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Quello che la Costituzione non può fare (L’ammorbidente infeltrito ed il cambio delle stagioni)

in News / by Gian Luca Conti
07/12/2012

Berlusconi ha ritirato il proprio appoggio al Governo Monti.

Lo ha fatto con la consueta eleganza.

Un’eleganza che svela la sostanza banale di un problema: il Governo resta in carica solo se ha la fiducia del Parlamento, o meglio il Governo deve avere la fiducia delle due camere.

Se il Governo non ha la fiducia delle Camere, si deve dimettere ed il Capo dello Stato ha l’obbligo di sciogliere le camere e di indire nuove elezioni.

Questo vale anche per i governi del Presidente, la cui anomalia è, appunto, di reggersi su di un compromesso politico di cui è parte anche il Capo dello Stato, anziché su una maggioranza parlamentare che trova la propria legittimazione nelle elezioni.

colpiscono le parole di Bersani: Napolitano troverà modi e forme per chiudere questa vicenda

E vale anche se non è il momento più opportuno sui mercati, se la politica ha indossato ancora una volta la maschera di un satiro invecchiato vestito da bambino e se tutto questo accade nel momento in cui la verità dei sondaggi svela che Bersani gode di molti meno appoggi nel paese di quanti ne avrebbe potuti contare Renzi e questo è tutt’altro che irrilevante nelle giustificazioni delle parole di Berlusconi che mira traguardi elettorali che probabilmente non avrebbe potuto raggiungere.

Di conseguenza, colpiscono le parole di Bersani: Napolitano troverà modi e forme per chiudere questa vicenda.

Non è Napolitano che deve trovare modi e forme per obbligare Berlusconi a rinnovare la propria fiducia a Monti, questo compito spetterebbe alle istituzioni della politica, ed in primo luogo al circuito Parlamento – Governo ed alla sua proiezione partitica.

A meno di registrare nuovamente una mutazione del ruolo del Capo dello Stato, che tende a farsi portatore di un proprio indirizzo politico, anche se questo indirizzo politico è diverso da quello legittimato in chiave elettorale.

Un indirizzo politico che tende a manifestarsi sotto la umbratile forma della leale collaborazione, che tende a consistere dell’amalgama di piattaforme politiche inconciliabili sotto la spinta di un’autorevolezza apartitica.

nell’imbarazzo di Monti che sale al Quirinale per ricevere istruzioni, anziché presentarsi alle Camere per discutere della propria linea di governo, vi è lo sconcerto di chi improvvisamente si accorge che lo sciamano non riesce a far diventare caldo l’inverno o più fresca l’estate perché quando diceva di saper far piovere prendeva in giro tutti

L’indirizzo politico del Capo dello Stato non può che essere completamente diverso da quello del Capo del Governo: il secondo ha con sé il plusvalore di legittimazione parlamentare che deriva dal sistema delle liste bloccate e che fa sì che i parlamentari siano diretta espressione della guida della coalizione cui appartengono. Il primo ha il minusvalore di legittimazione che deriva dalla sottomissione delle prerogative di cui a 92, secondo comma all’esito delle urne e quindi dal fatto che la designazione di un presidente del consiglio dei ministri diverso dal capo della coalizione che vincendo la competizione elettorale ha ottenuto di occupare il Parlamento con i propri manipoli lo costringe in una posizione di negazione del principio di maggioranza.

La negazione del principio di maggioranza, se non è sorretta dalla necessità di dare applicazione e svolgimento a valori costituzionali il cui significato normativo possa essere considerato a rime obbligate, è inevitabilmente il frutto di una scelta politica.

anche se non è il momento più opportuno sui mercati, se la politica ha indossato ancora una volta la maschera di un satiro invecchiato vestito da bambino e se tutto questo accade nel momento in cui la verità dei sondaggi svela che Bersani gode di molti meno appoggi nel paese di quanti ne avrebbe potuti contare Renzi e questo è tutt’altro che irrilevante nelle giustificazioni delle parole di Berlusconi che mira traguardi elettorali che probabilmente non avrebbe potuto raggiungere

Questa scelta politica, che si è collocata nella zona umbratile della leale collaborazione fra maggioranza e minoranze in una chiave polifonicamente quirinalizia, è una scelta in cui l’essenza della democrazia (il principio di maggioranza) è sganciata dal suo valore (il crucifige).

Ovvero in cui la serena accettazione della morte imposta al Cristo dal principio di maggioranza ed in cui il Kelsen di Zagrebelsky, se così posso dire, individua il valore essenziale della democrazia non può più essere giustificata senza il riferimento ad un sentimento di verità che è democraticamente assai difficile da costruire.

Nell’invocazione di Bersani alla saggezza di Napolitano, c’è esattamente questo.

Ma nell’incapacità di Napolitano di resistere ad un Berlusconi che fa valere la forza della maggioranza parlamentare, vi è, in un certo senso, un sussulto della Costituzione che confessa di non poter fare tutto, che vi è una regola naturale nello scorrere delle cose, che questa regola vuole la fiducia espressa in base al libero mandato parlamentare ed il libero mandato parlamentare soffocato dal gioco delle liste bloccate.

E nell’imbarazzo di Monti che sale al Quirinale per ricevere istruzioni, anziché presentarsi alle Camere per discutere della propria linea di governo, vi è lo sconcerto di chi improvvisamente si accorge che lo sciamano non riesce a far diventare caldo l’inverno o più fresca l’estate perché quando diceva di saper far piovere prendeva in giro tutti.

 

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