In pratica e sempre schematicamente (Le conseguenze del terremoto costituzionale dal punto di vista delle primarie)
1 – Ieri, Renzi ha ricevuto una valanga di consensi come segretario del Partito democratico.
Non anche come candidato leader del centrosinistra.
E neppure come effettivo leader dell’attuale maggioranza parlamentare.
In altre parole, le primarie che ieri si sono concluse sono iniziate come il processo di investitura di un leader di partito che sarebbe anche stato il candidato premier in una non lontana competizione elettorale e comunque il whip della maggioranza parlamentare e sono finite con poco più o poco meno di un segretario della Democrazia cristiana ai tempi di Rumor.
2 – Il perché è nel comunicato stampa con cui la Corte costituzionale ha avviato il terremoto costituzionale in cui ci stiamo tutti dibattendo.
Il terremoto costituzionale riguarda:
(a) la possibilità per le coalizioni di indicare il candidato premier in sede di accordo di coalizione, che era strettamente connessa alla presentazione di liste bloccate e soprattutto ai premi di maggioranza;
(b) la possibilità di presentare liste bloccate;
(c) i premi di maggioranza.
3 – Se non è più possibile indicare il leader della coalizione come candidato premier, si espandono nuovamente le prerogative del Capo dello Stato in sede post elettorale e il Presidente di una repubblica proporzionale è massimamente libero nella costruzione dell’accordo di maggioranza, che sarà minimamente imposto dai risultati elettorali.
Sotto questo aspetto, Renzi è destinato ad affrontare delle elezioni in cui non si presenterà più come il candidato alla carica di imperatore eletto dal popolo, ma sarà unicamente uno dei leader di partito costretti a negoziare insieme agli altri leader un difficile accordo di maggioranza, magari destinato a durare il battito di ciglia balneare di un governo Fanfani o Andreotti.
E’ una situazione che logora chiunque.
4 – Se non è più possibile presentare liste bloccate, Renzi si troverà a dover gestire una maggioranza parlamentare senza lo strumento più forte nelle sue mani, che è dato dalla possibilità di vincolare la fedeltà dei parlamentari con la loro presenza o meno nelle liste elettorali.
Ovvero dalla possibilità, effettiva, di rottamare i meno fedeli dei parlamentari del proprio schieramento.
Questa possibilità non c’è più.
Il che significa che tutti coloro, che sono saliti sul carro di Renzi all’ultimo momento: Veltroni, Verini, Ceccanti, Morassut, Morando, fra i Veltroniani; Gozi, Parisi, Recchia, Levi, fra i Prodiani; Franceschini, Fassino, Sereni, Picierno, Zanda, di Area Dem; Latorre ed Emiliano, ex Dalemiani; Merola, Bonaccini, ex Bersaniani; Boccia, lettiano, ecc., possono anche scendere, non perché rottamati, ma perché aderenti a una corrente che potrebbe assicurare loro una preferenza sulla scheda elettorale indipendentemente dalle indicazioni del segretario del partito.
Non è una bella situazione: il puntuale rispetto dell’art. 67, Cost., infatti, si contrappone alla forza del segretario nell’assicurare il collegamento fra il partito di cui incarna l’andamento e il gruppo parlamentare che conquista ulteriore autonomia.
5 – Il venire meno dei premi di maggioranza, di cui non si può negare l’irragionevolezza e l’illogicità, fa cadere anche l’idea di una governabilità basata su di un cartello elettorale.
Ma l’elezione di Renzi a segretario si basa esattamente su questo: un uomo capace di guidare la sinistra al di là delle vecchie logiche.
6 – In questa situazione, forse, non è impossibile vedere dietro la sentenza (rectius il comunicato stampa) della Corte costituzionale qualcos’altro rispetto all’autorità e all’efficacia della Costituzione.
Si intravede, forse, l’orizzonte delle primarie che si sarebbero svolte di lì a pochi giorni.
E’ quello, e la necessità di attenuare la loro forza potenzialmente dirompente per l’intero scenario politico puntellando l’esistente, il vero punto di aggressione della Corte costituzionale.
Nulla di nuovo, ma nemmeno niente di allegro.