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la Costituzione ride, ma è una cosa seria close

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Archive for month: Aprile, 2020

Il segreto pandemico

in profstanco / by Gian Luca Conti
30/04/2020

Il segreto pandemico

Qualche giorno fa, si è provato a indagare il complesso rapporto fra principio di precauzione e segreto di Stato.

Quelle pagine sono state lungimiranti: in effetti, pochi giorni dopo, il ministro della Salute, Roberto Speranza è stato convocato dinanzi al Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica).

Non è dato sapere che cosa ha spiegato al Comitato parlamentare, il cui resoconto sommario non racconta molto. Anche se dice che il ministro è stato ascoltato per due ore, che non sono poche e non è frequente che un ministro per la Salute sia convocato dal Copasir.

Ci si deve, quindi, chiedere se le notizie “vere” sulla pandemia siano o meno oggetto di un segreto di Stato (o comunque di una “riservatezza” di Stato) e stupisce che non ci sia stata sul punto, in un Parlamento per niente indifferente al sindacato ispettivo, una interrogazione, magari a risposta immediata o una interpellanza, magari urgente da parte dell’Aula di Palazzo Madama o Montecitorio.

Il punto, però, è un altro.

Le notizie “vere” sulla pandemia potrebbero essere tenute riservate per due opposti ordini di ragioni. Da una parte, il Governo potrebbe ritenere che queste notizie, se di dominio pubblico, potrebbero scatenare il panico fra la popolazione. In questo caso, la riservatezza potrebbe non essere irragionevole, anche se discutibile la sua trattazione da parte del Copasir e non dall’aula, magari riunita, come si usa in tempo di guerra, senza resoconto stenografico e con vincolo di segretezza.

Dall’altra parte, le  notizie “vere” potrebbero essere molto meno pessimistiche di quelle che i bollettini della protezione civile diffondono di giorno in giorno, con una attendibilità statistica che è stata posta in dubbio fin dai primi giorni della pandemia, quando il presidente dell’ISTAT ha dichiarato che la cosa migliore, sul piano della attendibilità scientifica, sarebbe stata selezionare dei campioni significativi della popolazione e verificare su questi campioni l’andamento del virus.

In questo caso, il Governo, anzi il Presidente del Consiglio dei Ministri, avrebbe tenuto segrete delle notizie che, in realtà, rivelano un reato perché l’aver sospeso le libertà costituzionali dell’intera popolazione per sessanta interminabili giorni, impedendo lo svolgimento di elezioni e consultazioni referendarie, costituisce qualcosa di vicino all’attentato alla Costituzione se non viene più che congruamente motivato e la motivazione regge alla prova dei fatti.

Sotto questo aspetto, vi è da rammentare che il segreto di Stato, ai sensi dell’art. 39, legge 124/2007, può essere apposto anche sui fatti che possono integrare il reato di attentato alla Costituzione (l’art. 39 esclude dal segreto di Stato gli artt. 282, 416 bis, 416 ter, e 422, c.p. non l’art. 283); che, in questo caso, il responsabile dell’attentato alla Costituzione sarebbe il Presidente del Consiglio dei Ministri; che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha il potere di apporre il segreto di Stato (art. 39, quarto comma, legge 124); che è il Presidente del Consiglio dei Ministri che riferisce al Copasir in materia di segreto di Stato (art. 34, legge 124).

In altre parole, il capo del Governo può apporre il segreto di Stato su fatti che costituiscono il fondamento di un attentato alla Costituzione, anche nel caso in cui l’attentato alla Costituzione sia stato commesso dallo stesso capo del Governo.

Naturalmente, sarebbe una situazione sudamericana, alla quale nessuno vuole neppure pensare.

Quello che invece si deve pensare, con ragionevole prudenza e un alto senso delle istituzioni, è se colui che ha governato una situazione di emergenza ricorrendo all’antica e perigliosa categoria degli arcana imperii, possa anche gestire l’assai più delicata fase della ricostruzione. Perché un’unica cosa è davvero sicura in questo contesto: che la pandemia lascerà il paese in ginocchio, alla pari di un conflitto mondiale, e non è necessario il mestiere di storico per rammentare che i fondi per la ricostruzione dopo l’ultimo conflitto mondiale hanno consentito alla Democrazia Cristiana di costruire un consenso clientelare durato oltre trent’anni.

Egualmente non è necessario il mestiere dell’indovino per immaginare che questa sia la vera partita del futuro, una partita su cui l’affrettata conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri di domenica 27 aprile ha già inteso mettere una seria ipoteca.

Si dirà che Conte è solo, che dietro di sé non ci sono partiti politici, come si è dimostrato anche nel caso delle ultime nomine governative, quando Conte è dovuto tornare indietro e rispettare le indicazioni provenienti dai suoi sponsor.

Ma, sempre con il mestiere dell’indovino, non è difficile immaginare che l’ambizioso capo del Governo possa trovare un partito e gli ultimi movimenti di Forza Italia, con la quale l’antropologia del Presidente del Consiglio dei Ministri vanta non pochi punti in comune, potrebbero andare esattamente in questa direzione.

D’altra parte, se la partita vera è la gestione dei fondi per la ricostruzione, non si può pensare che il partito nato dall’eredità spirituale del peggior craxismo se ne tenga sdegnosamente lontano.

Pecunia non olet, direbbe un avvocato di campagna.

Principio di precauzione e segreto di Stato

in profstanco / by Gian Luca Conti
23/04/2020

La scrivania del ministro per la salute è chiusa molto bene ma chi ha avuto modo di avvicinarsi non ha potuto evitare di avvertire l’odore acre, di zolfo e putrefazione, che traspare.

E’ l’odore del segreto di Stato, un odore pungente che, di solito, si avverte quando ci si avvicina al terrorismo, alla mafia, al voto di scambio, agli anni più bui della Repubblica che lo ha regolato compiutamente durante gli anni di piombo (legge 801/1977) e ha ripreso la materia (legge 124/2007) per gestire le lottizzazioni di villa Certosa.

Il problema, sul piano storico, è semplice: il ministro per la salute e il Governo presieduto da Conte avrebbero tenuto segreto il rapporto con cui alcuni scienziati indagavano, fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, gli scenari connessi alla diffusione della pandemia in corso.

Secondo questo rapporto, sarebbero stati ipotizzabili tre scenari, uno dei quali assolutamente catastrofico parlava di una malattia che avrebbe causato fra le seicentomila e le ottocentomila vittime.

Per questa ragione, il Governo avrebbe adottato delle misure assai stringenti con i provvedimenti che conosciamo, i quali, se, da una parte, hanno determinato un danno incalcolabile per la ricchezza della nazione, dall’altra parte, avrebbero salvato centinaia di migliaia di vite umane e sarebbero perciò perfettamente giustificate.

L’affare pone due distinte questioni e suggerisce un rimedio.

La prima questione che pone riguarda il principio di precauzione in rapporto al segreto di Stato. In che misura, questo principio può tollerare che le conoscenze che hanno giustificato il ricorso a misure straordinarie e indifferibili adottate per mezzo di ordinanze libere appoggiate esclusivamente sulla responsabilità del Capo del Governo possano essere segretate e, quindi, conosciute solo ex post?

Il principio di precauzione è, di per sé, un principio che riguarda l’essenza del discorso democratico e il suo rapporto con la scienza. Se la scienza non è certa di un pregiudizio potenzialmente grave e irreparabile per la salute pubblica o l’ambiente, la sfera politica può adottare queste misure sostituendo una legittimazione scientifica con una decisione democratica.

Questo principio postula la possibilità di un discorso pubblico e pienamente informato sulla natura del pericolo che si intende fronteggiare e sui vantaggi e gli svantaggi connessi all’intervento pubblico correttivo che si intende adottare.

Un tanto non accade se la natura del pericolo e le sue caratteristiche sono mantenute segrete dal Governo che le rivela solo quando il pericolo appare superato per giustificare le misure che ha preso e che hanno ridotto la nazione sul lastrico.

La discussione sulla natura del pericolo ha un senso se precede le misure che vengono adottate perché è una discussione sui limiti che il potere intende introdurre a carico delle libertà e che giustifica con la minaccia di un pericolo grave per un interesse che considera gerarchicamente superiore alle libertà che sacrifica.

Una volta che le misure sono state adottate, l’esistenza del dossier serve a giustificare questi limiti, non riguarda più la sostanza della limitazione ma la responsabilità collegiale del Governo (art. 95, secondo comma, Cost.) e individuale del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 95, primo comma, Cost.).

Soprattutto, però, se si afferma il principio secondo cui quando vi è un rischio per la salute o per l’ambiente di natura tale da poter scatenare il panico, il Governo può tenere nascosta la natura di questo rischio al paese (e anche al Parlamento) adottando le misure che ritiene opportune per fronteggiarlo, si ha una pericolosa torsione in senso autoritario della forma di Governo.

La seconda questione è che i problemi che si sono evidenziati, soprattutto il bisogno di bilanciare l’interesse alla sicurezza dello Stato che rende opportuno mantenere segrete e confidenziali certe informazioni in mano al Governo, e il bisogno di democrazia per cui ciascuna limitazione delle libertà individuali deve provenire dal Parlamento, sono stati oggetto di una disciplina puntuale da parte della legge 124/2007, che prevede:

(i) la competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, non del Ministro della Salute, a disporre il segreto di Stato (art. 39, quarto comma);

(ii) l’obbligo del Presidente del Consiglio dei Ministri a dare notizia dell’apposizione del segreto di Stato al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica e il diritto del Copasir di confermare o meno l’apposizione del segreto, dopo averne discusso, se il caso lo ritiene, in una seduta segreta;

(iii) il diritto del Copasir di deferire la questione alle Camere che, a loro volta, ne possono discutere in seduta segreta.

Questi principi si trasformano in domande:

(a) perché il segreto è stato apposto dal ministro per la salute e non dal Presidente del Consiglio dei Ministri?

(b) perché dell’apposizione del segreto non è stato informato il Copasir?

(c) il Governo può sottrarre alla conoscenza del Parlamento delle informazioni che riguardano l’introduzione di limiti alle libertà fondamentali dei cittadini senza informare quantomeno il Copasir di quello che sta accadendo?

E, soprattutto, se è vero che rivelando adesso l’esistenza di un dossier segreto, il ministro per la salute confessa di aver mancato agli obblighi che si sono elencati, perché lo ha fatto?

Qui, l’odore che proviene dalla scrivania ministeriale si fa acre e pungente perché in un paese abituato a intendere il non detto molto più del detto, ci si può chiedere come mai sia così necessario presentarsi come salvatori della patria e non è difficile immaginare che, passato questo periodo di giustificato timore, inizieranno le critiche al Governo, perché la ripresa non sarà né facile né immediata e dovremo ripensare alle basi stesse del nostro sistema economico.

Ma, sotto questo aspetto, le guerre come problema di storia costituzionale finiscono sempre con una inchiesta parlamentare e, anche in questo caso, sembra che questo dovrebbe essere il futuro sviluppo di una vicenda che, guardata con un po’ di attenzione, sembra molto meno brillante di quanto non la si voglia far apparire.

Le esternazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri

in profstanco / by Gian Luca Conti
14/04/2020

Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 16-03-2020 Roma, Italia Politica Coronavirus, il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante la videoconferenza per annunciare il nuovo decreto cura-Italia.Nella foto: Giuseppe ConteDISTRIBUTION FREE OF CHARGE – NOT FOR SALE – Obbligatorio citare la fonte LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

Conte, nella sua conferenza stampa di venerdì 11 marzo, ha richiamato le opposizioni a un maggiore senso di responsabilità.

Più propriamente si è rivolto alla Lega di Salvini e ai Fratelli d’Italia della Meloni osservando che il loro comportamento era inappropriato rispetto all’emergenza che stava affrontando.

Nella sostanza, ha chiesto di lasciar lavorare chi lavora.

Il senso del ragionamento è abbastanza chiaro: l’emergenza deve essere fronteggiata con ogni mezzo e chi sta affrontando l’emergenza nell’interesse del popolo ha la facoltà di rivolgersi al popolo per condannare chi lo critica.

Il vero nodo, sul piano costituzionale, è più complesso e riguarda l’essenza del circuito Governo – Parlamento.

L’essenza di questo rapporto è la fiducia, con cui ciascuna Camera approva, con scrutinio palese e per appello nominale, le dichiarazioni programmatiche del Governo, ovvero la sfiducia, con cui una Camera, approva, sempre per scrutinio palese e con appello nominale, una mozione di sfiducia sottoscritta da non meno di un decimo dei suoi membri e nella quale deve essere spiegato il perché della richiesta al Governo di lasciare il proprio incarico.

La Costituzione, in altre parole, vuole che la responsabilità politica del Governo sia discussa in Parlamento, e concentrare nel Parlamento (le cui difficoltà a riunirsi non sono agevolate dalla assenza di previsioni esplicite circa la libertà di circolazione dei suoi membri nei complessi d.P.C.M. con cui viene regolato il lockdown) questa discussione significa evitare che la stessa possa svolgersi nell’arena della pubblica opinione ed imporre la necessità della mediazione attraverso la rappresentanza politica.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri nel momento in cui si rivolge direttamente al corpo elettorale, nel corso di una conferenza stampa, per rispondere alle critiche della pubblica opinione, si colloca all’esterno di questo circuito.

Ma questo, tutto sommato, non è innaturale: il circuito della rappresentanza politica si svolge al di fuori delle sedi parlamentari dal 1948.

Il vero nodo della questione è un altro.

Il tono del Presidente del Consiglio dei Ministri, forse, non è sembrato il tono dell’indirizzo politico di maggioranza che chiede di aderire alla propria visione dell’interesse pubblico. E’ sembrato piuttosto quello del Presidente della Repubblica (il quale, infatti, ha ricevuto con imbarazzato silenzio le protese di Salvini quando questi lo ha chiamato per gli auguri di Pasqua), che richiama i partiti politici a una maggiore serenità nell’interesse della coesione nazionale.

Il Presidente della Repubblica, però, impronta le proprie esternazioni sulla irresponsabilità. E’ il fatto che la nostra Costituzione porta dentro di sé le tracce della definizione del Capo dello Stato come persona sacra e inviolabile propria dello Statuto Albertino giustifica il collegamento del potere di messaggio alla irresponsabilità del Capo dello Stato e lo colloca all’interno di una funzione di alta garanzia e controllo, ma anche di integrazione e stimolo.

Nel momento in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri, questo Presidente onnipotente che decide delle libertà quotidiane dei cittadini sulla base del principio di precauzione, si rivolge al popolo con un messaggio che assomiglia molto a quello del Presidente della Repubblica di cui condivide il tono di garanzia, cerca l’irresponsabilità.

Se Segni, Leone, Cossiga e Napolitano ci hanno insegnato a temere un Presidente della Repubblica che si avvicina al polo del Governo, non vorrei che Conte ci insegnasse a temere un Presidente del Consiglio dei Ministri che si appoggia su di una emergenza per avvicinarsi al polo del Presidente della Repubblica.

In altre parole, se di solito, è pericoloso un Capo dello Stato che si avvicina al Governo, senza essere responsabile, in una situazione di emergenza può essere molto più pericoloso un Capo del Governo che si atteggia a Presidente di una repubblica presidenziale.

E, purtroppo, questo dipende molto da un Parlamento che si riunisce solo per lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni e la conversione dei decreti legge, smarrendo gran parte della propria ragion d’essere nella discussione del voto a distanza.

 

 

Le libertà al tempo del coronavirus

in profstanco / by Gian Luca Conti
10/04/2020

Sono forti le assonanze fra il coronavirus e la disciplina sui vaccini obbligatori posta dal d.l. 73/2017: a prima vista, appare uno stesso fenomeno: la Repubblica, attraverso la legge e la sua esatta applicazione da parte del Governo, deve proteggere i cittadini dal rischio per la loro salute che un comportamento libertario di altri cittadini potrebbe causare. Di conseguenza, la legge limita la libertà di coloro che potrebbero causare un danno potenzialmente grave e irreparabile agli altri.

Ma la straordinaria pervasività della pandemia in corso ha condotto a misure particolarmente eccezionali perché dapprima il d.l. 6/2020 e successivamente il d.l. 19/2020 hanno individuato una serie estremamente ampia di limitazioni alla libertà personale autorizzando il Presidente del Consiglio dei Ministri a definire in concreto, attraverso atti amministrativi generali, i provvedimenti restrittivi della libertà personale dell’intera popolazione e il Presidente del Consiglio dei Ministri (d.d.P.C.M. 22 marzo 2020 e 1 aprile 2020) ha addirittura in parte delegato questo potere di ordinanza al Ministro per lo Sviluppo Economico (d.m. 25 marzo 2020).

Il Parlamento è restato sullo sfondo, limitando il proprio intervento alla conversione in legge del d.l. 6/2020 (legge 13/2020) e autorizzando il ricorso all’indebitamento secondo quanto previsto dall’art. 6, quinto comma, legge 243/2012 (la relazione è stata trasmessa alla Presidenza della Camera il 5 marzo 2020 e posta all’ordine del giorno della seduta dell’11 marzo 2020) per effetto del verificarsi di una situazione a carattere eccezionale.

In altre parole, la limitazione delle libertà personali autorizzata dal Governo con i suoi decreti legge e dallo stesso Governo affidata agli atti amministrativi generali del Presidente del Consiglio dei Ministri non è stata oggetto di una vera discussione parlamentare: il paese non ha sentito bisogno del Parlamento ma del Governo per rispondere alla paura di un morbo terribile e spaventoso.

Di qui, sono possibili due osservazioni, non da costituzionalista, ma da cittadino privato di una porzione significativa delle proprie libertà fondamentali.

La prima riguarda gli effetti del principio di precauzione sulla forma di Governo e sulla forma di Stato. Il principio di precauzione, inteso come il motore del diritto della paura, secondo la definizione di Sunstein, può essere letto come obbligo di adottare qualsiasi misura necessaria a evitare un rischio in assenza di una sicurezza scientifica circa l’estensione del rischio ovvero come possibilità di adottare misure non basate su di una evidenza scientifica univoca. In entrambi i casi è un principio di azione politica che serve nei casi in cui manchi la certezza circa l’esatta estensione di un rischio e quindi sulla effettiva necessità delle misure per contenerlo. La catena di decreti legge e atti amministrativi generali adottati rivela un preciso modo di intendere questo principio di azione politica: non è l’oggetto di una discussione parlamentare, del complesso equilibrio di una sede referente e della sua trasposizione nell’agone assembleare per mezzo delle relazioni di maggioranza e minoranze nonché del potere di emendamento (e di parere sugli emendamenti di iniziativa parlamentare) del Governo. E’ l’oggetto di una volontà politica che si fonda su di un giudizio scientifico.

In altre parole, il principio di precauzione giustifica una torsione della forma di Governo verso l’esecutivo e, in particolare, il suo vertice. E’ sicuramente una torsione autoritaria, che il popolo ha vissuto senza particolari critiche o mal di pancia, vuoi per effetto della crisi del metodo parlamentare, vuoi perché il potere dell’emergenza è sentito come volontà e non come discussione.

La seconda osservazione riguarda la legislazione dell’emergenza, nella legislazione dell’emergenza si rivela sempre una gerarchia di valori. La legislazione sul terrorismo è stata giustificata dall’interesse alla sicurezza dello Stato considerato come un valore supremo. In quel momento, la difesa delle istituzioni democratiche dal rischio generato dall’uso della paura come strumento di lotta politica ha giustificato misure straordinarie di limitazione delle libertà individuali dei cittadini sospettati di essere coinvolti nella lotta armata secondo la cd. logica del doppio binario.

Il valore evocato dal principio di precauzione e dalla lotta contro la pandemia in corso è completamente diverso: anche la difesa delle istituzioni democratiche (e quindi della centralità del Parlamento nella forma di Governo, ma anche del ruolo delle regioni nella forma di Stato) cede rispetto alla paura per la propria salute.

La società del benessere liquido ha prima di tutto paura della propria morte e questa paura giustifica qualsiasi sacrificio, del diritto al lavoro, della libertà personale, della libertà di domicilio, della libertà di circolazione, della libertà di riunione, delle libertà religiose, del diritto alla ricerca e alla frequentazione dei musei.

Questo, forse, spaventa più del coronavirus: una società che tiene di più alla propria vita che ai propri diritti fondamentali perché non è la società dei costituenti i quali conobbero il carcere di Villa Triste per avere il privilegio di scrivere la carta costituzionale e di iniziarla con la proclamazione delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili.

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