AMBIZIONE DI PRIMATO E SISTEMI ELETTORALI
Uno dei sistemi elettorali che riscuote maggiore successo fra i commentatori, come possibile alternativa all’attuale legge elettorale, pare essere quello del doppio turno di coalizione. Sembra che il primo ad “inventare” questo sistema elettorale sia stato Pasquino nel 1984, poi ripreso da D’Alimonte ed ancora “impropriamente” riutilizzato nella Commissione dei 35 tecnici da Violante che, invece di “inventarsi” nuove soluzioni elettorali, ha “copiato sistemi elettorali formulati da altri”. D’Alimonte prima su Il Corriere della sera del 21 agosto e Pasquino poi su quello del 28 agosto si sono lamentati che Violante non li avesse citati quali “ideatori” di quel sistema elettorale, ma si fosse limitato a parlare del doppio turno di coalizione come migliore soluzione di riforma elettorale.
Se non fossero in gioco aspetti essenziali per il sistema istituzionale italiano, dovremmo limitarci ad una risata e constatare che forse questa diatriba non dovrebbe impegnare le migliori menti politologiche italiane, che invece dovrebbero proporre quello che effettivamente “ora” in questo contesto storico-partitico sia necessario per superare l’impasse.
Senza fare da avvocato difensore di Violante, che non ha certo bisogno di nessuna tutela, si può solo constatare che l’ex Presidente della Camera, insieme ad altri componenti della Commissione, ha ipotizzato, alla fine di un percorso più ampio di discussione sulle riforme istituzionali, che, in questo momento storico ed insieme ad una serie di altre modifiche, fosse possibile ipotizzare, come sistema elettorale da introdurre in sostituzione alla legge Calderoli, appunto, un sistema con doppio turno di coalizione.
Quindi indipendentemente dalla valutazione di chi ha ipotizzato per primo la introduzione in Italia di tale sistema elettorale, occorre verificare cosa significhi esattamente doppio turno di coalizione e quali sono le conseguenze che derivano da tale sistema elettorale. Il modello Pasquino ha una base di partenza sicuramente diversa in quanto prevedeva 500 deputati, quando invece nella Commissione di esperti si è parlato di un dimezzamento dei deputati (quindi 315/ 400 al massimo). Pasquino prevedeva poi l’assegnazione di 400 seggi con sistema proporzionale, mentre i restanti 100 seggi dovevano essere attribuiti in un secondo turno. Settantacinque sarebbero stati attribuiti al partito o alla coalizione con più voti, a condizione che ne ottenesse almeno il 40%, mentre 25 seggi dovevano essere assegnati a chi arriva secondo. Al secondo turno potevano partecipare tutti i partiti o le coalizioni che presentassero un programma di governo e indicassero in maniera vincolante un candidato primo ministro e un candidato vice-primo ministro. Si trattava quindi di una soluzione che applicata alla situazione politico-istituzionale attuale con la presenza di tre forze politiche con pari forza rappresentativa ed incompatibili fra di loro, non potrebbe funzionare o, meglio, non potrebbe “restituire” ai cittadini quello “scettro” rappresentato dalla possibilità di scegliere il proprio governo, di cui parla appunto Pasquino e che fra l’altro viene riportato nel titolo del suo più noto libro sulla materia Restituire lo scettro al principe, Laterza 1985. Anche tale sistema elettorale applicato in questo contesto di partiti, porterebbe ad un governo di “grande coalizione” con tutti i pregi ma anche i difetti che questo può determinare (sempre che si riuscisse a formarlo, viste le difficoltà, ad esempio di formazione e di “mantenimento in vita” dell’attuale governo Letta).
Il meccanismo del doppio turno alla francese tuttavia, di cui a lungo è stato fatto richiamo nella Commissione di esperti, sia da parte di coloro che auspicano l’inserimento di un semipresidenzialismo (che quindi considera come essenziale anche il recepimento di quel sistema elettorale), sia anche da parte di chi sostiene il mantenimento di una forma di governo parlamentare, sia pur “razionalizzata”, è stato peraltro considerato come una soluzione percorribile, a condizione che al secondo turno potessero accedere soltanto due partiti o, secondo i più, compreso Violante, le coalizioni. Coalizioni che devono essere formate già prima delle elezioni (ma su questo aspetto si potrebbero sollevare dei dubbi – cfr. ultra), escludendo la possibilità di accordi solo a fini elettorali che poi porterebbero a governi instabili o comunque con latenti motivi di incompatibilità.
Quello che in altre parole si intende sottolineare è la necessità di scegliere un sistema elettorale che consenta effettivamente al cittadino di partecipare attivamente nella definizione del governo del Paese e questo può essere raggiunto sia con meccanismi che agevolino una maggiore partecipazione nella selezione dei candidati, sia nella scelta dei rappresentanti e, cosa ancor più importante, di chi dovrà essere il Presidente del Consiglio. Da qui la valorizzazione che è stata data in questi anni alle primarie, che, in realtà, solo alcuni partiti hanno utilizzato, da qui, ancora, la preferenza espressa verso il sistema elettorale uninominale, da qui, ancora, la richiesta di tornare alle preferenze, per non parlare poi dell’incremento dei fautori del sistema semipresidenziale.
Anche se si intendesse introdurre il sistema del doppio turno di coalizione, si dovrebbe, tuttavia sciogliere alcuni nodi preliminari, ossia innanzitutto quello del sistema elettorale al primo turno: proporzionale o uninominale, proporzionale con soglia di sbarramento oppure senza soglia, circoscrizioni piccole o grandi. Insomma non tutto pare definito e più che altro occorre capire se, senza una riforma più complessa della forma di governo, come quella che potrebbe emergere dal lavoro del Comitato parlamentare (che, fra l’altro viene definito “per le riforme costituzionali ed elettorali”) e dalla riforma così come ipotizzata dal disegno di legge costituzionale presentato da Letta (A.C. 1359), si possa e si debba in ogni caso arrivare alla riforma della legge elettorale.
Sicuramente la legge Calderoli è una delle peggiori leggi elettorali che si potesse immaginare e, come detto dallo stesso ideatore, uno strumento per forzare la volontà degli elettori (preferendo usare un più opportuno giro di parole), ma dal 2005 ad oggi, nonostante le tante critiche da parte delle due forze politiche maggiori non si è arrivati a nessuna modifica proprio in quanto non vi era l’interesse politico ad arrivare ad una soluzione diversa. Con la comparsa di una terza forza politica di pari peso politico, la legge Calderoli non consente tuttavia di raggiungere più quegli obiettivi di governabilità che in ogni caso perseguiva, stante un Senato eletto su base regionale e titolare al pari della Camera del voto di fiducia.
Quindi la strada sicuramente da preferire in questo momento dovrebbe essere quella delle riforme istituzionali in modo pieno e completo, che ovviamente comprenderebbe come parte complementare ma strettamente connessa anche la legge elettorale; da preferire in quanto non si può pensare che l’obiettivo principale che si intende perseguire, ossia la stabilità governativa, possa essere raggiunto solo attraverso la modifica della legge elettorale. Vari sistemi elettorali sono stati testati negli ultimi vent’anni in Italia: si è passati dal sistema proporzionale a quello maggioritario con quota proporzionale, si è poi tornati al proporzionale con premio di maggioranza, ma nessuno di questi ha risolto il problema di fondo, ossia la stabilità governativa. D’altra parte non si può pensare che la legge elettorale possa da sola risolvere tale impasse che deriva da una serie di aspetti strettamente connessi: la crisi dei partiti e nello stesso tempo il multipartitismo esasperato del nostro sistema che neppure con l’introduzione del sistema maggioritario siamo riusciti a debellare, ma anzi la tendenza delle varie ex correnti di partito a trasformarsi in partiti. Tendenza che fra l’altro è favorita dalla legge sul finanziamento dei partiti che, come noto, prevede il rimborso delle spese elettorali ai partiti, nonostante che non abbia attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali, in quanto viene versato ai partiti che ottengono anche solo l’1% dei suffragi per tutti e cinque gli anni della legislatura indipendentemente dalla sua durata e indipendentemente dal fatto di essere riusciti ad avere un rappresentante eletto in Parlamento. Cosicché le forze politiche non hanno alcun interesse (economico) a coalizzarsi ed unirsi in un unico partito, ma anzi i singoli esponenti di spicco dei partiti possono avere un interesse contrario a separarsi e ad istituire nuove forme partitiche.
Se tuttavia non si giungesse alle auspicate riforme, che da trent’anni inutilmente si cerca di realizzare, il sistema del doppio turno di coalizione potrebbe essere utilizzabile?
Sicuramente il meccanismo del doppio turno consente al cittadino di scegliere i propri candidati in misura maggiore rispetto a quanto avviene con l’attuale sistema elettorale, ma anche rispetto al sistema uninominale a turno unico. Molto, tuttavia, dipende dal criterio prescelto come base elettorale: proporzionale, maggioritario con quota proporzionale, maggioritario secco ecc.
Se si ritiene che il sistema elettorale abbia come obiettivo non solo quello di attribuire effettivamente una scelta ai cittadini, ma, insieme anche quella di garantire la possibilità di formare un governo, che questo sia stabile ed abbia la possibilità di attuare il proprio indirizzo politico non condizionato dai veti di una minoranza, una strada può essere quella dell’introduzione del sistema uninominale a doppio turno, anche se l’uninominale non garantisce, come invece spesso si dice, un collegamento più stretto all’elettore o, addirittura che “i candidati siano scelti direttamente dai cittadini”. Certo la possibilità di eleggere un solo candidato in ogni circoscrizione spinge i partiti a scegliere quello che ha maggiori possibilità di essere eletto, ma questo non esclude che in determinate zone “sicure” (indipendentemente da chi è inserito nella lista) il partito possa imporre un candidato (situazione questa che si può presentare spesso in Italia), così da far venir meno quegli obiettivi di trasparenza, lotta alla corruzione, riavvicinamento dei cittadini alla politica, che con il sistema uninominale si voleva introdurre.
Qualora si scelga il sistema elettorale con doppio turno di collegio, si può pensare anche di introdurre un uninominale sui generis (già esplicitato da Lorenza Carlassare), nel senso che, pur essendo il collegio uninominale, ogni partito possa/debba indicare nella lista non un solo nome, ma un numero maggiore (3/5), consentendo così agli elettori di scegliere quale fra i candidati è maggiormente gradito e nello stesso tempo al partito (e al candidato più votato) di raccogliere un maggior numero di voti (ossia i voti che ciascun candidato porta con sé indipendentemente dallo stretto collegamento con il partito e avendo presente le varie correnti interne ai partiti). In questo modo si potrebbero evitare anche le primarie e verrebbe lasciata agli elettori effettivamente la scelta del candidato, scelta che, con il sistema uninominale secco anche con collegi piccoli e con l’apparente collegamento con il territorio, non può essere raggiunto. Tale modello, fra l’altro, consentirebbe anche in questo caso di garantire un obbligo di differenza di genere fra i candidati.
Se già il sistema uninominale induce i partiti a coalizzarsi e quindi riduce già con la sua introduzione il numero dei partiti, nello stesso tempo non si può escludere che anche con questo sistema nessun partito e/o coalizione riesca a raggiungere la maggioranza e quindi a formare un governo. Questo impone che (se nessuno dei partiti-coalizioni raggiunge la maggioranza) sia prevista la possibilità di attribuire al secondo turno fra i due partiti-coalizioni più votate, un premio di maggioranza, che da un lato garantisca la possibilità di formare un governo e dall’altro la possibilità ai cittadini di scegliere a chi attribuire il premio di maggioranza e non garantirlo, come previsto nell’attuale legge Calderoli, a quel partito-coalizione che indipendentemente dal numero di voti ottenuti, ne abbia anche solo uno più degli altri e quindi di fatto sia poco rappresentativo del corpo elettorale.
Rimane un dubbio, a mio avviso, il premio di maggioranza deve essere attribuito al partito o alla coalizione formata prima delle elezioni?
Normalmente si dice che è opportuno che la coalizione si formi precedentemente su un programma definito al fine di evitare che in fase di ballottaggio o, in questo caso, di secondo turno si formino maggioranze temporanee createsi a fini solo elettorali che si sciolgono poi alla prima difficoltà sopraggiunta. Ma, occorre domandarsi: se al secondo turno vanno solo i due partiti maggiormente votati e se in ogni caso i rappresentanti saranno solo quelli del partito che ottiene il 50% + 1 dei voti, come possono gli altri partiti condizionare i rappresentanti del partito che ottiene poi la maggioranza assoluta? Non si avrebbe finalmente, con un premio al partito, la possibilità di lasciare al cittadino la possibilità di scegliere quale partito e quale esponente del partito deve effettivamente governare, escludendo così coalizioni forzate e governi condizionati e ricattati.