L’idea commissariale della revisione costituzionale (Nenni, Renzi e Mondo Operaio)
1 – Nenni non era favorevole al bicameralismo paritario. Lo considerava un appesantimento: «…l’ordinamento della repubblica così come è previsto in questo progetto, sotto molti aspetti rappresenta una minaccia per la funzione legislativa e sembra abbia obbedito alla preoccupazione di bloccare qualsiasi legge» (in questi termini, il suo intervento in Assemblea Costituente del 10 marzo 1947, sul complesso rapporto fra Nenni e i lavori della Costituente: F. Biondi).
2 – Mondo Operaio è contrario al superamento del bicameralismo e pubblica un intervento di G. Buonomo sul metodo delle riforme che consente lo sviluppo di qualche osservazione.
Il punto centrale è il modello di riforma costituzionale fondata sull’indirizzo politico di maggioranza. Vi è, esasperando le considerazioni di Buonomo, una sorta di idea commissariale della funzione di revisione costituzionale nella pretesa di Renzi di dettare – sotto forma di bullett point – i punti chiave del rapporto fra Parlamento e popolo. Dal momento che Renzi incarna un indirizzo politico di maggioranza, questo sarebbe in contrasto con la essenza della funzione di revisione costituzionale che dovrebbe essere oltre l’indirizzo politico di maggioranza.
Su questo nodo, si sviluppano quattro argomenti: (i) l’esistenza di un quorum qualificato per la seconda deliberazione necessaria per la revisione costituzionale si giustifica pensando a una maggioranza che oltrepassa la coalizione al governo; (ii) il governo non ha un ruolo necessario di guida della funzione di revisione costituzionale, poiché l’iniziativa di questi disegni di legge non gli è riservata, gli sarebbe preclusa nel caso in cui abbia prestato il giuramento ma non abbia ancora ricevuto la fiducia da parte del Parlamento, la discussione e l’approvazione di un disegno di legge di revisione costituzionale potrebbe avvenire anche a governo dimissionario o sfiduciato (in questi termini, il Presidente del Senato Mancino, Legislatura 13º – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 465 del 9 ottobre 1998); (iii) è stato sinora pacifico che la questione di fiducia non potesse essere posta nella materia costituzionale e quindi anche in punto di revisione costituzionale; (iv) il Senato, secondo la proposta di revisione costituzionale attualmente in trattazione, non vota la fiducia ma partecipa alla funzione di revisione costituzionale, sicché la funzione di revisione costituzionale è estranea, anche dal punto di vista di Renzi, al circuito fiduciario che collega il Parlamento al Governo.
Dal mio punto di vista, si può aggiungere che Renzi non incarna semplicemente l’indirizzo politico di maggioranza, incarna un indirizzo politico di maggioranza commissariale, perché giustificato dalla necessità di procedere alla approvazione di una nuova legge elettorale e mantenuto in vita dalla impossibilità sostanziale di andare a nuove elezioni nello scenario aperto da Corte cost. 1/2014, che però ha saputo trasformare in carisma e legittimazione popolare.
3 – Tutto vero, tutto dannatamente vero. Però, talvolta, pare di dover fare qualche passo in avanti e non potersi fermare a dire che non si può fare.
Chi scrive ha considerato sempre molto ragionevoli e fondate sul piano dell’interpretazione costituzionale le osservazioni di A. Pace sul metodo delle riforme. Addirittura, ha sempre avuto il dubbio che non fosse possibile portarle ancora più avanti, che sia costituzionalmente plausibile affermare che se la funzione di revisione costituzionale è collegata ontologicamente alla possibilità di un eventuale referendum approvativo e se il referendum ha come essenza democratica l’omogeneità del quesito e l’univoca chiarezza del significato del voto, siano possibili solo riforme costituzionali che riguardino un singolo e univoco contenuto normativo del testo costituzionale, che non dovrebbero essere possibili riforme di intere parti della Costituzione senza violare contemporaneamente l’art. 138 e quindi l’art. 139, perché i due articoli si tengono l’uno con l’altro.
Ma è accaduto: la politica ha superato la prassi costituzionale per cui, sino al 1989, le modifiche della Costituzione sono state puntuali e collegate alla possibilità di un referendum approvativo che avrebbe avuto un contenuto chiaro e univoco e questa è stata la via tentata a partire dalla Commissione Bozzi e proseguita con tutte le bicamerali che si sono affaccendate a questo capezzale, forse senza curarsi di quanto il paziente fosse effettivamente malato o di quanto non fossero malati i medici, quasi si fosse in High Anxiety di Mel Brooks.
E’ anche accaduto sostanzialmente nemine contradicente, come nemine contradicente si sono succedute molte prassi probabilmente in contrasto con il tessuto costituzionale, sicché oggi discutere di revisione costituzionale non è discutere degli artt. 1, 138 e 139, Cost., ma delle norme che si possono sviluppare a partire da queste disposizioni combinate alla luce di una sorta di principio superiore per cui le stesse tollerano una qualche forma di torsione purché nessuno vi si opponga.
Se è accaduto, se la funzione di revisione costituzionale può avere subito qualche flessione e qualche flessione vi è stata – senza arrivare al punto di evocare come si può considerare la rigidità costituzionale quando tre legislature sono state elette con un sistema elettorale che contrastava con il principio democratico -, allora forse quando si guarda alla revisione costituzionale bisogna essere più pragmatici e meno dogmatici, preoccuparci di più della sostanza (è davvero malato il paziente che stiamo curando o i pazzi siamo noi che pretendiamo di mettergli le mani addosso senza avere alcuna cognizione di causa in materia) e qui la sostanza è che il bicameralismo nel nostro paese non è mai stato appieno compreso e da molti anni è il facile signor Malaussene di una incapacità di pluralismo, sintesi e indirizzo che ha radici storiche molto antiche e ostinatamente pervicaci.
4 – Quello che accade oggi è che la funzione di revisione costituzionale è stata attratta dall’indirizzo politico di maggioranza. Che non si può dire che la funzione di revisione costituzionale è estranea al circuito fiduciario che collega Parlamento e Governo quando il Capo del Governo dice esplicitamente che se la proposta di revisione costituzionale non fosse approvata esattamente come proposta dal Governo, il Governo si dimetterà. Che non si può dire che non vi è un monopolio implicito del Governo in materia di presentazione dei disegni di legge di revisione costituzionale e che in questa materia massima deve essere aperta la strada alla presentazione di disegni di legge da parte di ogni minoranza, quando il rapporto fra Parlamento e Governo è cambiato, quando è solo la forza della questione di fiducia che garantisce l’approvazione di un qualsiasi disegno di legge che abbia un minimo contenuto politico e questo è accaduto attraverso il percolamento dello spirito del maggioritario imposto da quell’obiettivo di restituzione dello scettro al principe mascherato in chiave di meccanismo. Che non si può dire che l’approvazione di un disegno di legge di revisione costituzionale potrebbe avvenire anche a Governo dimissionario, quando la conseguenza delle dimissioni del Governo non potrebbe essere che lo scioglimento anticipato della Legislatura e mi pare davvero complicato sostenere che le Camere sciolte possano approvare la seconda lettura, magari anche all’unanimità, di una revisione costituzionale.
Non viviamo tempi facili e non li viviamo in un paese per vecchi.
Le osservazioni da cui si è partiti sono corrette. Ma forse si fondano su una visione della rigidità costituzionale che non è più attuale e che è davvero difficilmente praticabile, perché, in fondo, se questa proposta di revisione di superamento del bicameralismo dovesse essere approvata sotto la spinta (la frusta, si direbbe nel Regno Unito) di un gabinetto che si muove come il comitato legislativo del Parlamento anche in materia di revisione costituzionale, se con questa vicenda si concludesse un percorso per cui la revisione costituzionale entra nel circuito fiduciario, se si arrivasse perfino al punto in cui salta, a maggioranza, la clausola nemine contradicente, la revisione della Costituzione e il superamento del bicameralismo potrebbero essere considerati incostituzionali?
No, perché alla fine il 138 vivente dice solo che sono necessarie quattro delibere, le seconde a maggioranza assoluta e senza possibilità di referendum approvativo quando la maggioranza è di due terzi in ciascuna Camera e a queste maggioranze è possibile tutto, con buona pace della dottrina solange, che qui davvero opera come una nebulosa collocata a miliardi di anni luce di distanza dalla galassia centrale.
5 – E’ necessaria, però, una precisazione: quello che si è indicato non è un gioco facile, non lo possono praticare stomaci deboli, perché se l’indirizzo politico di maggioranza può cambiare a proprio piacimento il testo costituzionale, è assai difficile che una riforma costituzionale non condivisa raggiunga il quorum dei due terzi necessario a evitare lo scoglio del referendum approvativo.
Di conseguenza, chi intraprende questo gioco sa perfettamente che non solo che il Parlamento andrà a casa nel caso in cui non approvi la riforma costituzionale il premier ha imposto, ma anche che quella riforma costituzionale condurrà il premier a un referendum e questo referendum riguarderà esattamente la persona del premier e il suo carisma piuttosto che la proposta di modifica della Costituzione.
Che poi questo gioco sia più pericoloso per la tenuta della Costituzione o per la sopravvivenza del premier è difficile da dire.
L’unica cosa è che oramai non si possono più dire cose vecchie con parole nuove. E’ arrivato il momento di guardare le cose nuove ma vecchie con il loro nome e questo nome non è più rigidità della Costituzione.