Riforme impossibili: dal porcellum al procellum, con una certa nostalgia per il proporzionale
La riunione dei capigruppo del Senato ha aggiornato l’esame della nuova legge elettorale al prossimo 5 dicembre.
Di nuovo nel vuoto le sollecitazioni del Capo dello Stato, che ha scritto a Giachetti:
“Continuo a ritenere essenziale nell’interesse della nostra vita democratica che l’impegno per la riforma della legge elettorale e quelle aspettative non vengano traditi
Continuando a esercitare la mia sollecitazione istituzionale per lo stesso obiettivo per cui lei si batte, sarò lieto – appena possibile anche per lei – di incontrarla al Quirinale (…) Basta a questo interminabile braccio di ferro, al gioco degli equivoci, dovuto al ripetuto alternarsi di opposti irrigidimenti sulla riforma elettorale. Ancora di recente ho ricordato al presidente del Consiglio e ai presidenti delle Camere come avessi riferito loro degli incontri con i rappresentanti dei principali partiti nel corso dei quali tutti si erano dichiarati convinti della necessità di modificare la legge elettorale.
Purtroppo da allora non si sa se si avvicina la conclusione di questo gioco degli equivoci, un braccio di ferro dovuto ad opposti irrigidimenti che mettono a grave rischio il mantenimento dell’impegno preso da tutte le forze politiche di fronte alle aspettative di cittadini e elettori”
Giachetti, già in sciopero della fame per protestare contro la mancata riforma della legge elettorale, ha sospeso il proprio sciopero della fame.
Lo sciopero della fame è una forma estrema di esercizio del mandato parlamentare e, volendo, anacronistica, quasi ucronica, nel suo rammentare i digiuni alle celtique senza filtro di Pannella.
Ma la delicata sostanza della riforma elettorale merita senz’altro un esercizio del mandato parlamentare in cui il membro dell’assemblea pone il suo onore nei lavori dell’organo cui appartiene al punto di dire che un adempimento doveroso non viene portato a termine è disponibile a dimettersi passando a miglior vita.la delicata sostanza della riforma elettorale merita senz’altro un esercizio del mandato parlamentare in cui il membro dell’assemblea pone il suo onore nei lavori dell’organo cui appartiene al punto di dire che un adempimento doveroso non viene portato a termine è disponibile a dimettersi passando a miglior vita
Che l’attuale legge elettorale sia da cambiare è innegabile.
Sono almeno cinque i punti di criticità costituzionale: (i) un premio di maggioranza senza la previsione di una soglia minima (vedi Corte cost. 15 e 16/2008, ma anche 13/2012); (ii) l’esclusione della Val d’Aosta e della circoscrizione Estero dal computo dei voti per il premio di maggioranza; (iii) le liste bloccate; (iv) l’irrazionalmente diversificato meccanismo di attribuzione dei premi di maggioranza nelle due camere; (v) la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni (in questi termini, la memoria del Comitato promotore nel tentativo di convincere la Corte a sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge 270/2005 respinto da una Corte non particolarmente ardimentosa con la sentenza 13/2012).
L’incostituzionalità della legislazione elettorale è un fatto particolarmente grave nel sistema costituzionale, poiché si dice, forse non con troppa ragionevole fondatezza, ma lo dice un attore decisivo in questa materia: il custode della Costituzione, che le leggi elettorali non possono essere dichiarate incostituzionali a causa della inevitabile
permanenza di una legislazione elettorale applicabile a garanzia della stessa sovranità popolare
Forse non è vero, forse l’affermazione (riferita dalla Corte esplicitamente alla abrogazione referendaria) non può essere predicata anche a proposito della dichiarazione di incostituzionalità, però, resta il fatto che la Corte ha ritenuto il sistema fondato sulla legge 270/2005 critico sul piano della costituzionalità ed ha invitato il Parlamento a modificarlo.L’incostituzionalità della legislazione elettorale è un fatto particolarmente grave nel sistema costituzionale, poiché si dice, forse non con troppa ragionevole fondatezza, ma lo dice un attore decisivo in questa materia: il custode della Costituzione, che le leggi elettorali non possono essere dichiarate incostituzionali
Né l’altro custode della Costituzione, il Capo dello Stato, è stato timido su questo punto.
Anzi, forse, ha addirittura picconato con eccessivo zelo, se così si può dire.
Di qui, la bozza Malan che originariamente prevedeva un sistema proporzionale corretto, con sbarramento al 5 per cento, 2/3 dei seggi assegnati con le preferenze, un terzo con listino bloccato e un premio di governabilità del 12,5 per cento (cioè 76 seggi alla Camera e 37 al Senato) alla coalizione vincente e, adesso, il cd. lodo Calderoli, in cui il premio di maggioranza, calcolato in misura variabile a seconda della soglia di voti oltrepassata dal partito o dalla coalizione che lo ottiene, viene attribuito ai partiti se non superano il 40% ed alla coalizione se il 40% viene superato.
Non è per niente semplice comprendere l’impatto di questa riforma sul sistema politico.
Sicuramente si legge che il suo esame è stato rinviato per non dare a Renzi un ulteriore argomento di campagna elettorale contro Bersani e perché Berlusconi darà l’annunzio del nuovo soggetto politico cui sta lavorando solo dopo il secondo turno delle primarie di centrosinistra.
Il vero punto di aggressione della riforma del sistema elettorale ipotizzata da Calderoli (chissà cosa gliene frega a Calderoli del sistema elettorale nell’attuale crisi della Lega Nord?) è che se nessuna coalizione raggiunge il 40% a causa dell’effetto Grillo, il che non è per nulla impossibile, il premio di maggioranza garantisce al segretario del partito di maggioranza relativa un plusvalore di legittimazione democratica che può essere speso per divenire premier.
In altre parole, è un meccanismo che conferma la centralità dei partiti politici rispetto ai movimenti e che si contrappone a quel modello di controdemocrazia di cui le primarie alla Renzi e Grillo sono, in maniera molto diversa, la manifestazione.Il vero punto di aggressione della riforma è che se nessuna coalizione raggiunge il 40% a causa dell’effetto Grillo il premio di maggioranza garantisce al segretario del partito di maggioranza relativa un plusvalore di legittimazione democratica che può essere speso per divenire premier
Ovvero un meccanismo che cerca di resistere allo spirito dei tempi, mantenendo il più possibile inalterato uno status quo che oramai ha fatto il suo tempo.
E, forse, ci si dovrebbe domandare se questo parlamento che non è solo a fine legislatura, è anche in crisi di identità, perché si regge su un accordo schizofrenico che mette insieme troppe anime per poter essere credibile, nel quale la centralità del Parlamento si è persa nella creazione di un’alleanza che puzza di marmellata stantia più di un jamboree in Scozia, può essere credibile nel momento in cui mette mano ad una riforma che dovrebbe avere come scopo la garanzia della sovranità popolare.
Sicuramente non lo è, e se non lo è, allora, l’unica cosa che questo parlamento potrebbe fare in materia di legge elettorale sarebbe un ritorno alla Costituzione, ovvero a quel sistema proporzionale pressoché puro che i pruriti di Segni ci ha fatto abbandonare.l’unica cosa che questo parlamento potrebbe fare in materia di legge elettorale sarebbe un ritorno alla Costituzione
Non tanto perché non siano possibili altre soluzioni costituzionalmente condivisibili, ma perché se la modifica del sistema elettorale impatta sull’essenza della sovranità popolare non è impossibile sostenere che questa modifica abbia molta più autorevolezza se proviene da un parlamento eletto con il sistema proporzionale a suo tempo presupposto dai Costituenti, che non con un porcellum bis escogitato dall’insonne Calderoli con i suoi amichetti.