Amplesso (Diritto fondamentale all’). Divertissement a prima lettura su Corte cost. 301/2012
Leggere le sentenze della Corte costituzionale può essere molto noioso. In special modo, per chi scrive, quando si tratta di sentenze mostruosamente lunghe attinenti al riparto di competenze fra Stato e Regioni.
Capita però talvolta di imbattersi in questioni parecchio divertenti (anche se pure in questo caso qualche profilo di tristezza emerge, come si vedrà). Mai mi era capitato però di imbattermi in una questione di costituzionalità diciamo “piccante”.
Prologo: il Magistrato di Sorveglianza di Firenze solleva eccezione di legittimità costituzionale in merito all’art. 18 della l. n. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) “nella parte in cui prevede il controllo visivo del personale di custodia sui colloqui dei detenuti e degli internati, impedendo così a questi ultimi di avere rapporti affettivi intimi, anche sessuali, con il coniuge o con la persona ad essi legata da uno stabile rapporto di convivenza”.
Una prima obiezione da fare nell’ottica di un divertissement potrebbe essere questa: il detenuto e la persona a esso legata potrebbero essere due esibizionisti e non essere per nulla infastiditi dalla cosa, anzi, potrebbe essere un pieno sviluppo della loro personalità sessuale ciò che il giudice a quo (il giudice che solleva la questione di incostituzionalità, per i profani) lamenta essere una situazione incostituzionale.
Ma cerchiamo di essere seri e analizziamo i parametri di costituzionalità invocati per censurare la disposizione.
I più interessanti, come al solito, sono i più banali: gli artt. 2 e 3 Cost., cioè, a mio parere, la Grundnorm della Grundnorm. Insomma, una Costituzione al quadrato. Appoggiandosi a tali parametri (con l’aggiunta dell’art. 27) il giudice a quo ricostruisce “il diritto del detenuto al rapporto sessuale con il coniuge o con il convivente stabile, nel più ampio ambito della espressione dell’affettività” e il dovere dello Stato di rimuovere gli ostacoli alla sua realizzazione.
In questa parte dell’ordinanza (ricostruita nel Ritenuto in fatto della sentenza) ci si diverte assai poco: l'(h)ardito giudice a quo, che tenta meritoriamente di porre all’attenzione la necessità di rimuovere un deficit del nostro ordinamento penitenziario si fa improvvisamente bacchettone. E dei peggiori. Diritto all’amplesso sì, ma con giudizio. Non con il primo che passa, ma solo con il coniuge o il convivente stabile. E, naturalmente, amplesso sì, ma romantico, solo nel più ampio ambito dell’espressione dell’affettività. Pare di leggere il catechismo, non fosse per quell’apertura al sesso prematrimoniale e/o paramatrimoniale.
Ma la cosa più triste è l’immediato seguito, dove si legge: l’astinenza sessuale coatta, colpendo il corpo in una delle sue funzioni fondamentali, determinerebbe, infatti, il ricorso a pratiche innaturali, quali la masturbazione e l’omosessualità ricercata o imposta, che non solo ostacolerebbero il pieno sviluppo della personalità del detenuto, ma la avvilirebbero profondamente. Che dire? Un giudice che solleva una questione così seria dovrebbe cercare di essere un po’ più serio e un po’ meno unilaterale almeno di chi sta scrivendo quest’improvviso. E lasciar perdere il giusnaturalismo della sessualità. Non essendo omosessuale (o, per lo meno, non essendomene ancora accorto) e non avendo (fino a oggi) mai praticato sesso “innaturalmente”, non mi sento di esprimere giudizi su tale pratica. Ci diranno qualcosa i costituzionalisti innaturalmente praticanti. Ma la difesa della masturbazione come pratica naturalissima e meritoria meriterebbe da parte mia una orazione ciceroniana che qui, purtroppo, non posso svolgere (basterà allora cedere la parola a persona ben più autorevole del sottoscritto, ossia Woody Allen: http://www.youtube.com/watch?v=Yc1eIE0S74E).
Ma torniamo a essere seri.
Dopo due parametri che risultano nella ricostruzione non troppo conferenti (o forse sì, nell’ottica dell’impostazione da diritto canonico che sembra emergere qua e là), l’art. 29 e l’art. 31 (addirittura l’art. 18 sospettato di incostituzionalità impedirebbe la maternità, si legge), viene richiamato il parametro che forse avrebbe meritato la maggiore considerazione, ossia l’art. 32, cioè il diritto alla salute.
Ma anche qui, purtroppo, si legge tristemente solo che il ricorso alla masturbazione o a pratiche omosessuali, conseguente alla forzata astinenza sessuale con il partner, comporterebbe una intensificazione dei rapporti a rischio e la contestuale riduzione delle difese sul piano della salute. Insomma, invece di un bel discorso ecumenico sulla sessualità come dimensione naturale e fondamentale dell’esistenza, funzionale anche a un ottimale equilibrio psico-fisico, il giudice a quo, che evidentemente ignora l’esistenza dei profilattici (ne esistono anche appositi per sesso anale, qualcuno lo informi – http://www.akuel.it/prodotti/?i=1027), ripropone l’idea della masturbazione e dell’omosessualità come disturbi necessariamente nocivi alla salute, da prevenire e curare garantendo ai carcerati l’esercizio del diritto all’amplesso.
Purtroppo, la maldestra motivazione e sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza rende inammissibile la questione. Che difficilmente avrebbe potuto essere accolta anche in presenza di un’ordinanza ben fatta, stante effettivamente la pluralità delle soluzioni possibili nel legiferare sul punto e non bastando, in tutta evidenza, la mera cancellazione dell’art. 18 per rendere effettivo il diritto alla sessualità “intramuraria” del detenuto.
Ma la Corte qualcosa cerca di dire, pur in una sentenza (già lo strumento prescelto denota probabilmente la volontà di parlare) di inammissibilità. Lascio da parte i dettagli tecnici su rilevanza, genericità del petitum, senso dell’addizione richiesta, ecc., che risulterebbero poco comprensibili per i profani e poco interessanti per il nostro improvviso e mi concentro su quel che nel merito viene detto.
Innanzitutto si richiamano le “fonti” sovranazionali indicate nell’ordinanza di rimessione: due Raccomandazioni del Consiglio d’Europa, una del 1997 e l’altra del 2006, invitano gli Stati membri a migliorare le condizioni per le visite da parte dei membri della famiglia, in particolare mettendo a disposizione luoghi in cui i detenuti possano incontrare i familiari da soli, e a predisporre modalità di visita che consentano di sviluppare relazioni familiari il più possibile normali, con una chiara allusione ai profili affettivi e sessuali. E una Raccomandazione del Parlamento europeo del 2004 che menziona specificamente il diritto a una vita affettiva e sessuale con la necessità di prevedere misure e luoghi appositi per renderlo effettivo.
Poi, dopo aver dichiarato inammissibile la questione per motivi di rito come già anticipato, la Corte dapprima sembra adeguarsi al tono un po’ bigotto dell’ordinanza di rimessione laddove ci parla di “naturale esigenza di intimità connessa ai rapporti in questione” – e gli esibizionisti? per rimaner solo a una delle modalità, forse anche fra le più caste nel panorama odierno diremo, dell’espressione della sessualità – ma poi conclude con una zampata un po’ più libertina, affermando, come in effetti pare logico, che tale diritto alla sessualità “intramoenia” debba essere riconosciuto anche a chi abbia una relazione affettiva consolidata ma non ancora stabilizzatasi in convivenza.
Sempre però nell’ambito del sesso con affetto. Il mero diritto all’amplesso non sembra dunque essere tutelato, per ora.
La questione è seria, al contrario della persona che scrive. Speriamo che un’ordinanza di rimessione meglio impostata e meno bigotta possa dare la possibilità alla Corte di dire qualcosa di ben più approfondito e strutturato.
Nell’attesa, non ci resta dunque che organizzare un PRIN sul Diritto fondamentale all’Amplesso, magari ricavato dall’art. 32 Cost., con possibile conseguente obbligo in capo al Servizio Sanitario Nazionale di fornire le adeguate prestazioni? (con ticket o senza?).
Buon anno e Buona Costituzione a tutti