Le ragioni del “NI”
Il ministro per i rapporti con il Parlamento dice che chi è contro la riforma della Costituzione proposta dal Governo esprime una posizione identica a quella dei Fratelli d’Italia.
Sarebbe facile rispondere che anche Mussolini prima di diventare fascista è stato socialista e che non per questo essere socialisti – soprattutto allora – è sbagliato.
In ogni caso, la riforma della Costituzione merita una riflessione seria e più pacata di quella che si legge sia da parte di chi ne è l’entusiasta promotore che da parte di chi fanaticamente l’avversa.
Il ragionamento, il mio personale ragionamento, muove da una pregiudizio: le Costituzioni nascono per durare e se durano trovano il modo di seguire naturalmente l’evoluzione del sistema politico. La Costituzione della Repubblica italiana per effetto della dottrina della Costituzione materiale è stata molto più flessibile di quanto non si insegna di solito e la sua evoluzione è stata incessante sin dal 1 gennaio 1948 quando è entrata formalmente in vigore.
Tuttavia è davvero molto difficile non riconoscere che dopo i primi anni ottanta, dopo il lavoro della commissione Bozzi non si è manifestato un movimento che, con onestà intellettuale, ha sostenuto con forza la necessità di intervenire sulla seconda parte della Costituzione, di modificare le regole di trasformazione della sovranità popolare in sintesi politica.
Questo movimento ha assunto sempre più forza e la sua forza, che è la forza delle diverse bozze che da De Mita a Violante si sono succedute e delle personalità che con maggiore o minore riluttanza le hanno sostenute, ha finito per privare di legittimazione la Costituzione.
Di conseguenza, non appare oggi più possibile negare che la modifica della Costituzione possa essere considerata opportuna per chi intende, con onestà intellettuale, restituire lo scettro al principe che, per chi scrive, non è il popolo del notissimo saggio di Pasquino ma la sovranità costituzionale.
Il secondo pregiudizio di chi scrive riguarda il metodo con cui la maggioranza di governo ha inteso affrontare il referendum sulla Costituzione. Questo referendum è stato trasformato in un plebiscito sul premier che ha avuto il coraggio di collegare l’esito della consultazione alla sua personale carriera di uomo politico. La Costituzione, quindi, è diventata il terreno di una battaglia campale sull’indirizzo politico di maggioranza e questo è stato oggetto di una feroce polemica da parte di chi avrebbe voluto il testo costituzionale al di sopra dell’indirizzo politico di maggioranza siccome risultato di un compromesso “alto e costituente” fra forze politiche che possono essere divise nelle ideologie che perseguono, ma non anche nelle scelte fondamentali sulle regole della competizione politica.
Niente di nuovo, è solo l’eco della distinzione fra indirizzo politico e indirizzo politico – costituzionale, una distinzione che secondo la parte maggioritaria dei costituzionalisti non merita di essere operata perché a ben vedere o una scelta fa parte dell’indirizzo politico o una scelta è al di sopra dell’indirizzo politico perché trova il suo fondamento nella Costituzione.
Renzi ha avuto il coraggio di ammettere pubblicamente che, oggi, nell’attuale evoluzione del sistema politico, le scelte sulla Costituzione sono diventate scelte politiche che, come tali, rispondono al principio di maggioranza.
Può non piacere, a chi scrive non piace, ma è dannatamente vero.
A questo punto, si deve avere il coraggio di guardare alla riforma della Costituzione con onestà intellettuale, senza sposare né le ragioni del SI, né quelle del NO e ci si deve chiedere se sia ragionevole privilegiare la stabilità dell’esecutivo rispetto alla centralità del Parlamento, se sia corretto superare il bicameralismo paritario, se sia giustificato ridimensionare il ruolo delle regioni.
Insomma, dinanzi a tanti comitati per il SI e per il NO, si deve guardare al NI, che non è una implicita preferenza per il NO rispetto al SI, ma solo una scelta dovuta alla cacofonia del SO.
Con onestà intellettuale e senza pregiudizi.