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Silenzi impenetrabili (Capo dello Stato e procura della Repubblica di Palermo)

in News / by Gian Luca Conti
05/12/2012

Sono silenzi impenetrabili quelli fra il Capo dello Stato e l’on. Nicola Mancino “accidentalmente” intercettati dalla Procura di Palermo nel corso delle indagini sulla trattativa fra il governo della Repubblica ed il governo di cosa nostra ai tempi degli attentati a Falcone e Borsellino e dell’attentato di Firenze.

Lo dice, con lapidaria chiarezza, la Corte costituzionale.

Lapidaria perché la sentenza non si conosce ma si percepisce dal comunicato stampa del Presidente della Corte, Alfonso Quaranta, che ne ha esternato il contenuto.

Di questa sentenza sono due gli aspetti che si possono sottolineare a prima lettura. Il primo è che non è una sentenza, ma un comunicato stampa. Il secondo è il ruolo del Presidente della Repubblica per come lo stesso emerge dai suoi impenetrabili silenzi.

1 – La Corte parla sempre più spesso per comunicati stampa ed i comunicati stampa hanno un significato istituzionale profondamente diverso da quello di una sentenza. Il comunicato stampa serve per diffondere una notizia sui mass media consentendo ai giornalisti di usarlo per scrivere i loro articoli. Lo scopo di un comunicato stampa è riuscire a vedere pubblicata la notizia che contiene sul maggior numero di media. La sentenza del giudice costituzionale serve per far parlare la Costituzione, legittimando il dispositivo sulla base di considerazioni logico – giuridiche il più possibile convincenti.

Una Corte che parla per comunicati stampa indebolisce le proprie sentenze e, quindi, indirettamente la forza retoricamente democratica del proprio discorso giuridico sulla Costituzione.

In sintesi, la sostanza del comunicato stampa è un’azione di marketing per l’organo che lo diffonde, se così posso scrivere, ed è una sostanza, nel caso della Corte costituzionale, apoditticamente sovrana, perché sgancia il contenuto del dispositivo, l’atto di imperio, dalla sua giustificazione costituzionale. Al contrario, la sostanza della sentenza è proprio la giustificazione razionale e democraticamente aperta alla critica del dispositivo.

Una Corte che parla per comunicati stampa indebolisce le proprie sentenze e, quindi, indirettamente la forza retoricamente democratica del proprio discorso giuridico sulla Costituzione.

Costringe gli attori del processo a rinviare ogni commento a dopo la lettura della sentenza e quindi ad accettare la sentenza non perché questa li convince, perché è fondata su un ragionamento logico – giuridico al quale non possono sfuggire senza arrossire.

Sostituire la legittimazione dei propri argomenti con la forza dei dispositivi per un giudice che non ha – e non può avere – ufficiali giudiziari per tradurre in realtà le proprie sentenze è pericoloso.

Non solo: tradisce una paura piuttosto evidente, la paura di vedere apparire sui giornali in forma travisata le indiscrezioni della camera di consiglio ed una Corte che è costretta a procedere per comunicati stampa dalle indiscrezioni è una Corte fragile, la cui debolezza può essere letta come cedevole fragilità del tessuto costituzionale.

Non appare un caso che i primi commenti della Procura di Palermo, affidati a Repubblica da Ingroia, siano stati nel senso di una lettura del fondo di Zagrebelsky, sullo stesso giornale (il 17 agosto 2012), nel senso di una delegittimazione della Corte per effetto di una decisione a favore del Capo dello Stato, perché tale decisione sarebbe stata inevitabile sul piano della opportunità politica ma difficilmente sostenibile sul piano della interpretazione della Costituzione.

In realtà, Zagrebelsky aveva detto una cosa diversa (A perdere sarà anche la Corte: se, per improbabile ipotesi, desse torto al Presidente, sarà accusata d’irresponsabilità; dandogli ragione, sarà accusata di cortigianeria. Il giudice costituzionale, ovviamente, è obbligato al solo diritto. Ma perché così possa essere, è lecito attendersi che gli si risparmi, per quanto possibile, d’essere coinvolto in conflitti di tal genere, non nell’interesse della tranquillità della Corte e dei suoi giudici, ma nell’interesse della tranquillità del diritto) ma quello che conta è che la forma del comunicato stampa ha permesso ad Antonio Ingroia di sostenere una tesi fortemente critica nei confronti del Custode della Costituzione e di appoggiarsi alla autorevolezza di chi ne è un attento studioso ed un emerito Presidente.

2 – Più interessante, forse, il secondo aspetto, che può essere letto provocatoriamente da più profili.

Il primo profilo riguarda il Capo dello Stato nella concreta vicenda, che non è particolarmente edificante. Si narra di una trattativa fra il governo della Repubblica ed il governo di cosa nostra in cui sarebbero stati coinvolti i vertici dello Stato e delle forze di polizia. I confini di questa trattativa non sono mai apparsi con chiarezza e non è facile capire di cosa davvero si sia trattato.

Se, insomma, si tratti di millanterie o di effettive ed intollerabili torsioni del sistema democratico.

La cosa certa è che uno dei soggetti coinvolti nella trattativa è, secondo le indagini, l’ex ministro degli interni Nicola Mancino, il quale si sarebbe in più occasioni rivolto al Quirinale per ottenere lo spostamento e l’accentramento delle indagini, ovvero l’avocazione delle stesse su una sede più comoda alle proprie tesi defensionali.

Si sa anche che il Presidente della Repubblica non ha negato ingresso a queste telefonate e che si è in qualche misura interessato della vicenda: il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, che ha parlato molte volte con Mancino fra il 25 novembre 2011 ed il 5 aprile 2012.

In particolare, il consigliere giuridico sarebbe intervenuto sul procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, per ottenere l’avocazione delle indagini e dopo non aver ricevuto sufficiente ascolto si sarebbe rivolto al procuratore generale presso la Corte di cassazione che è il superiore gerarchico del procuratore nazionale antimafia, cui il 4 aprile 2012 il segretario generale del Presidente della Repubblica avrebbe scritto una lettera formale chiedendo informazioni sul coordinamento delle indagini fra le procure di Firenze, Caltanisetta e Palermo sulla trattativa.

Ma rientra fra le attribuzioni del Presidente della Repubblica chiedere informazioni sul coordinamento di una indagine?

Forse no e forse questo sarebbe un conflitto fra poteri dal saldo tono costituzionale.

Ma rientra fra le attribuzioni del Presidente della Repubblica chiedere informazioni sul coordinamento di una indagine? Forse no e forse questo sarebbe un conflitto fra poteri dal saldo tono costituzionale.

Il Capo dello Stato è un potere del tutto estraneo al circuito delle indagini penali e, per usare il linguaggio delle sentenze in materia di conflitti, non spetta al Presidente della Repubblica chiedere informazioni sul coordinamento di alcune indagini in corso.

Il primo sfondo del conflitto fra Capo dello Stato e Procura di Palermo, perciò, è un altro conflitto, quello vero, in cui la Procura di Palermo avrebbe dovuto chiedere ragione a Napolitano dei suoi interessamenti e non sembra meno grave l’intercettazione casuale del Presidente rispetto alla richiesta di informazioni dello stesso Presidente sulle modalità di coordinamento di un’indagine in corso, tanto più se questa richiesta di informazioni viene sollecitata da uno degli indagati.

3 – Il secondo sfondo del conflitto è dato dalle persone in gioco.

In questo caso, l’ultima fortezza è stata abitata non tanto da poteri dello Stato considerati come astrazioni, ma da persone fisiche.

Da un Presidente della Repubblica dannatamente forte dinanzi al paese, reso straordinariamente forte dal progressivo erodersi del sistema democratico fondato sulla rappresentanza evocato dall’art. 1, Cost., e che non esita ad utilizzare la propria forza.

Da una Procura di Palermo molto attiva e molto sostenuta da una parte dell’opinione pubblica, che ha potuto utilizzare la legittimazione delle proprie indagini anche in chiave politica, al punto che Ingroia è stato ospite di varie manifestazioni politiche estive e che Ferrero ne ha ipotizzato la candidatura come premier della coalizione che Rifondazione comunista e Di Pietro stanno negoziando.

Da una Corte costituzionale di cui Zagrebelsky ha molto bene evidenziato le tensioni ed i timori, e che non poteva non essere consapevole di influenzare con la propria decisione il significato istituzionale della carica più elevata in grado disegnata dalla geografia costituzionale.

la sentenza della Corte è costretta a prendere posizione in un conflitto che non è fra poteri in lotta per la reciproca separazione e sopraffazione, ma fra personaggi politica in cerca di incerte ribalte.

Una consapevolezza che si fa decisamente hard se si tiene presente che i prossimi capi dello Stato potrebbero essere Prodi o Monti e che è a loro, più che a Napolitano, che la Corte sembra aver parlato con il suo comunicato stampa.

In questo secondo sfondo, la sentenza della Corte è costretta a prendere posizione in un conflitto che non è fra poteri in lotta per la reciproca separazione e sopraffazione, ma fra personaggi politica in cerca di incerte ribalte.

Uno sfondo decisamente scomodo per il giudice delle leggi.

4 – Il terzo sfondo è, probabilmente, il più evidente e riguarda il rapporto fra intercettazioni e responsabilità politica.

Le intercettazioni sono divenute uno strumento formidabile di responsabilità politica perché sono il mezzo che rende trasparente il modello della rappresentanza nel senso di spogliare il rappresentante dinanzi ai suoi elettori e mostrare il modo in cui la delega, quella delega che assomiglia ad un’abdicazione, viene esercitata.

Il Capo dello Stato ha ottenuto dalla Corte costituzionale lo status del sacerdote nel confessionale o dell’avvocato nel segreto del rapporto con il cliente.

Le intercettazioni sono divenute uno strumento formidabile di responsabilità politica perché sono il mezzo che rende trasparente il modello della rappresentanza nel senso di spogliare il rappresentante dinanzi ai suoi elettori e mostrare il modo in cui la delega, quella delega che assomiglia ad un’abdicazione, viene esercitata.

Ma questo è compatibile con un Presidente della Repubblica sempre meno custode imparziale del divenire costituzionale e sempre più consapevole attore politico ben al di là delle note tesi in materia di indirizzo politico costituzionale, insomma un Capo dello Stato che non solo costringe un premier designato dal corpo elettorale, sulla base di un meccanismo della cui costituzionalità è più che lecito dubitare, e con una forte maggioranza parlamentare a rassegnare le proprie dimissioni, ma prende indirettamente posizione, per mezzo dei suoi storici compagni di lotta politica, anche nella battaglia fra Renzi e Bersani, ovvero in una disputa interna ad un partito?

In questo sfondo, il comunicato stampa della Corte costituzionale forse deve essere letto non tanto come un esercizio di pacchiana cortigianeria verso un potere divenuto troppo forte per non poter ricevere altro che inchini, quanto come un monito implicito verso l’ipertrofia presidenziale che Napolitano sembra incarnare.

il comunicato stampa della Corte costituzionale forse deve essere letto non tanto come un esercizio di pacchiana cortigianeria verso un potere divenuto troppo forte per non poter ricevere altro che inchini, quanto come un monito implicito verso l’ipertrofia presidenziale che Napolitano sembra incarnare

Un monito che si potrebbe condensare nell’invito a riprendere il proprio posto, che è implicito nella considerazione della irresponsabilità presupposta alla immunità assoluta alla trasparenza: se vuoi essere immune totalmente alle intercettazioni, lo puoi essere perché sei al di fuori di qualsiasi circuito di responsabilità, eccetto i casi limite dell’alto tradimento / attentato alla Costituzione, considerati in endiadi, ma allora devi essere il Presidente della Repubblica completamente neutro e sterile alle influenze politiche disegnato dalla Costituzione.

In altre parole, la Procura di Palermo ha perso 3 a zero, ma Napolitano ha tutt’altro che vinto.

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