La moglie di Cesare non ha sposato Formigoni
L’Italia si caratterizza per l’essere un paese tanto ricco da un punto di vista turistico–culturale quanto insoddisfacente da un punto di vista politico-economico. Due caratteristiche, tra le tante, lo contraddistinguono, ovvero l’essere il paese della monotemia e della eccezione. Che il nostro paese sia afflitto dalla monotemia è evidente. Il cittadino, sia che legga i giornali o guardi la tv, sia che si affidi alla fibra ottica, si rende facilmente conto che, in un dato periodo temporale più o meno lungo, gli ordinari mezzi di comunicazione di massa si concentrano su una ed una sola notizia, lasciando nell’ombra – o quasi – tutto il resto. In questa fine estate non così torrida l’argomento che rimbalza e rimbomba in ogni luogo e in ogni dove è la “inagibilità politica di B. e la incostituzionalità del d.lgs. 235/2012”. Il Testo Unico nasce a seguito della legge delega n. 190/2012 e si pone nell’alveo di quel recente orientamento che mira a ripulire il nostro sistema politico da personaggi non proprio qualificabili come modelli di virtù ed esempi da seguire. Usando un pò più di tecnicismo linguistico si può affermare che le disposizioni in materia di incandidabilità emanate nel dicembre 2012 mirano a creare le condizioni per un sistema trasparente di rappresentanza in Parlamento, puntando a restituire ai cittadini la necessaria fiducia nei confronti dei candidati alle elezioni politiche europee, nazionali e locali e delle istituzioni che rappresentano. La fiducia riposta nei cittadini si è infatti pian piano affievolita fino quasi a perdersi a seguito del susseguirsi di indagini giudiziarie, avvisi di garanzia e sentenze di condanna a carico dei rappresentanti della classe politica. Come si suole dire in dialetto toscano e napoletano i cittadini italiani si sono ritrovati “becchi e bastonati”, “cornuti e mazziati”. E questo perché accanto alla crisi che pare non arrestarsi e continua a macinare vittime (e l’espressione non è aimè metaforica) e al continuo aumento delle tasse (la recente eliminazione dell’IMU e l’introduzione della Serbin-tax non è altro che un gatto che esce dalla porta e rientra dalla finestra nella logica degli sgravi che creano aggravi) ci vediamo rappresentati da soggetti che sono accusati – e in taluni casi condannati – di aver commesso reati penali. Tutto ciò ha contribuito ad alimentare un clima di sfiducia diffusa e, in particolare di delegittimazione nei confronti delle istituzioni della Repubblica e dei loro rappresentanti. La perdita della fiducia ha colpito soprattutto le nuove generazioni che, accanto alla perdita di fiducia nelle istituzioni rappresentative hanno anche perso la possibilità del posto di lavoro a tempo indeterminato – volgarmente detto posto fisso – o meglio….hanno perso la possibilità del posto di lavoro. Tutto ciò ha portati i giovani ad allontanarsi dai partiti storici e ad avvicinarsi a quella che è la novità politica del momento ovvero quel movimento che ha fatto della trasparenza e della pulizia della vecchia classe dirigente la sua bandiera e il suo punto di forza. E così tanti hanno votato “Un buffone in mezzo a tanti pagliacci”. Al di là delle enormi differenze che vi sono tra Grillo e Monti, sotto la cui presidenza è stata emanato il d.lgs. 235/12, una cosa li accomuna: l’esigenza di dare vita a una camera rappresentativa composta di persone che abbiano agito ed agiscano nel rispetto della legalità e della trasparenza e che non si siano macchiati di reati tali da ledere l’onore e il rispetto dello Stato. E questo lo si legge a chiare lettere sia nel comunicato stampa del CdM n. 57 del 6 dicembre 2012 sia nelle discussioni della I e della II sottocomissione della Commissione giustizia e affari costituzionali, le quali, per consueta prassi, hanno analizzato lo schema di Decreto esponendo il loro parere al governo. E tornando dal punto con il quale avevo esordito, oggi, con la condanna di B. e il dilemma della sua imminente decadenza, la monotemia si concentra proprio sul suddetto decreto legislativo, meglio conosciuto come Legge Severino ovvero sulla sua presunta incostituzionalità. Secondo i sei pareri depositati pro B. presso la Giunta per le autorizzazioni molteplici sarebbero le questioni di legittimità costituzionale da sollevare. In primo luogo vi sarebbe un eccesso di delega legislativa poichè il Governo avrebbe ecceduto rispetto alla delega concessa dal Parlamento con l’articolo 1 comma 63 della legge 190/2012, in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 76 della nostra Carta Costituzionale. In secondo luogo, appurata la natura penale della sanzione, vi sarebbe un’applicazione retroattiva del d.lgs. 235/12 in quanto il fatto di reato per il quale B. è stato condannato è accaduto precedentemente alla entrata in vigore del decreto del quale si discute, in patente violazione dell’art. 25, comma 2 Cost. Effettivamente, leggendo il decreto e la legge delega, e anche alla luce di quanto asserito dai pareri pro veritate, un qualche dubbio sulla legittimità del d.lgs. 235/12 non può non sorgere. Il vero problema però non è se il d.lgs. 235/12 sia incostituzionale o meno. A dare risposta a tale quesito ci penserà, eventualmente, la Corte Costituzionale che su tali interrogativi ha il monopolio. Il nodo della questione, che vorrei sottolineare, è infatti un altro: non ci dovrebbe essere, in un paese civile del III millennio, una così ampia discussione su B. e sulla decreto che comportebbe la sua ascesa politica. E questo perché in una tal situazione il comportamento doveroso di chi riveste un ruolo politico-istituzionale dovrebbe essere uno e uno solo soltanto: le dimissioni. E questo vale in generale per ogni rappresentante politico italiano che è destinatario di un avviso di garanzia o di una condanna, anche non definitiva. La ragione è semplice: chi ricopre un ruolo politico-istituzionale, non essendo un semplice cittadino ma bensì un cittadino particolare in quanto titolare di un ruolo di importanza strategica nell’ordinamento giuridico deve necessariamente tenere una condotta di vita pulita e trasparente. Se la condotta si priva del requisito della cristallinità è opportuno abbandonare quel ruolo politico e l’abbandono si profila quale atto dovuto. Ma la prassi, in Italia, non è mai andata in questa direzione. Ed è qui che il paese della monotemia diventa anche il paese della eccezione che conferma la regola dei paesi diversi dal nostro. Ricordo solo alcuni degli innumerevoli casi di questo genere, casi i quali hanno inevitabilmente portato al d.lgs 235/12 e della cui legittimità oggi si discute. In primo luogo c’è il noto caso dell’esponente del Partito delle Libertà Marcello Dell’Utri. Dell’Utri è stato senatore del PdL in ben tre legislature. L’Onorevole vanta un curriculum di tutto rispetto in quanto è stato condannato per false fatture, falso in bilancio e frode fiscale in via definitiva, è stato condannato in appello per tentata estorsione mafiosa ed infine – se così si può dire – il 25 marzo è giunta nei suoi confronti la condanna in secondo grado a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa ma annullata con rinvio dalla Cassazione. Nonostante gli avvisi di garanzia e le condanne Dell’Utri sedeva in Parlamento. Altro caso è quello di Sergio d’Elia, deputato nella XV legislatura ed esponente del partito dei Radicali Italiani (i nuovi compagni di merende di B.). Il 24 aprile 1983 la Corte d’Assise di Firenze condannò Sergio D’Elia a 30 anni di reclusione per concorso in omicidio per l’uccisione dell’agente Fausto Dionisi nell’assalto al carcere delle Murate a Firenze del 20 gennaio 1978. Conseguentemente Il 1º febbraio 1985 i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Firenze condannarono Sergio D’Elia a 25 anni di reclusione sulla base di 31 capi di imputazione tra cui il concorso nel tentativo di evasione dal carcere delle Murate di Firenze. Anche qui una condanna e nonostante ciò l’onorevole era rappresentante dei cittadini italiani. Per non parlare dell’ex presidente della Senato – e attualmente capogruppo al Senato per il Popolo delle Libertà – Renato Schifani, indagato a Palermo per mafia. Dulcis in fundo mi preme ricordare il fatto che nel 2008 B. era imputato per corruzione giudiziaria, concussione, prostituzione minorile, frode fiscale, appropriazione indebita e falso in bilancio e nonostante ciò il presidente Napolitano, al momento di dargli l’incarico nel 2008, non fece una piega. Ma anche il panorama regionale non è da meno in fatto di rappresentanti non immacolati. Uno tra tutti rende l’idea: l’ex consigliere regionale del Lazio Franco Fiorito. L’ex consigliere del PdL nel settembre dello scorso anno venne dichiarato indagato prima per peculato – poiché avrebbe dirottato ingenti quantità di denaro destinato al suo partito e alla Regione sui suoi conti bancari italiani ed esteri – e successivamente per associazione per delinquere. Dall’indagine emerse una sorta di “sistema” per sfruttare i fondi pubblici – destinati per legge ai vari gruppi consiliari – per fini personali da parte dei singoli consiglieri laziali. In particolare la Corte dei Conti quantificò in 21 milioni di euro la somma che a suo tempo si sono spartiti i dodici partiti laziali che hanno partecipato alla competizione per le elezioni regionali del 28 e del 29 marzo 2010. Principalmente ad aver goduto dei rimborsi sarebbe stata la lista “Renata Polverini presidente” che venne anche lei travolta dallo scandalo. E che dire del nutrito curriculum dell’ex presidente della Regione Lombardia ed attuale senatore del Partito di B, l’On. Roberto Formigoni, che ha ricevuto una condanna per diffamazione ed è stato indagato in molti altri processi dai quali, è comunque giusto dirlo, è stato assolto (l’inchiesta sulla bonifica della discarica del comune di Cerro Maggiore, l’inchiesta su ambiente e inquinamento nata da un esposto del Codacons per un presunto sforamento dei limiti di concentrazioni delle polveri sottili a Milano) e che è attualmente indagato per corruzione e associazione per delinquere nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità privata in Lombardia nella quale è già implicato l’amico e fiduciario svizzero Pierangelo Daccò. Ma i sopracitati sono solo alcuni esempi perché molteplici – e le tre cifre non basterebbero – sono i deputati, senatori e consiglieri regionali che nonostante gli avvisi di garanzia e le condanne in primo grado o addirittura in Cassazione hanno continuato e continuano a sedere con nonchalance in Parlamento. In nessun Paese dell’Occidente civile uno solo di loro siederebbe o avrebbe continuato a risiedere mai in Parlamento. Ma l’Italia, come sempre, fa eccezione. Tristemente e vergognosamente eccezione. E così in nessun paese dell’Occidente B. sarebbe ancora in Parlamento o a depositare pareri pro veritate per convincere la giunta per le autorizzazioni a sollevare la q.l.c. del d.lgs. 235/12. Ma ancora una volta l’Italia fa eccezione e si ridicolizza davanti al mondo. All’estero è il pettegolezzo, o poco di più, che implica le dimissioni del politico. E questo perché nella cultura dei paesi europei occidentali diverso dal nostro colui che fa politica deve tenere una condotta di vita impeccabile che mai si deve o si può sporcare. E se la condotta si sporca la macchia è indelebile ed una sola è la soluzione: la via di uscita. E’ uno di quei casi dove la via di uscita viene intesa nel senso letterale dell’espressione ovvero l’uscita dalle scene. Cade il sipario sul politico che altro non fa se non rassegnare le proprie dimissioni. Ne cito alcuni, per rendere l’idea e rammaricarci di come tali episodi non si siano mai verificati nel nostro paese. L’On. Ilkka Kanerva, ministro degli affari esteri finlandese tra il 2007 e il 2008 rassegnò le sue dimissioni a causa di uno scandalo che lo coinvolse ovvero centinaia di messaggi sms da lui inviati via cellulare a una ballerina erotica. Più triste la vicenda di E Karl-Theodor zu Guttenberg, ministro della difesa del governo Merkel. Per lui tante accalamazioni sino a quando la Süddeutsche Zeitung ha rivelato che ha copiato parte della tesi di dottorato. In primis rinunciò al titolo di studio e alla fine rassegnò le proprie dimissioni. Senza dubbio ha commesso un errore ma il suo sbaglio non è di certo paragonabile alle sentenze di condanna o agli avvisi di garanzia di cui invece sono destinatari i nostri politici italiani. Una lista aperta ed in continuo divenire un pò come l’art. 2 della Costituzionale quella dei politici che si dimettono all’estero, come già detto, anche per un solo pettegolezzo. Pettegolezzo che costò caro alla moglie di Cesare, Pompea Silla, che non solo non doveva esser colpevole ma neppur sospettata di esserlo. Ma il sospetto ci fu e col sospetto il ripudio. Plutarco ci racconta che voci la accusarono di aver tradito Cesare con Clodio, innamorato di lei e che lei “ non ne era malcontenta”. Il filosofo greco racconta che un giorno Clodio fu scoperto in abiti femminili nella casa di Cesare durante la cerimonia della Dea Bona, culto la cui partecipazione era preclusa agli uomini. Di lì Cesare ripudiò Pompea. Poi, durante il processo nei confronti di Clodio per empietà, Cesare, chiamato a deporre, dichiarò che nulla sapeva dell’accaduto. Di talchè la domanda naturale che gli si pose fu la ragione del ripudio della povera Pompea se nulla sapeva dell’episodio. La risposta fu esempleare e tanto attuale, sebbene molti secoli dalla stessa siano trascorsi: “perché mia moglie non deve neppur essere sospettata”. E allora, forse, anche i politici dovrebbero ricordarsi della moglie di Cesare poiché come Pompea, anche chi occupa alte posizioni istituzionali e politiche all’interno dello stato non deve essere oggetto di pettegolezzi, ne’ destinatario di avvisi di garanzia né tantomeno destinatario di condanne penali. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.