Le riforme dell’avvocato del popol(ism)o
1 – Il silenzio, dal 12 luglio 2018, quando il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta ha introdotto il tema delle riforme costituzionali sostenute (ma non proposte) dal Governo in una audizione dinanzi alle Commissioni riunite Affari costituzionali di Camera e Senato, ad oggi, quando, il 16 ottobre 2018, sia al Senato che alla Camera, le stesse Commissioni hanno iniziato l’esame in sede referente delle proposte di legge costituzionale nel frattempo depositate dai parlamentari della maggioranza, è stato profondo.
I difensori ad oltranza della Costituzione, i politici di professione, i professori di diritto costituzionale, gli intellettuali appassionatamente impegnati in questa causa, non hanno quasi preso la parola per commentare le proposte di legge costituzionale promosse dal Governo, ad eccezione di un dibattito su Astrid, nel quale gli interventi sinora pubblicati sembrano mossi da un tiepido favor per la riforma costituzionale.
L’apparente omaggio ai miti della riforma costituzionale
2 – Le proposte di riforma costituzionale sono palesemente ispirate dalla volontà di rendere omaggio ad alcuni miti particolarmente cari alla variopinta congerie dei difensori ad oltranza della Costituzione (i Difensori Tutti di un pezzo della Costituzione Italiana, come li ha chiamati Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 3 novembre).
In primo luogo, il Governo ha scelto di procedere attraverso disegni di legge di iniziativa parlamentare, rendendo omaggio al mito per cui il Governo non può prendere parte attiva nella discussione sulle regole costituzionali, più volte evocato nel dibattito sulla riforma Renzi – Boschi.
Come se cambiasse qualcosa fra un Governo che annuncia la presentazione di un disegno di legge dallo stesso sostenuto e promosso o un Governo che presenta un disegno di legge deliberato dal Consiglio dei Ministri e autorizzato dal Capo dello Stato.
In secondo luogo, il Governo ha scelto di procedere attraverso più disegni di legge, ciascuno dei quali focalizzato su un diverso aspetto della Costituzione da riformare, rendendo omaggio al mito secondo cui il referendum dell’art. 138, Cost. non si può pronunciare su proposte fra di loro disomogenee ma deve avere per oggetto puntuali modifiche del testo costituzionale così da consentire agli elettori di esprimere la propria volontà in termini univoci.
Che, in questo caso, è un po’ come mettere sul tavolo da gioco i pezzi di un puzzle molto complesso senza rendere contemporaneamente disponibile il disegno complessivo da ricostruire.
Ma soprattutto è impedire che la legge costituzionale che recepisse in un unico testo le singole proposte possa essere considerata incostituzionale per contrasto con l’art. 139, Cost. Perché il rispetto dell’art. 139 non può essere contestato alle singole proposte considerate isolatamente ma potrebbe essere affermato con riferimento al loro combinato disposto.
Le singole proposte (in apparenza innocenti)
3 – L’idea complessiva di democrazia e di Costituzione che emerge dalle diverse proposte deve essere ricostruita guardando alle singole proposte e alle lacune per quello che dicono e per quello che non dicono.
La prima, forse la più semplice da spiegare, riguarda la modifica dell’art. 99, Cost., che prevede il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, sopprimendo il riferimento costituzionale a questo organo.
Questa riforma non indica come dare vita e, soprattutto, luce agli interessi particolari coinvolti dall’azione di governo. Il C.N.E.L. può costituire, se rivitalizzato, lo strumento attraverso il quale le lobbies partecipano all’elaborazione delle politiche pubbliche rendendo palese e trasparente il loro intervento.
La seconda, anche questa apparentemente molto condivisibile, ha per oggetto la riduzione del numero dei parlamentari (400 deputati e 200 senatori), in modo da restituire funzionalità alle assemblee e prestigio ai membri del Parlamento, che entrerebbero a far parte di un club più esclusivo di quello di cui attualmente fanno parte.
A prima vista, l’esclusività di un’associazione dipende dal prestigio dei suoi soci più che dal loro numero.
Ridurre il numero dei parlamentari senza riflettere adeguatamente sulla riforma della legislazione elettorale, che resterebbe inalterata, con meri accorgimenti tecnici diretti ad assicurarne il funzionamento nel caso di scioglimento anticipato delle Camere, significa non risolvere la questione di come le regole elettorali determinano la composizione del Parlamento e quindi la sua capacità di rappresentare il paese.
La terza affida alla Corte costituzionale il giudizio di impugnazione sulla convalida da parte del Parlamento delle elezioni dei suoi membri, rendendo il giudice delle leggi arbitro di un conflitto sostanzialmente politico, probabilmente estraneo alla sua natura ma sin troppo nelle sue corde.
La quarta elimina la regola per cui il risultato del referendum abrogativo è valido se alla consultazione partecipano più della metà degli aventi diritto perché avvantaggia coloro che incoraggiano l’astensione, dimenticando che l’astensione è il modo con cui i cittadini possono protestare contro una consultazione che ritengono inutile o incomprensibile ma che costa loro ingenti quantità di denaro.
La quinta introduce un referendum per l’approvazione dei disegni di legge di iniziativa popolare nel caso in cui questi non siano approvati dal Parlamento entro un termine ritenuto congruo di diciotto mesi, ovvero siano approvati con modifiche ritenute insoddisfacenti dai promotori, prefigurando una chiamata alle urne per l’introduzione dell’eutanasia (A.C. 2), la legge che introduce l’obbligo di non produrre rifiuti (A.C. 3), o la soppressione dell’obbligo di vaccinare i propri figli (A.C. 1185).
L’idea complessiva di una democrazia a trazione diretta e il tramonto della rappresentanza politica
4 – L’idea di fondo, il disegno sapientemente nascosto del puzzle, che ispira queste proposte è il superamento di un sistema in cui la sovranità si esprime attraverso la rappresentanza politica con il correttivo (fra gli altri) degli istituti di democrazia diretta e la sua sostituzione con un sistema in cui la sovranità si esprime attraverso una rappresentanza politica guidata dalla democrazia diretta.
Si dice – in questi molto condivisibili termini, il Ministro Fraccaro nella sua audizione del 12 luglio 2018 – che il problema da risolvere attraverso le riforme istituzionali è la crisi della rappresentanza politica e che – affermazione meno condivisibile – questa crisi può essere superata attraverso il rafforzamento della democrazia diretta.
Ma non si spiega perché ci può essere più rappresentanza, più capacità di rappresentare gli interessi particolari dei cittadini e di trasformarli in volontà generale dello Stato, nei promotori di un disegno di legge di iniziativa popolare o di un quesito referendario piuttosto che nei rappresentanti democraticamente eletti dal popolo.
La verità è che niente è più coerente con la casaleggiana idea di superare il Parlamento e la stessa idea di democrazia parlamentare di queste proposte che mirano a sostituire le elites della rappresentanza politica (mille parlamentari che devono interagire con una complessa galassia di contropoteri) con le ancora più ristrette elites della democrazia diretta (dieci promotori che ricevono il dono di interpretare la silenziosa volontà delle firme che hanno raccolto).
Ma questo si può dire al silenzio dei difensori ad oltranza della Costituzione?
O, molto sommessamente, si può aggiungere che se il Parlamento e il metodo parlamentare servono a trovare soluzioni di compromesso fra posizioni in conflitto fra di loro, la rude dicotomia del “si/no”, che caratterizza la democrazia diretta, serve a dividere?
E, sempre più sottovoce, si può concludere che il vero problema della rappresentanza sono le fratture sociali e culturali che attraversano la società civile (i cleavagedella rappresentanza).
Dinanzi a queste fratture, difendere l’eredità liberale della democrazia parlamentare può non essere à la page ma è l’unico modo per mantenere aperto un dialogo fra le diverse componenti della società evitando il baratro del populismo.