La grazia di Provenzano
In questi giorni, si fa un discreto parlare della richiesta di grazia presentata dal legale di Contrada.
Il legale di Contrada ha segnalato che il suo cliente versa in uno stato di salute preoccupante ed ha chiesto la grazia.
Il ministro di grazia e giustizia Mastella (ora solo ministro della giustizia) ha chiesto che l’istruttoria della domanda di grazia sia compiuta nel più breve tempo possibile.
Il presidente della Repubblica Napolitano ha ricordato che le ragioni di salute non sono una ragione per concedere la grazia.
La presidente della associazione fra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili ha rilasciato delle interviste manifestando una netta contrarietà alla grazia che sarebbe un oltraggio alla memoria delle vittime di mafia e che aprirebbe la strada ad analoghi provvedimenti di clemenza per Provenzano e Riina, anch’essi anziani e malati.
La grazia è un provvedimento di clemenza.
La grazia non annulla le responsabilità penali e non ha nulla a che vedere con la politica penitenziaria.
La grazia è il provvedimento con cui lo Stato rinuncia all’esercizio della custodia detentiva nei confronti di un colpevole e lo fa per ragioni politiche.
La sostanza della grazia è politica, non è né giudiziaria, né ha a che vedere con la necessaria umanità del trattamento detentivo.
Con il potere di grazia, il capo dello Stato rinuncia alla detenzione di una persona che non lo merita più, perché la pena è diventata ingiusta, come nel caso di un detenuto che ha provato materialmente di non essere più pericoloso o di essere diventato migliore di tanti altri.
In nessun caso, la grazia può essere intesa come un mezzo per assolvere una persona che il potere giudiziario ha condannato (è il caso di Sofri) o per rimediare alle insufficienze del sistema carcerario e della legislazione in materia di esecuzione delle pene (è stato, almeno in parte, il caso di Bompressi).
Non so se Contrada meriti di essere graziato.
La sua vicenda ha molte luci e molte ombre.
Ad un certo punto, è sembrato quasi che sia stato condannato perché se davvero avesse servito lo Stato sarebbe stato ucciso, come Boris Giuliano, Falcone, Borsellino e tutte le altre vittime eccellenti della mafia.
Può darsi che meriti la grazia come può darsi che non la meriti.
E’ una decisione che sono felice di non dover prendere.
Sarà una decisione politica rimessa ad un soggetto politicamente irresponsabile.
Però sono sicuro di una cosa: anche Provenzano e Riina possono meritare la grazia.
Anche loro potrebbero pentirsi.
Potrebbero essere le pedine decisive che consentono di risolvere pacificamente e senza armi una rivolta carceraria, ad esempio.
Potrebbero diventare un modello di rettitudine.
E così via.
In ogni caso, non sono animali feroci.
Anche loro sono persone.
Esseri umani.
Uomini che vivono nella privazione della libertà.
Quando si dice che non potranno mai essere graziati, quando si dice che il loro carcere deve essere a vita, quando si dice che non hanno più il diritto a respirare l’aria di un’alba, li si condanna a non avere più speranza, il che, in fondo, assomiglia molto ad una condanna a morte.