della guerra è la condanna di un sistema di soluzione delle controversie che tradisce la natura stessa del patto costituzionale, che viola la radice del legame su cui la Repubblica fonda il proprio sistema di valori.
E’ una pista interpretativa, ma anche etica, che sembra condurre a una scelta necessaria di neutralità: la condanna della guerra sembra dover riguardare entrambe le parti del conflitto. L’una si sostiene ha aggredito l’altra per delle ragioni che esistono e che hanno una sicura caratura politica e ideologica. L’altra non poteva non difendersi.
La condanna della guerra non può che essere incondizionata, secondo questo schema interpretativo. Impone una scelta per la neutralità e non ci possono essere ragioni superiori al valore espresso dalla condanna costituzionale.
Eppure non è così.
Condannare la guerra significa condannare tutti coloro che non ripudiano la guerra. Vale per un mettersi incondizionatamente dalla parte di chi è vittima di una guerra. Impone un esercizio complesso e intimamente politico perché obbliga, in caso di conflitto a schierarsi da una parte o dall’altra. Scegliere quale delle due o più parti del conflitto è stata costretta alla guerra e quale invece ha scelto di utilizzare la forza per affermare la propria volontà di dominio.
Aristotele ricorda che fra le leggi promulgate da Solone vi era quella che puniva l’atimia (Athen. Poi, 8, 5), ovvero il rifiuto di prendere parte in una guerra civile per l’una o per l’altra parte. In questo caso, il colpevole veniva allontanato per sempre dalla città e i suoi beni venivano confiscati (si ob discordiam dissensionemque seditio atque discessio populi in duas partes fiet et ob earn causam irritatis animis utrimque arma capientur pugnabiturque, tum qui in eo tempore in eoque casu civilis discordiae non alterutrae parti sese adiunxerit, sed solitarius separatusque a communi malo civitatis secesserit, is domo, patria fortunisque omnibus careto, exsul extorrisque esto, si legge in Gellio, mentre Cicerone sosteneva che si applicasse la pena capitale, il tutto in L. Piccirilli, Aristotele e l’atimia (Athen. Pol., 8, 5), in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, 1976).
Il cittadino che non prende parte alla guerra civile, vuoi per l’una o per l’altra parte, ma si isola nella propria solitaria neutralità, non merita di appartenere più alla sua comunità.
Sono questi i valori che permettono di rileggere l’art. 11, Cost. e applicarlo alla guerra in Ucraina e alle complesse questioni poste da questo evento.
L’art. 11, Cost. non si limita a ripudiare la guerra ma impone alla comunità statale di determinare la propria posizione rispetto alla controversia in essere. Questa posizione non può essere di neutralità ma impone di condannare fermamente la parte o le parti che, in quel determinato conflitto, meritano di essere condannate.
Nonostante le conseguenze “imprevedibili” minacciate da Putin nei suoi discorsi rivolti ai paesi occidentali, conseguenze che non sono mai state affrontate nella storia, sempre per ricordare i discorsi di questo uomo politico.
Certo sono valori, quelli costituzionali e, in particolare, la scelta pacifista del ripudio della guerra, che tendono a evaporare nella società contemporanea che non conosce la disperata fame di libertà dei Costituenti, il loro entusiasmo di schiavi liberati, la forza della loro gioventù.
La nostra è una società che guarda la guerra su uno schermo al plasma, dove droni e bombe intelligenti sfidano le serie di Netflix e un miliardario egotico manifesta la volontà di diventare il principale imprenditore della libertà di manifestazione del pensiero.
Una società che ha preferito rinunciare alle più liberali e classiche libertà negative per salvaguardare il proprio benessere mentre un morbo sottilmente orribile lo minacciava.
Questo mondo non è il mondo dei Costituenti che avevano letto Aristotele e avevano imparato dall’Aventino il prezzo dell’atimia.
L’art. 11, Cost. non ripudia solo la guerra, condanna anche e soprattutto l’atimia ma è l’atimia, la disperata solitudine di chi si rifiuta a prendere parte a un conflitto perché teme per il proprio benessere, il sentimento che guida la società in questo difficile tratto di storia.
Non solo le posizioni indiane o cinesi di ipocrita neutralità, ma anche la scelta di chi, per un verso, sostiene le ragioni di un popolo invaso e assediato e, per altro verso, non rinuncia alle materie prime e alle commodities dal cui commercio trae alimento un’oligarchia che ha avuto bisogno di una guerra per mantenersi al potere.